Il sostituto procuratore Imma Tataranni è entrato in tutte le case con la serie televisiva targata Rai con protagonista la brava Vanessa Scalera. Per tutti coloro che volessero andare oltre la serie, arrivando alla fonte letteraria dello show, ecco una guida ai libri di Mariolina Venezia che vedono protagonista Imma. [Read more…]
Tutti i libri della serie Bridgerton in ordine di lettura
Guida ai libri della saga Bridgerton di Julia Quinn
Nella nostra guida ai libri della serie Bridgerton di Julia Quinn potrete trovare tutti i volumi della scrittrice americana in ordine di lettura e pubblicazione, da “Il duca e io”, pubblicato nel 2000, fino a “Il vero amore esiste” pubblicato per la prima volta nel 2006. [Read more…]
Sotto l’ala dell’aquila: presentazione e intervista a Giuliano Lenni
Anteprima dal libro "Sotto l'ala dell'aquila" e cinque domande all'autore
Edito da Giuliano Lenni Blogger nel 2020 • Pagine: 134 • Compra su Amazon
Amerigo non avrebbe mai dimenticato il periodo di servizio militare donato alla patria. Il ricordo lo avrebbe accompagnato per il resto della sua vita. Dal primo giorno di addestramento fino al giorno del congedo, passando attraverso periodi trascorsi tra gioie e amore, tra compagni sinceri e giorni spensierati ma anche tra cattive compagnie, crimini e straordinarie bugie. E un segreto da tener dentro fino alla morte. "Colui al quale confidate il vostro segreto, diventa padrone della vostra libertà." François de La Rochefoucauld
Le raccomandazioni di suo padre erano state come sempre incisive, quelle della madre premurose. Da loro un monito, a non correre troppo in autostrada, al suo accompagnatore, Nat, pronto ed efficiente come sempre. Già, Nat. Suo padre lo chiamò Natalino poiché era nato durante un nevoso 24 dicembre, ma da quel momento aveva assunto il nomignolo di Nat, soprannome di cui andava fiero giacché gli ricordava i familiari ormai tutti deceduti. Una persona che parlava poco ed in maniera sintetica, temprato da un’esistenza dura e difficile in cui aveva imparato a fidarsi di poche persone e a tenere lontane le carezze. Un personaggio duro ma ad Amerigo molto caro perché, oltre ad essere un buon amico di famiglia, gli aveva insegnato a sparare con la carabina e la pistola, oltre ad avviarlo ai rudimenti della difesa personale. Nat era un sottufficiale dei paracadutisti che aveva effettuato varie esperienze militari in missioni di pace in giro per il mondo e da qualche anno si era concentrato sulla difficile situazione dei Balcani, dove tuttora operava come responsabile della sicurezza di un aeroporto strategico. Nat era un mito, per il ventenne Amerigo, così forte e determinato. Quando seppe che Amerigo aveva espresso il desiderio di compiere il servizio militare come ufficiale dell’esercito, nei reparti speciali, lui si offrì di aiutarlo, confortato dai suoi familiari che speravano in un possibile lavoro sicuro per il proprio figlio.
Non del tutto conscio Amerigo si allungò nello spazioso sedile posteriore della grande Mercedes familiare e si risvegliò al casello autostradale di Bologna, alle porte della colta città emiliana.
La caserma era immersa nel verde e, quando arrivarono, il futuro sottotenente capì che ormai non c’era più niente da fare, doveva raggiungere gli altri per le prime operazioni di routine. Un breve saluto al suo accompagnatore e via, nell’aula adibita alla ricezione.
Qui incontrò varia umanità, dal perenne preoccupato allo sbruffone, tutti incerti su quello che sarebbe capitato loro di lì a poco. Appena furono un numero sufficiente per formare un plotone, uno “sten istruttore” (sten è un diminutivo che sta per sottotenente) cominciò ad urlare loro contro non si sa bene per quale motivo; dopo l’avrebbero capito, era il primo impatto con la disciplina militare! Del resto della giornata non ricordò molto, solo confusione, frastuono e voci dal tono altissimo che appartenevano agli sten che già provavano ad “inquadrarli”. La sera, sfiniti, Amerigo e gli altri si addormentarono nelle brande delle grandi camerate adibite ad ospitarli per cinque lunghi mesi.
L’organizzazione della camerata era semplice e intuitiva e ogni posto letto e gli accessori erano contrassegnati con un numero identificativo (il suo era il 5301 che stava per quinto piano, terza stanza, posto numero uno).
La camerata era una lunga stanza rettangolare ai cui lati maggiori erano disposte due file di letti, accanto ad ognuno un armadio a due ante e, ai piedi del letto, un grande comodino per le scarpe, gli anfibi e un cassetto per riporre il materiale per la pulizia delle calzature.
