
Edito da Helios Edizioni nel 2021 • Pagine: 119 • Compra su Amazon
Un giovane giornalista, a seguito di un evento fuori dal comune, vedrà la propria esistenza completamente stravolta.
La successione degli eventi narrati ed il suo conflitto interiore, lo costringeranno a trovare delle soluzioni estreme.
Il racconto cercherà di evidenziare il desiderio del protagonista di trovarne il lato positivo nell'epilogo, pur condizionato da dilemmi esistenziali.

Prima Vita
– Inizio gioco –
“Il volo W65571 per Heraklion è in attesa di essere imbarcato al GATE 6…”
Seduto sulla panchina gelata dell’aeroporto, dopo aver passato la notte in viaggio, tra stazioni ferroviarie sporche, deserte ed un autobus che puzzava di stoffa umida, aspettavo da solo l’imbarco sul primo aereo della mia vita.
Mi misi in questa situazione qualche giorno prima, quando chiesi al direttore del giornale di farmi scrivere un pezzo sulle strutture alberghiere. Fino ad allora non mi ero mai mosso di casa, temevo persino la mia ombra, sta di fatto che fui accontentato. Un giovane giornalista che scriveva “di tutto” senza sapere realmente nulla, stava per conoscere l’esperienza più emozionante, singolare e misteriosa della sua vita. I miei genitori, infatti, mi avevano protetto come un pulcino sotto la campana di vetro: ero figlio unico dunque sempre tutelato e difeso da loro. Indossai gli auricolari come ero solito fare per isolarmi dal resto del mondo: la consideravo una sorta di armatura che mi riparava dai rapporti con gli sconosciuti, il mio “scafandro” per immergermi nel mare della società.
Era, quindi, arrivato il momento di mettersi in coda verso l’ingresso del velivolo, un apparecchio di medie dimensioni, sembrava essere l’inizio di un incubo per un “claustrofobico asociale” come me. Sfuggivo ogni possibile sguardo pur di evitare, anche solo, l’accenno di un sorriso da parte di un passeggero del volo, ma purtroppo non potei evitare l’hostess che mi obbligava a togliermi gli auricolari e spegnere il telefono per prestare attenzione agli avvertimenti di sicurezza prima del decollo. Inconsapevolmente mi ritrovai d’innanzi ad una pantomima che avrebbe dovuto insegnare, ai passeggeri di quel volo, ad osservare dei comportamenti “inumani” in caso di incidente, come se fosse possibile fare qualcosa di diverso dall’urlare disperati.
Quando gli assistenti di volo terminarono il loro “balletto di gruppo” fui nuovamente autorizzato ad indossare gli auricolari per nascondere il fastidioso rumore provocato dai reattori ed il brusio dei viaggiatori.
La vita sino ad allora non mi aveva regalato molte sorprese, quindi ero fiducioso del fatto che non avrebbe iniziato proprio in quel momento, ciò nonostante avvertivo un senso di impotenza nella sfortunata evenienza di un guasto al motore.
Un brivido mi percorse la spina dorsale, nel momento esatto in cui l’aereo sollevò il muso, effettivamente provai una sensazione nuova, ne fui rapito al punto tale da provarne un insano piacere. Un sorriso mi solcò il viso come una cicatrice profonda, mi segnò l’anima indelebilmente.
Un insignificante puntino illuminato nell’universo, si stava accorgendo per la prima volta di quanto fosse minuscolo al cospetto del cielo.
Ogni dolore sembrò sedarsi, ogni pensiero negativo venne annegato dalla speranza, persino le persone attorno a me avevano assunto una forma più gradevole, nonostante avessi dei vicini particolarmente fastidiosi.
Alla mia sinistra, era seduto un signore che indossava una “indecorosa” camicia a maniche corte con fantasia Hawaiana, dei pantaloncini corti color crema, calzini di spugna bianchi e sandali marroni. La sua fronte era piena di goccioline di sudore, che ogni tanto decidevano di suicidarsi tuffandosi sulla camicia, mentre la sua testa pelata continuava a produrne di nuove, probabilmente tutto ciò era dovuto alla sua corporatura da lottatore di Sumo.
