Edito da Oèdipus nel 2020 • Pagine: 128 • Compra su Amazon
Il consueto ‘giro’ di clienti di un lattaio (un’istituzione nel Regno Unito, come il postino, l’esattore comunale e il lavavetri) in un abitato popolare di una città ‘napoletana’ del Nord Ovest dell’Inghilterra (Liverpool), è metafora di un popolo e delle sue abitudini che mal si adattano ai capricci delle mode e delle epoche, a dispetto di certi cliché che indicherebbero il contrario.
Milkie Lattek, effettua il suo giro di consegne una domenica mattina di un tempo verosimilmente circoscritto (anni ‘50-’70), ma il background socio-culturale delle sue vicissitudini e delle sue ‘scoperte’, potrebbe benissimo riferirsi all’epoca Vittoriana o Eduardiana d’inizio ’900 - fatti salvi alcuni personaggi e loro mestieri.
Il tono che accompagna le ‘avventure’ del lattaio denota il taglio fantastico del testo e la tendenza dello stesso a situazioni misteriose e irrazionali che, tuttavia, trovano spesso riscontro nella cultura sottoproletaria - e non solo - di quel popolo.
Le ‘commistioni’ linguistiche riguardano due tipi di ‘manipolazioni’. Uno superficiale: pagina 1, righi 1 e 2, “disoccupati-in-dolo”, “gamblisti” (da ‘unemployed’ e ‘to be on the dole’, che è poi la stessa cosa; e ‘gambler’, giocatore, scommettitore). Uno più profondo, di tipo linguistico-culturale: sempre pagina 1, “osserva un uccello dall’alto”, la ‘bird’s eye view’ con cui la lingua inglese rendeva la ‘veduta aerea’ prima che l’aereo fosse inventato. Oppure, ancora a pagina 1, “la gente dorme come ceppi”, da ‘sleep like a log’. Trasposizioni meccaniche e apparentemente prive di riferimenti semantici e/o culturali.
Morecambe Close è un cul-de-sac cinque miglia a sud-est del City Centre. Si trova in un distretto abitato da sudditi d’ogni specie: servi civili, pensionati, laburisti, disoccupati in-dolo, scrocconi, madri-non-maritate, ex calciatori, modelle, monelle, concubini, gamblisti & co.
Tutt’intorno nella zona, altre file di case comunali schierate spalla a spalla, tre quattro blocchi di appartamenti angusti, eretti malinconici nella plumbea atmosfera del North West. Le ampie chiazze di verde – altrimenti monotone alla vista – intervallano opportunamente le rette linee grigie di case e vie, in molti punti (osserva un uccello dall’alto) animate da vuoti di pepsi e crisps multicolori.
Agili ed essenziali, i padiglioni dello stato assistenziale sono presenti in numero cospicuo: qui la scuola elementare, lì l’asilo nido; qua il presidio sanitario, là il centro per l’impiego e l’ufficio di sicurezza sociale; laggiù in fondo, un parco spelacchiato con scivoli, altalene e porte di calcio con reti sfondate. Al centro, l’immancabile pub succhiasterline, catalizzatore insostituibile, secolare livellatore delle popolazioni nordiche.
La strada che t’immette in Morecambe Close è ben levigata, aiuolata entrambi i lati, e chiusa in rettangolo irregolare da diciassette casette comunali identiche a due piani, sì e no sessanta metriquadri ognuna. Milkie ci viene da anni, allatta tutto il caseggiato, come e forse più di una mamma ai tempi delle bombe della Luftwaffe.
La Domenica mattina è resa dei conti di una settimana e il giro va fatto all’incontrario: 17, 16, 15, 14, 13, giù sino al n. 1. Il furgoncino sbottiglia, annaspa, si arresta. A quest’ora, le sette dell’orologio, la gente dorme come ceppi. Qui non è come altrove: il Sabato viene sempre consumato per intero, e oltre, a prescindere dallo status della famiglia o del singolo suddito. I gatti condominiali accolgono Milkie a modo loro: prendono a sfrecciare da un lato all’altro del rettangolo, forse per dare l’allarme o l’adunata. Li vedi in un baleno radunarsi a dorso curvo attorno al furgoncino, nella speranza felina che una bottiglia almeno si sconquassi, dato che solo un cucciolo di cane potrebbe aspettarsi da Milkie un’intera pinta gratis.
L’adunata è silenziosa: i gatti inglesi sono parte integrante dell’ambiente. L’unico miagolio gli giunge da Furious, il mastiff degli Smarts al n. 8. Il lattaio a sua volta gli getta una sbirciata attraverso i rosai indolenziti dalla lunga notte del weekend: è accovacciato, probabilmente acciaccato dalla settimanale razione di legnate assorbite di nascosto. Gli fa quasi tenerezza, quel cagnaccio, a dispetto della fifa che gli mette ogni mattina. Chissà, conciato come appare, stavolta gli risparmia l’orrida visione delle zanne. Un vero incubo, per il Nostro: la notte – dipende dall’intensità del sonno – le vede persino insanguinate, come se l’avessero or ora finito di smembrarlo.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea è nata diversi decenni fa, quando vivevo e insegnavo in Inghilterra. Si è poi sviluppata e arricchita nel tempo, durante le frequenti incursioni con la (mista) famiglia in quel paese.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La sfida linguistica e stilistica che mi ero proposto sin dall’inizio ha subito non poche battute di arresto nel corso degli anni. Così come la creazione delle storie e dei personaggi, del resto (troppi in poche pagine, ma tutti necessari ai fini del progetto narrativo). L’atmosfera insieme gotica e ‘entertaining’ evocata in ogni pagina del testo richiedeva una buona dose di ironia e disinvoltura stilistica per intrattenere, appunto, il lettore. Divertirlo. Incuriosirlo.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
E.Bronte, Dickens, Stevenson e diverse narratrici americane contemporanee. Ho letto e goduto tutto quello che ha scritto la nostra Elena Ferrante.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo con la famiglia in un paesino sulle colline del golfo di Salerno. Ho vissuto a lungo in Inghilterra, in provincia di Avellino e sul Garda bresciano.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Progetti per il futuro? Un romanzo poco serio sugli ultimi cinquant’anni, scanditi dall’evento più seguto alla TV: i campionati del mondo di calcio.
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