L’allievo ufficiale doveva riporre esattamente ogni cosa al proprio posto, tutto ben pulito e in ordine. Il cubo, da rifare ogni mattina, consisteva nel mettere cuscino, lenzuola e coperte allineate sopra al materasso, pronte per essere nuovamente adibite a giaciglio, ogni sera, al rientro dalle varie attività. Gli anfibi e le scarpe di servizio dovevano essere risposte tutte le sere ben pulite e lucidate, pronte per l’uso. La chiave dell’armadio appesa al collo attraverso una corda, per evitare di perderla. Gli indumenti intimi, le camicie, i maglioni, le tute mimetiche e tutto ciò che serviva per vestirsi erano contrassegnati con il numero dell’allievo ufficiale, al fine di scongiurare la perdita i propri capi durante il servizio di lavanderia, svolto a turno da tre giovani che coadiuvavano una lavandaia professionista che seguiva il lavoro, dalla lavatura alla stiratura. La coesione sociale si svolgeva principalmente dalle venti alle ventidue, orario in cui l’ufficiale di giornata passava in rassegna i locali insieme ad un suo assistente, di solito un allievo di servizio o un sottufficiale. Controllato che tutto fosse a posto spegneva le luci e tutti a dormire, attenti ad evitare qualsiasi rumore o mormorio che avrebbe fatto passar loro brutti momenti. Infatti, quando c’erano rumori molesti o scherzi tra i commilitoni, l’ufficiale arrivava nella camerata, accendeva le luci e, se lo individuava, puniva il malcapitato, altrimenti faceva vestire tutti i presenti, a qualsiasi ora, e li conduceva a marciare per mezz’ora nel piazzale sottostante, tanto per schiarirgli le idee! Una notte un allievo ufficiale, un po’ maldestro, fece uno scherzo al suo compagno di letto; il rumore fu fortissimo e nel giro di due minuti lo sten di servizio arrivò e, constatato l’accaduto ma non riuscendo ad individuare il responsabile, portò l’intero plotone a marciare di notte, al freddo e sotto la pioggia battente, per ben due ore, provocando anche alcuni leggeri malori tra i ragazzi. La dura lezione insegnò a tutti che fare scherzi durante la notte non conveniva a nessuno, pertanto si limitarono a giochi di voce e si dilettarono a raccontar barzellette per ovviare alla noia imperante.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea è nata da una mia esperienza personale come ufficiale dell’aeronautica. Raccontando la mia esperienza mi è sorta l’idea di un romanzo.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La stesura è durata due anni, il periodo del Covid-19 mi ha aiutato a portare a termine il romanzo.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Francesco Guccini.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo in Toscana a Montepulciano.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto scrivendo un romanzo basato sui ricordi e sulle emozioni di una insegnante in pensione colta da alzheimer.
Omicidio su Autarch 1: presentazione e intervista agli autori
Anteprima dal libro "Omicidio su Autarch 1" e cinque domande ad Andrea De Magistris e Michele Perni
Edito da Velera-Exi Studio nel 2021 • Pagine: 462 • Compra su Amazon
Anno 2233. Frank Harden è un investigatore militare dotato di grande talento, ma è prima di tutto un uomo solo che è stato costretto a lasciare la Terra per trasferirsi sulla Cintura di Velera-Exi, quella che è divenuta la nuova casa dell’umanità. A sconvolgere la sua routine fatta di noiose scartoffie e nottate in cui cerca di combattere la depressione utilizzando misteriose droghe allucinogene, ci pensa un caso di omicidio che sembra quasi una benedizione: un uomo è stato brutalmente ucciso per strada nel Settore 3 di Autarch City, la città principale dell’intera Cintura. Riuscito a ottenere l’incarico, Frank inizierà a investigare, scoprendo ben presto che la morte dell’uomo è ben lontana dall’essere un fatto isolato, e che misteri molto più grandi e pericolosi si celano dietro un intricato velo di menzogne e segreti che, se decodificati, potrebbero rivelare una verità terribile e oltre qualsiasi immaginazione.
Frank Harden si svegliò e spalancò gli occhi. La sua mente, ancora parzialmente sprofondata negli orrori che da quasi due anni popolavano i suoi incubi, proiettò subito in superficie un unico pensiero lucido: Caliban. Reagendo come se un elettrodo piantato nel cuore gli avesse dato una scossa, l’uomo si alzò dal letto e si precipitò caracollando verso il piano orizzontale che sporgeva dalla vicina parete, dove le persone normali tenevano oggetti di uso quotidiano. Il suo assistente virtuale casalingo, al quale non aveva mai dato un nome, si materializzò di fianco a lui:
«Buongiorno Frank, sono le 5 e…»
Premette malamente sulla pulsantiera dell’apparecchio che gli dava vita e fece scomparire quell’insopportabile intruso dalla voce fastidiosa.