A destra ero, invece, imprigionato da una signora, che occupava il primo sedile della mia fila, la quale somigliava ad un paesaggio innevato, ne era colpevole la forfora che le imbiancava le spalline di un vestito nero.
Lei era pallida, con la pelle formava delle pieghe che cadendo dalle maniche mi suggerivano la sua età avanzata, nonostante il viso fosse nascosto da un foulard “…questa maledetta aria condizionata”.
Il finestrino mostrava un azzurro pastello, quello della mattina appena levata, intuivo il freddo esterno dalla condensa sul vetro, mentre qualche nube mi indicava la direzione del volo.
Il viaggio era appena iniziato, sapevo che non avrei potuto chiedere alla mia vicina che mi bloccava di farmi passare, per due motivi principali: avrei dovuto rivolgerle la parola, dunque distruggere quella meravigliosa quiete tra noi e poi, vedere tutta quella forfora svolazzare ovunque nel momento in cui si fosse alzata dal suo sedile. Mi giurai che, qualora si fosse alzata autonomamente, ne avrei approfittato per uscire da quella prigione, magari cercando qualche altro posto isolato.
Sfortunatamente il tempo passava senza vedere alcun movimento da parte della vecchia, “…e se fosse morta? …no, ecco ha appena aperto la bocca”.
Ero stato seduto per quasi tutto il viaggio in quel posto striminzito, con il ciccione e la vecchia, quando una voce metallica e gracchiante proveniente dall’altoparlante, mi portò in dono la tanto attesa notizia: l’imminente arrivo nell’isola di Creta. Il muso del velivolo, questa volta, puntava verso il basso e la sensazione che provavo era di liberazione, pensai che se ci fossimo schiantati al suolo, almeno non avrei dovuto continuare a stare seduto tra quei due soggetti.
L’impatto delle gomme dell’aeroplano sulla pista d’atterraggio mi fece capire che il momento di scendere era vicino, certo avremmo dovuto attendere l’arresto di un ammasso di lamiere a folle velocità in una pista minuscola. Il miracolo avvenne, eravamo finalmente fermi ma l’asfalto grigio, infuocato e pieno di strisce nere, era l’ultimo ostacolo da superare con un piccolo bus, prima di potermi riappropriare del mio spazio vitale fortemente violato, ormai da ore.
Ogni lieto fine non può non essere premiato da un’altra piccola attesa: il nastro che trasporta i bagagli, dove ogni bagaglio è uguale al tuo ma nell’avvicinarsi perde ogni somiglianza. Trovato finalmente il mio bagaglio, certificato dall’etichetta con il mio nome scritto sopra, mi avviai verso l’uscita.
Il caldo umido mi aveva appiccicato i vestiti addosso, dovevo immediatamente infilarmi sotto la doccia, cercai il nome dell’hotel che mi avrebbe ospitato e che, sfortunatamente per lui, sarebbe stato anche oggetto del mio cinico giudizio. Una volta trovato il nome, non mi rimaneva altro che raggiungere la struttura, fortunatamente sul piazzale al di fuori dell’aeroporto, c’era una distesa di macchine gialle. Mi avvicinai ad una di queste auto chiedendo in inglese se mi potesse accompagnare a destinazione, ricevuto il benestare del tassista ed accomodatomi sul sedile posteriore, partimmo. Notai una enorme differenza di paesaggi rispetto a quelli visti prima, mi lasciai affascinare dalle curve che in salita mostravano il mare in lontananza, ma nello stesso tempo ero infastidito dalla puzza di escrementi che invadeva l’abitacolo proveniente dai campi circostanti.
***
La zona di arrivo era dall’altra parte dell’isola, del resto anche se non lo fosse stata, il greco avrebbe fatto il percorso più lungo pur di spillarmi qualche soldo in più, comunque, non mi curai del tempo perché mi stavo finalmente godendo un sedile posteriore tutto per me.
