Edito da Tralerighe Libri nel 2019 • Pagine: 190 • Compra su Amazon
Le origini delle “fake news”: i linguaggi ed i meccanismi utilizzati un secolo fa per creare consenso attorno alla prima grande tragedia del Novecento.
Le verità dei bollettini ufficiali del comando supremo sono messe a confronto con la realtà storica.
A cento anni di distanza viene fatta luce su una pagina nera del giornalismo, finanziato da gruppi industriali e politici, sollevando temi quantomai attuali.
La guerra fu vinta, ma tra le tante, troppe, vittime reali ve ne fu anche una ideale: la correttezza dell'informazione, intesa come ricerca della verità e la relativa esposizione all'opinione pubblica.
Battaglia del Monte Ortigara 10-25 giugno 1917
Negli stessi giorni in cui migliaia di uomini si immolavano sul Carso, nella decima battaglia dell’Isonzo, gli alti comandi italiani ammassavano truppe ed armamenti in Trentino. L’intento era quello di costringere gli austriaci ad abbandonare le posizioni difensive, realizzate sulla catena montuosa che domina l’altopiano di Asiago, nelle quali si erano attestati al termine della Strafexspedition. Si trattava di una linea di difesa distesa tra i monti Interrotto, Zebio, Chiesa, Campigoletti ed Ortigara che costituiva un potenziale pericolo per le truppe italiane schierate sull’Isonzo, in Carnia e nel Cadore.
Cadorna avrebbe voluto sferrare l’attacco già sul finire del 1916, ma le pessime condizioni atmosferiche avevano costretto gli strateghi italiani a pianificare l’offensiva una volta attenuati i rigori dell’inverno.
Già nel giugno 1916, nel corso della controffensiva per arginare la “spedizione punitiva” dell’esercito imperiale, erano state prese d’assalto, senza successo, le postazioni difensive annidate in quelle montagne. Un anno dopo, almeno nelle intenzioni degli alti comandi, l’occupazione di quelle vette, che in qualche caso superavano i 2100 metri di quota, non doveva fallire.
Nei primi giorni di giugno trecentomila uomini ed oltre mille pezzi di artiglieria erano stati schierati in attesa dell’ordine di attacco. Quell’ordine arrivò il 10 di giugno: diciotto battaglioni di alpini attaccarono sul lato nord, sfidando il fuoco di interdizione delle artiglierie e delle mitragliatrici austriache, le pareti rocciose da scalare e le difese passive messe in atto dai difensori. Sul lato sud l’assalto fu affidato al XXII Corpo d’Armata del generale Ettore Negri di Lamporo. Pur accusando gravissime perdite gli alpini riuscirono a conquistare quota 2101.
La notizia arrivò nelle redazioni giornalistiche l’11 giugno: “Sull’altopiano di Asiago la nostra artiglieria bersagliò e sconvolse ieri in più punti le complesse opere di difesa dell’avversario, indi nostri reparti compirono ardite azioni offensive verso monte Zebio e monte Forno e tra l’imperversare di violenti temporali si impadronirono del passo dell’Agnella e di buona parte del monte Ortigara ad oriente di cima Undici.”1
Mentre la stampa si apprestava a rilanciare le notizie diramate, dal Comando Supremo fu ordinato un nuovo attacco a cima Ortigara. Non ci fu niente da fare. Nella giornata del dodici gli alpini, pesantemente colpiti dai contrattacchi austriaci, dovettero ripiegare abbandonando buona parte delle posizioni conquistate.
Questa la versione ufficiale: “Nell’altopiano di Asiago la notte sul 13 il nemico tentò di sorprendere le posizioni da noi recentemente occupate sul monte Ortigara. Sventata la sorpresa dalle nostre vigili truppe l’avversario attaccò con forze considerevoli ed estrema violenza ma [la] salda resistenza dei difensori lo ricacciò in disordine infliggendogli perdite ingenti.”2
Un paio di giorni dopo si ha notizia di violenti attacchi alle posizioni conquistate in precedenza dagli alpini.