Armeggiò sul piano fin quando le sue dita non si strinsero attorno all’inalatore. Lo prese e iniziò a cercare la fiala, l’ultima che gli era rimasta. Il sudore che gli copriva il viso e il collo gli bruciava addosso come ghiaccio rovente. Trovata quasi subito la fiala, nonostante la stanza fosse un covo di ombre, si avvicinò alla finestra e discostò appena uno dei pannelli foto-assorbenti che aveva fatto montare da quando la sua sensibilità alla luce era aumentata. Il livido grigiore esterno strappò la sua faccia alle tenebre; nient’altro che un pallido e smunto ovale a incorniciare occhi febbricitanti e labbra serrate in una smorfia di tensione. Sollevò la fiala e la espose alla debole illuminazione che filtrava. Al suo interno l’organismo vermiforme che galleggiava in un liquido trasparente si mosse appena. C’era gente che diceva che i razziatori si spingevano ben oltre i confini di Velera-Exi per procurarsi quei piccoli esseri biancastri, e poteva anche essere vero: a guardarli sembravano innocui, ma c’era qualcosa nel modo in cui si agitavano debolmente che faceva pensare che venissero da lontano, da luoghi molto più remoti di quel piccolo e impossibile sistema di pianeti a un passo dalla Luna. Qualunque fosse la loro origine, a lui interessavano solo gli effetti che avevano sulla mente umana, o quantomeno sulla sua. Da quando li aveva sperimentati non c’era stato un solo giorno in cui non avesse inalato almeno una volta, anche se questo la diceva lunga più sul suo stato psichico che sulla loro efficacia. Inserì la fiala nell’inalatore e premette il pulsante rosso. Il verme venne risucchiato insieme al liquido in cui galleggiava e sparì all’interno dell’apparecchio. Dopo una lieve vibrazione un led blu prese a lampeggiare.
Infilò nelle narici i due sottili beccucci che spuntavano dal corpo del piccolo oggetto e premette di nuovo il pulsante rosso. Un unico rapido sbuffo di una fine polverina nebulizzata gli venne sparato nel naso, roba di poco più di un secondo, e fine della storia. Lasciò cadere a terra l’inalatore e arretrò fino al letto, dove si sdraiò in attesa che l’effetto raggiungesse il suo apice per poi ridursi lentamente fino a una sensazione di offuscamento ricettivo che lo avrebbe accompagnato per diverse ore.
Caliban. Meravigliosa sostanza.
Un paio d’ore dopo stava lasciando lo stabile H12 del Settore 7 di Autarch Bassa, dove viveva. Le ombre delle Metar Towers e dei tratti completati delle Strade Sospese affondavano la città bassa in una penombra fredda. Tutto era grigio e spoglio. Un senso di vuotezza aleggiava nel silenzio metropolitano della mattina. Attraversò i Settori 7 e 6 nell’insonorizzata vacuità dell’abitacolo della Vi-Car, cercando costantemente di rubare uno scorcio tra le sagome dei grattacieli in costruzione. Ma il cielo era un lusso che ad Autarch Bassa non ci si poteva permettere. Solo quelli che stavano di sopra, oltre la soglia di separazione dei due nuclei urbani, potevano permettersi di alzare gli occhi in alto senza incontrare ostacoli di sorta. Non che ci fosse niente di esaltante da vedere se non le avvilenti sagome della Terra e del suo satellite, ma era comunque meglio di niente.
Raggiunto il Settore 5 e l’edificio che ospitava gli uffici del Distaccamento Investigativo, abbandonò la fluttuazione stradale e passò alla modalità velivolo, spingendo la Vi-Car verso il parcheggio che sorgeva sul tetto dello stabile: in un mondo in cui la proprietà privata poteva considerarsi un lusso, era meglio non fare troppo affidamento sulla moralità altrui.
Raggiunse il tetto e parcheggiò vicino alle altre due Vi-Car di cui il Distaccamento Investigativo disponeva. Prese l’elevatore verticale e scese fino al secondo piano.
L’anticamera di riconoscimento era immersa nel consueto silenzio ovattato. Benny, l’ologramma addetto all’identificazione del personale, gli diede il benvenuto con il solito sorriso balordo e gli chiese di identificarsi. Lui gli alzò il dito medio davanti alla faccia, al che, senza scomporsi, l’ologramma allungò il suo indice virtuale semitrasparente e lo premette contro il suo dito. Una sensazione di calore gli si diffuse per un attimo nel polpastrello, poi più niente.
«Riconoscimento effettuato. Prego, agente Harden».