Giunto al resort e pagato il taxi, andai a prendere la chiave, superate le interminabili procedure di assegnazione della camera, senza curarmi troppo delle condizioni dello stabile alla reception, mi diressi verso l’ascensore. La stanza era accogliente, emanava un profumo di pulito che mi diede subito una buona sensazione, entrato in bagno aprii subito l’acqua della doccia ed infilatomi sotto al suo flusso, sentii la tensione sciogliersi insieme al sudore secco che avevo sulla pelle. Le mie idee erano ancora confuse, avevo dormito poco, quindi pensai che forse non sarebbe stata una cattiva idea dormire qualche ora.
Posai la testa sul cuscino, aveva l’odore tipico delle lavanderie industriali, quello che si sente in ogni albergo. Quell’odore mi aveva sempre dato la sensazione di trasferta, non lo avevo provato tante volte ma mi ricordava le mie vacanze, soprattutto con la mia ex fidanzata.
Ci lasciammo qualche mese prima, lei odiava le mie manie di perfezione, forse il vero motivo delle nostre interminabili liti.
Non ne sentivo la mancanza, ero anestetizzato da tutto quello che mi si allontanava, come se quello che non vedevo non esistesse realmente.
Aprii gli occhi nel buio della stanza, ero leggermente disorientato, nonostante sapessi esattamente dove mi trovassi volli controllare alla finestra. Erano passate alcune ore, il cielo era scuro e le luci della piscina sottostante erano accese, lasciando trasparire un fondale azzurro chiaro.
Mi domandai se fossi in tempo per la cena dato che, avendo saltato il pranzo, ero affamato.
Mi misi i primi vestiti che trovai nella valigia, senza preoccuparmi più di tanto dei colori, fu un comportamento abbastanza insolito ma giustificato dalla fretta.
Il posto era molto curato, indubbiamente di grande impatto visivo, avrebbe sicuramente meritato un punteggio alto nella valutazione. La sala ristorante era gremita di gente, questo mi rassicurò sulla possibilità di mangiare, le scene a cui dovetti assistere però mi lasciarono sgomentato.
Persone di tutte le età ed etnie, si accalcavano sulle vetrine ed i banchi del self-service dove erano esposti gli alimenti, caricavano porzioni enormi di cibo in piattini minuscoli per poi lasciarli praticamente pieni a fine pasto sui loro tavoli, dimostrando poco rispetto per gli altri ospiti e soprattutto non curandosi della quantità di spreco alimentare che producevano.
Mi avvicinai ai vassoi, sperando che non mi fosse capitato uno di quei piatti lasciati ai tavoli, magari riciclato da qualche cameriere.

Come è nata l’idea di questo libro?
AFFOGARE NEL BUIO è la continuazione parallela delle mie esperienze narrate nel mio primo libro, ho deciso di entrare nel personaggio dal punto di vista del turista ma per eliminare ogni residuo di realtà ho voluto trasformarlo in una allegoria, un racconto che si legge tra le righe di un URBAN FANTASY, dandogli un carattere atipico e difficilmente somigliante ad altri.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Le difficoltà riscontrate nell’ultimazione del libro sono state incontrate dal tempo limitato dovuto al lavoro che stavo svolgendo all’epoca. Ho scritto tutto il finale durante la notte togliendomi ore di sonno e ritagliandomi degli spazi nelle pause, pur di consegnarlo in tempo per il concorso letterario al quale mi ero iscritto. Purtroppo fui escluso dalla competizione per aver pubblicato in contemporanea la versione spagnola del medesimo.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sicuramente i più autorevoli sono Stephen King e Raymond Chandler, pur avendo sfiorato alcune tematiche che ricordano i poeti classici e sicuramente parte di studi di psicologia fatti in gioventù.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo in Italia nella splendida Toscana, ho viaggiato molto ed ho vissuto in Spagna per molto tempo.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho in cantiere il seguito del libro, magari diventerà una saga.
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