Se la conquista di quelle cime era già fallita un anno prima, quando gli avversari non avevano ancora realizzato quel vasto ed articolato sistema difensivo dal quale ora dominavano la valle. Come potevano gli italiani riuscire in un’impresa del genere? I vertici dell’esercito italiano erano però convinti che con l’aiuto dell’artiglieria, scarsamente presente nel 1916, la resistenza sarebbe stata vinta. Così nella giornata del 18 i cannoni entrarono nuovamente in azione ed alle prime luci dell’alba del 19 tre battaglioni di alpini, coadiuvati dai fanti del 4° reggimento della Brigata Piemonte e dai bersaglieri del 9° reggimento, attaccarono le linee difensive austriache. Alle 6,40, pagando un alto tributo di sangue, venne conquistata la cima dell’Ortigara: “Le valorose truppe della 52′ divisione, vinta l’accanitissima resistenza e superate le enormi difficoltà del terreno, strapparono al nemico formidabili posizioni in regione di monte Ortigara, compresa la vetta (quota 2105).”3
Quella che sulla carta sembrava una grande vittoria, pagata con il sacrificio di molte vite umane, nella pratica si dimostrava di dubbia utilità in considerazione del fatto che le posizioni conquistate erano esposte al tiro delle artiglierie austriache e ben presto si sarebbero rivelate scarsamente difendibili.
Per cinque giorni i cannoni nemici martellarono le posizioni occupate dagli italiani ma gli alpini resistettero a quella devastante pioggia di piombo.
La notte del 25 giugno le truppe dell’esercito della monarchia viennese sferrarono un improvviso e violento attacco, con uso di lanciafiamme e gas asfissianti, contro le posizioni tenute dagli italiani. Non era ancora spuntata l’alba quando i reparti del colonnello von Sloninka piantarono la bandiera imperiale sulla cima dell’Ortigara. Fu un’ecatombe: la tomba degli alpini. Ma non era ancora finita. Lo stesso giorno i comandi italiani lanciarono al contrattacco quelle stesse truppe decimate e provate dai combattimenti dei giorni precedenti. Un’altra carneficina. Quota 2105 non sarebbe stata più riconquistata. Il battaglione Cuneo si attestò su quota 2003 e la difese fino al 29 giugno, prima di cedere davanti all’insostenibile pressione degli austriaci.
Agli italiani, al termine di quella tragica giornata, fu raccontato che le nostre truppe si stavano opponendo “agli sforzi disperati del nemico che ad onta di perdite ingenti cerca di riconquistare le posizioni recentemente perdute in regione di monte Ortigara, attacchi e contrattacchi si susseguono sulle posizioni contrastate.”4
Il giorno seguente viene ammesso l’abbandono della vetta dell’Ortigara:
“ Alcuni tratti delle posizioni di cresta completamente sconvolti e violentemente battuti senza possibilità di ripari dai micidiali concentramenti di fuoco avversario, non vennero da noi rioccupati.”5
Era rimasto in mano agli italiani il passo dell’Agnella che fu però riconquistato dagli austriaci il 29 giugno. Ma anche per questo episodio c’era una spiegazione. “Nella notte sul 29 sull’altopiano di Asiago di fronte al prolungarsi del violento bombardamento avversario nostri posti avanzati di fanteria vennero ritratti dal passo dell’Agnella mantenendosi sul fianco orientale del passo stesso.”6
L’offensiva sull’Ortigara si rivelò un fallimento. Il generale Ettore Mambretti, ritenuto responsabile dell’accaduto, venne rimosso dal comando ed assegnato ad altro incarico. Gli italiani accusarono ventiseimila perdite, tra caduti, feriti e dispersi, a fronte di neanche diecimila caduti di parte austriaca. I lettori dei giornali dell’epoca erano stati informati solo delle “perdite ingenti” del nemico.
La realtà dei fatti non poteva però sfuggire a chi la guerra la stava vivendo sulla propria pelle: “C’è stata, in questi giorni, una sanguinosa battaglia, senza successo, per conquistare l’Ortigara. Venti battaglioni alpini macellati, e per niente.”
Come è nata l’idea di questo libro?
Tutto ha avuto inizio con il fortuito ritrovamento della raccolta di bollettini del comando supremo dal 1915 al 1918. Ad un primo esame di questo materiale rimasi perplesso: linguaggio retorico, certe volte prolisso altre volte estremamente sintetico. In entrambi i casi la sensazione era che quei documenti volessero nascondere più che raccontare qualcosa. Mi sono quindi posto una domanda: quale ruolo hanno svolto i mezzi d’informazione nel condizionamento dell’opinione pubblica? Difficile poter individuare una risposta netta, unica cosa certa è che in quel frangente storico la stampa ebbe un ruolo nel condizionamento dell’opinione pubblica, orientando le masse e facendo passare l’idea sulla necessità della guerra.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La fase finale ha riguardato un lavoro di sintesi e di trasposizione dei dati raccolti in una forma di facile comprensione.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Per la saggistica Aldo Cazzullo, Mario Isnenghi e Filippo Boni. Per la narrativa a tema storico Valerio Massimo Manfredi.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato e vivo in Valdarno, provincia di Arezzo, nel cuore della Toscana.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Proseguire nella ricerca storica, settore che fino ad oggi mi ha dato grandi soddisfazioni.
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