Frank non disse nulla e gli passò attraverso, sperando che la cosa potesse urtare la sua sensibilità di ologramma, semmai fosse stato dotato di un barlume di coscienza. Aprì la porta ed entrò nell’ufficio.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea è nata circa 18 anni fa, quando abbiamo iniziato a gettare le basi di una storia per puro divertimento. Con il passare del tempo la storia si è evoluta, è cresciuta insieme a noi, si è trasformata in qualcosa di completamente diverso da ciò che era in origine ma è rimasta fondamentalmente la stessa cosa di sempre: un passatempo creativo fatto con passione. È stato verso la fine del 2019, quindi 16 anni dopo l’inizio di quel “gioco creativo”, che ci siamo resi conto che l’universo che avevamo creato, (perché nel frattempo l’idea iniziale e la storia si erano arricchite al punto da formare un vero e proprio universo), era pronto per poter essere trasformato in qualcosa di tangibile: il primo libro di una saga.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La difficoltà nel nostro progetto è distribuita in una serie piuttosto variegata di elementi, in quanto non si tratta di portare a compimento un singolo libro ma una saga intera, che nel nostro caso sarà composta da oltre dieci libri. Parlando solo del libro che vi stiamo presentando, la difficoltà maggiore è stata senza dubbio quella di trovare un modo per far partire gli eventi che si sarebbero poi sviluppati nei libri successivi. Abbiamo riflettuto a lungo su quale potesse essere il modo migliore di introdurre la storia, i vari personaggi e soprattutto il contesto in cui tutto è ambientato. Non volevamo rischiare di “mettere troppa carne al fuoco” ma al tempo stesso avevamo la necessità di introdurre alcuni elementi per non lasciare i lettori spaesati o confusi, e quindi abbiamo a lungo cercato di bilanciare gli “ingredienti” per trovare la formula giusta.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Essendo in 2, i nostri gusti personali si sono sempre intrecciati e mescolati, e pensiamo che questo sia uno dei punti di forza della nostra storia. Pur appartenendo a un genere, la Fantascienza, abbiamo cercato di non lasciare che “Omicidio su Autarch 1” rimanesse imprigionato in stilemi e caratteristiche troppo definite e rigide, ma abbiamo piuttosto lasciato libera la nostra attitudine a sperimentare e mischiare, e siamo convinti di aver fatto la cosa giusta. Per rispondere alla domanda, i nostri autori preferiti sono H.P. Lovecraft, Stephen King, Asimov e Dean Koontz.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Chi vi scrive (Andrea) vive ed è sempre vissuto a Roma. Michele, invece, vive a Cambridge da diversi anni, ma anche lui è originario di Roma.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Il nostro progetto è molto chiaro nella nostra testa: avendo deciso di autopubblicarci, abbiamo pensato alle migliori strategie per crearci una community ed entrare in contatto con quante più persone possibile, così abbiamo fondato il Velera-Exi Studio, una start-up che ha l’obiettivo di racchiudere e proteggere tutto il nostro lavoro. Collaborando con illustratori, musicisti, grafici e voice-over artists abbiamo creato materiale: artworks, una colonna sonora, dei brevi video; tutti contenuti che hanno l’obiettivo di far immergere i nostri lettori nel mondo che stiamo creando. Abbiamo inoltre deciso di tradurre i primi due libri della saga in Inglese e il primo anche in Cinese, perché la nostra idea è sempre stata quella di far leggere i nostri prodotti a quanta più gente possibile. Attualmente stiamo pubblicando i nostri libri in Italiano circa ogni 5 mesi. Al momento siamo arrivati al Volume 3 e continueremo seguendo questo schema. Il nostro progetto è ambizioso e probabilmente anche un po’ folle, ma vogliamo cercare di tenere viva la passione per la scrittura e la creatività che 18 anni fa spinse due amici a imbarcarsi in un’avventura che all’epoca sembrava solo un bellissimo gioco e che invece adesso, speriamo, è diventata qualcosa con una forma e una direzione ben precisa.
I migliori dizionari biblici del Vecchio e Nuovo Testamento
I migliori dizionari biblici di teologia, concetti e lingue e i vocabolari specifici per il Vecchio e Nuovo Testamento
In italiano esistono in commercio diversi dizionari biblici di grande caratura, pubblicati in ottime edizioni da casa editrici come San Paolo, Claudiana, Dehoniane-EDB e Libreria Editrice Fiorentina. Si tratta di dizionari di diversa natura e impostazione, ma tutti orientati a permettere al lettore una comprensione più approfonda e uno studio più accurato dei sacri testi, indicati per i fedeli, per gli ecclesiastici e per gli studiosi più in generale del Vecchio e del Nuovo Testamento. [Read more…]
I libri dell’ispettore Ferraro in ordine di lettura
Tutti i libri con l'ispettore Ferraro di Gianni Biondillo
La serie di libri con l’ispettore Ferraro firmati da Gianni Biondillo conta un gran numero di appassionati in Italia. Gli otto volumi che al momento la compongono sono tutti editi da Guanda e TEA, e sono stati pubblicati nell’arco di diciotto anni, dal 2004 al 2022. [Read more…]
Tutti i libri dell’ispettore Coliandro
