Edito da Youcanprint nel 19 Dicembre 2019 • Pagine: 118 • Compra su Amazon
Il libro è a metà strada tra un romanzo e una raccolta di racconti; le storie in esso narrate, infatti, alla fine si riannodano in un epilogo comune. I protagonisti vivono la loro condizione di cinquantenni negli anni ottanta del secolo scorso. Essi si ritrovano, loro malgrado, a rivivere nei ricordi vicende e storie che la mente sembrava aver cancellato per sempre, facendo fatica ad addentrarsi in una dimensione del tempo così distante da apparire loro estranea, finché l’intreccio delle vicende della loro attualità non stimolerà il richiamo della memoria proiettandoli in un passato che forse non è mai divenuto tale. Come in un gioco di specchi, il passato e il presente si rincorrono e si sfiorano, fino a confondersi e a rinserrarsi, dando vita a uno straordinario rimpallo tra tratti del passato e momenti del vivere presente; ricordi di un passato troppo distante che si credevano perduti di colpo affiorano nelle menti dei protagonisti sbalzandoli verso tempi lontanissimi.
Gli anziani del paese ancora ricordano la fredda mattina d’autunno di un tempo ormai distante: le lacrime delle donne e le grosse ceste di vimini, adattate alla bell’e meglio a valigie, che i maschi trasportavano a spalla, già di buon mattino, fino alla fermata delle corriera. Ceste e bauli da trascinare fino a destinazione, prima in treno e poi in nave. In molti è ancora vivo il triste ricordo della drammatica partenza della corriera con a bordo intere famiglie che quella mattina partivano in cerca di fortuna “all’America”.
Michele conserva ancora nitido il ricordo di quel lontano giorno. Non aveva mai dimenticato le lacrime di suo padre mentre si arrestava sull’uscio per chiudere la porta di casa per l’ultima volta, poco prima dell’alba, che era ancora buio, lasciandosi alle spalle una vita di stenti e fatiche e rinchiudendo tra le mura di quella modesta costruzione un lungo pezzo di vita. Quella porta suo padre non l’avrebbe più riaperta, malgrado non avesse mai smesso di ripetere che presto sarebbe tornato in Italia, avrebbe riaperto la porta di casa e vi sarebbe rimasto fino alla morte, godendosi gli ultimi anni di vita nell’ambiente amico del paese d’origine. Non aveva fatto in tempo. La morte lo aveva colto a migliaia di chilometri dalle sue origini, poco dopo la pensione, alla fine di anni di duro lavoro come operaio in una grande fattoria di bestiame.
L’emozione del ritorno per Michele era grande. Già dal momento dell’imbarco sull’aereo per l’Italia cominciò ad avvertire un tremolio alle gambe e una sorta di senso di vuoto che gli comprimevano l’addome. Durante il volo, per scacciare il malessere che lo invadeva, si consolò al pensiero che di lì a poco sarebbe tornato a respirare l’aria della sua infanzia. Già all’indomani avrebbe ritrovato la casetta dove era nato. Dopo molti anni trascorsi dall’altra parte del mondo avrebbe rivisto gli amici di un tempo. Quei momenti tanto caldeggiati, attesi da troppo tempo, si stavano avvicinando.
All’arrivo al paesino l’emozione fu intensa. Il ricordo delle pozzanghere e delle strade sterrate, senza auto e invase da galline e caprette che pascolavano liberamente in ogni angolo del paese, gli apparvero come parte di un mondo lontano e estraneo che stentava a riconoscere. Attraversò la piazza e si incamminò lungo la stradina stretta che portava verso casa.
«Quanti ricordi», pensò mentre contava i passi che lo separavano dalla sua infanzia.
Come è nata l’idea di questo libro?
Il libro è nato dalla constatazione del rischio sempre più incombente che si vada poco alla volta perdendo la memoria storica di certi luoghi e, con essi, delle persone che in quegli ambienti vissero. La storia ‒ e le storie, soprattutto quelle legate ai piccoli centri ‒ si tramandano oralmente, attraversano le generazioni unicamente per il tramite delle narrazioni che ne fanno i protagonisti o i testimoni, sia diretti che indiretti. Così, i protagonisti di vicende risalenti nel tempo e legate a determinati luoghi vivranno solo se e fino a quando ne esisteranno le narrazioni orali; diversamente, se si perderà tale tradizione orale, certi microambienti ‒ e i personaggi che di essi hanno fatto parte, contribuendo a farne la storia ‒ saranno fatalmente consegnati all’oblio.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Dapprima sembrava che le storie nascessero da sé e che la scrittura venisse di getto. Man mano che andavo avanti, però, i frutti dell’immaginazione sembravano esaurirsi, tanto che si è reso necessario interrompere il lavoro per riprendere la scrittura alla fine di una pausa abbastanza prolungata.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Tolstoy, Checov, Charles Dickens.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Torino.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Spero di completare una trilogia sulla memoria dei luoghi, proprio a rimarcare la necessità di un “ritorno alla memoria”, di un “ricordarsi di ricordare”.
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