I volumi della serie di libri con l'ispettore Coliandro di Carlo Lucarelli
Carlo Lucarelli è autore, tra le altre, della serie letteraria che ha come protagonista l’ispettore della questura bolognese Marco Coliandro. Originario di Lecce, l’ispettore, dapprima sovrintendente, fa parte di una dinastia di membri delle forze dell’ordine: anche il padre e il nonno erano infatti poliziotti. [Read more…]
Tutti i libri del commissario Adamsberg
Cronologia dei libri con il commissario Adamsberg creato da Fred Vargas
La serie di libri con il commissario Adamsberg della scrittrice francese Fred Vargas si articola in undici volumi, nove romanzi, una raccolta di racconti e una graphic novel: in questo articolo potrete trovare tutti i testi in ordine di pubblicazione e di lettura. [Read more…]
Dipinto sull’Acciaio: presentazione e intervista a Francesco Gallina
Anteprima dal libro "Dipinto Sull'Acciaio - Del rapporto tra heavy metal e pittura" e cinque domande all'autore
Edito da Arcana Edizioni - Roma nel 2021 • Pagine: 493 • Compra su Amazon
Il metal è spesso visto da fuori utilizzando la lente deformante del pregiudizio. Invece, questo ambiente presenta riferimenti a settori artistici basilari per definire l’identità della razza umana. Vero è che alcuni temi affrontati al suo interno non si segnalano quanto a profondità, ma non esauriscono certo ciò che il genere ha da dire. Religione, filosofia, scienza, storia e folklore non sono difficili da rintracciarvi. Parlare dell’uso del lavoro di grandi pittori per le cover di alcuni album può contribuire a capire meglio un mondo denigrato, ma anche a riprendere contatto con una parte importante della nostra cultura. Di artisti come Bosch e Beksinski o illustratori come Derek Riggs o Joe Petagno, “Dipinto sull’acciaio” parla dividendo il tutto in più parti. Nella prima prende a titolo di esempio pittori totemici che sono stati scelti massicciamente da gruppi HM, poi lo stesso fa per appartenenti a correnti pittoriche “concettualmente metal” come Romanticismo, Simbolismo e Preraffaeliti. Quindi si lancia in una corsa dal Trecento al Novecento per dimostrare come l’interesse del metal verso la pittura attraversi un arco temporale enorme. Nella seconda si occupa invece di alcuni illustratori/disegnatori dallo stile pittorico o fumettistico. Perché l’immaginario heavy è fatto di rappresentazioni talvolta violente che hanno però una precisa motivazione di essere, così come ne esistono di altrettanto forti nel mondo dell’arte ufficiale. Del perché certi pittori si siano rivelati così affini al feeling della “musica del demonio”: di questo parla questo libro. Per indicare come il metal sia un inesauribile carburante istruttivo che brucia nell’anima e non inquina. Prefazione di Eliran Kantor.
Il tutto cercando di seguire un format che tenga come valore base per ogni sezione la data di nascita di ognuno. Senza appesantire troppo il discorso, con l’idea di fondo di interessare all’argomento chi non ha mai avuto modo di entrare in contatto con questi argomenti e mantenendo sempre lo stesso canovaccio nel costruire i capitoli. Le biografie saranno quindi schematiche, se non appena accennate a seconda della parte del libro in cui si trovano e a volte non necessariamente saranno indicate le opere più importanti degli artisti analizzati. Al contrario, quelle più funzionali all’impostazione generale del libro e al suo focus metallico. Allo stesso modo, gli artisti scelti non sono per forza quelli più importanti in assoluto per la storia dell’arte o dei movimenti artistici trattati, ma una selezione di quelli che sono utili all’economia dello scritto, come preciseremo ancora nell’introduzione della parte intitolata La Lunga Corsa del Colore. Senza quindi la pretesa di riuscire a citare tutto e tutti dato che non solo sarebbe impossibile, ma inutile, bensì solo con quella di incoraggiare una riflessione complessiva sulla questione che possa magari indurre qualcuno a fare ulteriori ricerche. Sia musicali che pittoriche, stimolando la curiosità dei lettori. Perché l’immaginario metal, lo sappiamo bene, è fatto di rappresentazioni forti. Talvolta a sfondo sessuale, magari ingenuamente machiste, altre volte violente fino ad arrivare allo splatter e oltre, che hanno però una precisa motivazione di essere, così come ne esistono di altrettanto forti nel mondo della pittura ufficiale e per lungo tempo a uso e consumo della chiesa, fatto di cui disquisiremo alla fine di questo libro. Molto spesso e trasversalmente rispetto ai generi, si tratta però di citazioni erudite, prese e/o elaborate dalla letteratura o dalla pittura colta. Da tutto questo viene fuori con chiarezza come tanti artisti studiati a scuola, non raramente fin dalle medie inferiori a seconda del Paese in cui si nasce, siano stati involontari precursori dei lavori di tanti illustratori creatori di metal artwork odierni. O addirittura abbiano direttamente fornito materiale per le copertine di alcuni dei dischi che ascoltiamo normalmente o per le liriche delle canzoni. Di alcuni di questi (come detto, citarli tutti sarebbe impossibile e ciò che importa è stabilire un principio generale sviluppando il concetto mediante esempi ad hoc) e del perché si siano rivelati così affini al sentire interiore di musicisti e ascoltatori della “musica del demonio”, vogliamo dunque dare qualche cenno. Senza la superbia di voler fare vera critica artistica, ma cercando di stabilire ancora una volta in maniera semplice e non paludata, come il tanto vituperato metal non sia affatto un genere da trogloditi, ma rappresenti (pure) un veicolo di conoscenza. Oltre che una preziosissima valvola di sfogo al servizio di anime sotto pressione. Ciliegina sulla torta, gli interventi originali scritti appositamente per Dipinto sull’Acciaio da parte di Eliran Kantor (autore di copertine per Testament, Mekong Delta, Satan, etc.), il quale si è occupato della prefazione, di Mario “The Black” Di Donato (sua la quarta di copertina) nella sua doppia veste di musicista e pittore, di Enzo Rizzi (disegnatore padre del personaggio di Heavy Bone, il mostruoso zombie killer), del pittore/illustratore Paolo Girardi (Dark Quarterer, Inquisition, Manilla Road, etc.) e di Steve Joester, artefice di scatti fotografici passati alla storia del rock (U2, Judas Priest, Bob Marley, etc.) divenuti in parte opere d’arte, il quale ha scritto la postfazione. Con tanto di alcune illustrazioni concesse o appositamente preparate per il volume, motivo per cui li ringrazio ulteriormente. Il fine di questo scritto, dunque, non è quello di produrre un libro mastro del settore che esponga le colonne “dare” e “avere” tra metal e pittura, ma puntualizzare come il genere considerato dai più come volgare – per alcuni versi lo è e vuole esserlo – scarsamente importante e persino pernicioso nell’economia culturale della nostra società, sia invece un meraviglioso, potentissimo, inesauribile carburante istruttivo che non inquina, ma che quasi nessuno è disposto a usare per far funzionare il motore della propria formazione intellettuale. In questo nuovo medioevo in cui sembra che alla gente interessi sempre meno capire davvero ciò che la circonda, musica estrema, colori forti e immagini potenti sono sempre più in grado di mostrarci l’essenza del nostro essere. Al di là di brutture, meschinità e tragedie di un quotidiano che come un sadico specchio, senza pietà ci mette davanti al nostro affanno di vivere senza uno scopo superiore. Partiremo dunque dal mondo delle tele e dai “Totem” e termineremo parlando di quello degli illustratori contemporanei seguendo gli stessi criteri per tutti e per precisa scelta, non per forza dedicando loro pari spazio. Questo in quanto la cernita non è stata operata pensando quanto ogni pittore o illustratore ne avrebbe occupato – talvolta infatti diverso l’uno dall’altro, eppure complessivamente non troppo dissimile – ma solo al tipo di quadri, dischi e gruppi di cui sarebbe stato più opportuno parlare. In certi casi raggruppando due nomi nello stesso capitolo. In libertà e senza vincoli che avrebbero forse reso il testo più “professionale”, ma meno vivo e immediato e più vicino al settore libro d’arte che a quello musicale. Stabilendo una volta per tutte che per veicolare cultura ai nostri giorni, ci vorrebbero probabilmente molti più Bruce Dickinson ed Eliran Kantor e davvero meno Sfera Ebbasta e Myss Keta a stuprare le nostre cellule cerebrali. Un accostamento, quello tra cultura e metal, che viene ribadito innanzi tutto da Mario “The Black” Di Donato, musicista heavy di lungo corso, ma anche apprezzato pittore con un numero enorme di mostre alle spalle, il quale ha voluto concedermi per primo un suo intervento originale scritto apposta per Dipinto sull’Acciaio […] Per cominciare questa nostra panoramica “campionaria” sul rapporto tra metal e pittura, la scelta è praticamente obbligata. Il primo nome da fare è per forza quello dell’artista che forse più di tutti può essere considerato un pittore heavy: Hieronymus Bosch. Non c’è polittico, quadro o singola pennellata ascrivibile all’artista di Bosco Ducale, che non conduca direttamente all’interno di una realtà parallela incredibilmente densa di simboli esoterici e figure che sembrano essere state concepite proprio con l’intento di descrivere al meglio certe atmosfere inquietanti, oscure e devianti che così bene si attagliano all’immaginario del rock estremo. Oltre mezzo millennio prima della sua nascita, peraltro. […] Che si tratti di un uomo dedito alla frequentazione di orge degne di Eyes Wide Shut (film con colonna sonora di Jocelyn Pook, un’artista che ha lavorato anche con Mark Knopfler e This Mortal Coil) e realmente iscritto ad associazioni segrete o molto più semplicemente, di un uomo del suo tempo capace di interpretare l’inconscio più nascosto e di rappresentarlo in maniera così fedele al vero da porlo al di fuori del tempo stesso, Hieronymus Bosch è molto più moderno ora di quando ha dipinto La Salita al Calvario (o Cristo portacroce) di Gand, le Tavole del Diluvio o uno dei Trittici del Giudizio. Quelle da lui rappresentate su tavola, pur depauperate nel numero un tempo stimato da appositi studi di dendrocronologia (*) e dall’applicazione di moderne tecniche di datazione e attribuzione, erano e restano capaci di comunicare ben al di là del soggetto rappresentato. A prescindere da questo e dai motivi che lo hanno spinto a dipingerli, infatti, tolte le esecuzioni più tradizionali in ogni caso sempre superlative dal punto di vista squisitamente pittorico, è la rappresentazione della pazzia, il ribaltamento dell’ottica nella quale inquadrare i soggetti rappresentati – chi è più pazzo ne L’Estrazione della Pietra della Follia? Il presunto folle o chi cerca di curarlo cavandogli dal corpo la pietra che dovrebbe causarne l’infermità? – e sopra tutto la capacità di mettere su legno quello che di più deviante si annida dentro di noi. Così come rilevato in maniera ben più approfondita da Michele Novellino nel suo Sognando con Bosch. Gli Incubi, i Peccati Capitali e il Luciferino nell’Uomo. E se la religione fornisce materia prima in abbondanza per la produzione pittorica dell’olandese e pur se in questo campo le notizie sono in realtà davvero scarse, considerare la committenza religiosa come ineludibile fornisce comunque spunto di discussione per mettere in relazione l’uso delle sue opere col nostro mondo; ma non solo. Il numero elevato di citazioni heavy qui riportate – una parte nettamente minoritaria rispetto a quelle esistenti e senza considerare quelle prog e rock se non “di striscio” – consente di mettere in luce una personalità che ha molto in comune con lo spirito che anima certi comparti del metal. Sia dal punto di vista iconografico, che filosofico. A emergere in mezzo all’utilizzo di strumenti d’uso quotidiano decontestualizzati e resi sinistri agenti di tortura (vedi pannello di destra del Trittico del Giudizio di Vienna), alla deformazione di corpi d’uomini e animali, all’elaborazione fantastica e quasi julesverniana di strumenti di locomozione e all’esasperazione massima della visione tradizionale dell’Inferno e di varie altre storie legate al cattolicesimo, è un senso dell’umorismo di matrice mitteleuropea senza dubbio attribuibile solo a una persona di grandissima intelligenza e arguzia. Interessantissimo notare poi come una delle sue immagini più sfruttate per la produzione di copertine di dischi, ossia quella della parte destra del Giardino rappresentante giustappunto l’Inferno, contenga numerosi strumenti musicali e proprio perciò è noto anche come “Inferno Musicale”. In questa parte si notano strumenti di tortura e demoni che tormentano i condannati, ma in una chiave in cui si può interpretare il tutto come avvertimento in ottica luterana circa il potere della musica, dato che “non bisogna lasciare la bella musica al diavolo”, per usare le parole proprio di Lutero. In ogni caso, a essere presenti sono varie allegorie cristiane e numerosi simboli esoterici il cui effetto è quello che possiamo notare osservando il dipinto. Di formazione medioevale eppure contemporaneo, incapace e probabilmente non interessato a seguire un filo logico nello sviluppo del suo stile, che risulta quindi ondivago e pertanto specchio di una personalità slegata da necessità di mercato in senso stretto, come un musicista che incide ciò che gli piace più che ciò che gli serve, Bosch è davvero artista alchemico. E lo è per il modo in cui fonde passato e presente in un crogiuolo di sensazioni che sono parte dell’uomo in quanto tale, più che dell’uomo come prodotto del suo tempo. Quindi, sempre attuali. Grottesco come un gruppo grindcore, psichedelico come un lavoro dei Doors, angosciante come una sinfonia black metal, religioso e antireligioso al tempo stesso come può essere il metal, dannato al pari un capolavoro death, arzigogolato e surreale come una gigantesca rappresentazione teatrale con musiche prog-metal, pulsante come un vinile heavy. Oppure satirico, sfacciato e carnale come un Cd thrash, Hieronymus Bosch è l’artista che rappresenta in pittura il corrispettivo delle sensazioni evocate da ogni branca conosciuta del metal. E non solo, dato che oggigiorno troviamo la sua pittura immortalata su leggings, skate, borse, scarpe, poster e un’infinita serie di altri prodotti pop non sempre necessari che non fanno altro che svuotare completamente il significato profondo delle immagini riproposte. Un artista così affascinate e poco conosciuto come uomo, pintore simbolista che scelse la bidimensionalità, atterrito dal fuoco che però dipingeva spesso come conseguenza dello shock per l’incendio della sua città, sul quale sono fiorite infinite leggende. Anche sulla sua presunta appartenenza ad associazioni ben al di fuori della linea imposta dalla chiesa cattolica ortodossa, dedite al consumo di sostanze allucinanti. Tanto da interessare un tossicologo Fondatore e Direttore Emerito del Centro Antiveleni di Roma come Enrico Malizia, inducendolo a scrivere un libro intitolato HIERONYMUS BOSCH, Pittore insigne nel crepuscolo del Medioevo – stregoneria, magia, alchimia, simbolismo. In questa sua biografia romanzata sulla vita di Bosch, Malizia cita il risultato di uno scrupoloso lavoro da lui svolto sia nella sua qualità di tossicologo, che di ricercatore. Perché – parliamoci chiaro – a prescindere dagli intendimenti del pittore, è il lato visionario della sua opera ad affascinare tutti da oltre 500 anni a questa parte. Malizia ha notato come le creature e i mondi boschiani risultassero molto simili a quelli descritti da pazienti dopo l’assunzione di allucinogeni come l’Lsd. Da qui una loro grossa popolarità negli anni 60 di cui già abbiamo detto. E dopo un incredibile lavoro di ricerca sull’alchimia, la stregoneria, la magia, le sette segrete e non che erano attive in quel periodo in quelle zone, la medicina, la conoscenza delle scienze naturali di quegli anni e sui trattati esistenti in materia, dall’Hortus Sanitatis al De Praestiigis Daemonium, Et Incantationibus AC Veneficiis Libri Sex, Aucti Et Recogniti di Wier edito a Basilea nel 1563 e considerato da Freud uno dei dieci libri più importanti mai scritti, passando per la Medicina Popolare Siciliana del Pitrè, ne ha ricavato le “ricette” usate dalle così dette streghe dell’epoca. Queste pozioni, peraltro riportate nel libro con tanto di contestualizzazione e spiegazione scientifica dei loro effetti, sembrano in grado di evocare visioni molto simili a quelle immortalate su tavola da Bosch. Si badi bene che Malizia ha pubblicato sei libri sugli effetti delle droghe tra il 1981 ed il 2004, è Emerito dell’Università la Sapienza di Roma e Philadelphia e i suoi studi hanno portato alla produzione di farmaci salvavita. E questa non è che una piccola frazione del suo CV. Tutto questo, comunque, è quasi secondario. Che vi rivolgiate per conoscerlo meglio a un film d’animazione come Hieronymus Bosch The Movie di Erik van Schaaik, il quale descrive Bosch come “il primo artista heavy metal” (dagospia.com, 25/11/2014), oppure al libro di Enrico Malizia, se ascoltate metal lui è già dentro di voi. E senza che abbiate usato “quattro parti di tritato di loglio, di iosciamo, anebano, cicuta, papavero rosso e nero, lattuga, portulacee; una parte di tritato dell’erba chiamata belladonna dagli italiani” e varie altre cose utili per partecipare a un sabba, tanto per citare un esempio.
Almeno; lo spero.
Come è nata l’idea di questo libro?
Dal desiderio di unire due delle mie più grandi passioni, ossia musica e pittura. Per quanto riguarda la seconda, da semplice ammiratore dei grandi del passato e del presente. Col crescere del mio impegno nel mondo della musica, però, avevo dovuto accantonarla perché non riuscivo più a trovare il tempo per tenermi aggiornato. Lo scrivere un libro che tratteggia la relazione tra heavy metal e pittura attraverso i secoli, da van Eyck a Dalì passando per Bosch, Caravaggio, Artemisia Gentileschi, Kittelsen, Arbo, Giger, Beksiński e tantissimi altri non è stato solo catartico a livello personale, ma è servito più che altro a chiarire una volta per tutte come l’heavy metal sia un veicolo di cultura incredibile.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Molto. Le 500 pagine che compongono l’opera contengono non solo lo scritto vero e proprio, ma una massa enorme di dati sotto forma di notizie, aneddoti, citazioni, nomi, date, gruppi, album, dipinti e molto altro. Oltretutto, non solo è stato difficile procurarseli e in molti casi tradurre tutto in lingua italiana, visto che per ovvi motivi mi sono rivolto a molte fonti estere, ma l’ordine che ho scelto per inserirli nello scritto è peculiare e nessuno dei pochissimi data base esistenti aveva scelto il mio approccio. Non ho quindi mai potuto fare dei semplici copia-incolla di stringhe di notizie utili, ma ho dovuto estrapolare ogni singola informazione ritenuta adeguata e inserirla nel libro una alla volta nel punto giusto, seguendo la filosofia del discorso. Senza contare quelle scartate, ma lette ugualmente. Davvero un lavoro snervante, che però alla fine mi ha dato un’enorme soddisfazione. Anche perché il libro è arrivato a una dimensione internazionale attestata dal suo inserimento nel data base di opere di interesse culturale internazionale da parte dell’ISMMS (International Society for Metal Music Studies) e alcuni altri enti.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sarò forse immodesto, ma credo che ciò che scrivo sia molto personale e gli argomenti peculiari. Ho letto moltissimo in vita mia e continuo a farlo, ma cerco di non ispirarmi a nessuno.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono una stanziale, se mi passi il termine. Sono nato in Sicilia e qui sono sempre restato.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Adesso sono ancora in piena promozione di Dipinto Sull’Acciaio, ma anche se è un mattone di quasi 500 pagine, in realtà è solo la prima parte di un progetto più ampio che spero di concretizzare in un futuro non troppo lontano.
L’inizio della notte, l’utopico-distopico fantasy di Damiano Leone
Annalina Grasso recensisce "L’inizio della notte" di Damiano Leone, edito da Leucotea
“L’inizio della notte’”, pubblicato da Leucotea edizioni, è il nuovo romanzo distopico di Damiano Leone. Il libro introduce il lettore in un’atmosfera fantascientifica e, a tratti, utopica; la narrazione si svolge, infatti, in un contesto che descrive uno scenario di un prossimo futuro apocalittico in cui predomina la distopia. Damiano Leone, però, non tralascia di veicolare importanti messaggi al lettore che, nel corso del romanzo, presenta con grande abilità linguistica attraverso una narrazione attenta e dettagliata. [Read more…]
- « Previous Page
- 1
- 2
- 3
- 4
- 5
- …
- 267
- Next Page »