Edito da Il seme bianco nel 2019 • Pagine: 176 • Compra su Amazon
Michela aveva un’esistenza normale fino al giorno in cui era sparita senza lasciare traccia.
Dopo una vana attesa, Luca aveva deciso di mettersi sulle tracce della sua compagna, coinvolgendo Elena, un’amica di Michela.
Un Barbone spende la vita su un marciapiede, sotto la casa di Michela, svolgendo la propria indagine con gli occhi.
Tre strade diverse che corrono lontane, ma che passo dopo passo si incontreranno, aprendo il sipario su una realtà lontana da ogni immaginazione.
Michela stanca di fuggire si era arresa agli eventi. I sentimenti di rabbia e paura dei primi giorni erano morti nella rassegnazione. Dal suo vissuto imbevuto di dolore, traspare la disperazione e la speranza dell’anima che non si arrende, come una barca nel mare in tempesta in continua lotta verso il porto.
Le gocce rigavano il vetro come lacrime mute, lasciando una scia umida prima di morire poco più in basso. Lo straccio indaco del cielo era gonfio di nuvole scure, e scendeva cupo nell’orizzonte basso, confondendosi con il verde petrolio del mare.
Michela era lì con il naso incollato alla finestra, raggomitolata in una felpa grigia, e gli occhi persi lontano. Il suo respiro appannava il vetro come nebbia sottile. Passò una mano per rimuovere quel velo che impediva al suo sguardo di fuggire.
Il mare urlava e le onde gonfie si infrangevano sugli scogli. La strada deserta stava annegando sotto la pioggia scrosciante. Il sole quella sera moriva tristemente senza colori in un tramonto grigio, che già aveva il sapore della notte. Era come paralizzata, rinchiusa nella scatola troppo stretta del dolore che le impediva qualsiasi movimento. Anche la sua mente imbrigliata dai quei lacci invisibili non aveva più un cielo in cui volare. Ma quale cielo! Anche quello era svanito, e ora le appariva come una chimera irraggiungibile. Ma reale che fosse stato, o solo sognato, di una cosa era certa: non avrebbe più potuto sfiorarlo neanche con il pensiero.
In quella settimana lì sull’isola i minuti stagnavano come se il tempo languisse in un presente senza passato e senza futuro.
Il peso di quel cambiamento improvviso la paralizzava. Tutto ciò che aveva sognato e vissuto prima di quell’evento era fuggito via, e anche lei se ne era andata dal mondo.
Era bastata la telefonata di quel venerdì mattina a cancellare ciò che era. Aveva già indossato il costume sotto un vestito leggero quando il ricevitore era rimasto fermo nella sua mano a mezz’aria dopo il suo “Sì”, pronunciato con un filo di voce.
Le ultime parole lungo il filo riecheggiavano nella sua mente vuota.
«Deve venire subito qui!».
Poi la telefonata era stata interrotta e con essa la sua vita.
Ora, le rimanevano solo i suoi occhi umidi dietro al vetro che la separava dal mondo, quasi fosse chiusa in una scatola di cristallo.
Avrebbe voluto aprire la finestra per sentire il vento tra i capelli, lasciando che la pioggia tamburellasse sulla sua pelle ferita per sentirsi ancora viva. Avrebbe voluto, ma non lo fece.
Rimase invece lì, come un manichino in vetrina con due lacrime che scendevano silenziose senza un singhiozzo bagnandole le labbra di sale. Quel vetro era una barriera che la separava dal mondo. Due spazi confinanti, ma severamente distinti: la vita da una parte, il vuoto e lei dall’altra.
Per un attimo sentì che tutta quell’acqua stava ammorbidendo il grumo secco del dolore.
Solo per un attimo.
Poi si voltò, e dalla strada osservò se stessa imbalsamata al di là del vetro e tutto scomparve.
Il vapore fuggiva dalla tazza stemperandosi nell’aria. Un sorso caldo scivolò sulle sue labbra asciutte.
Sette giorni prima era approdata sull’isola. Durante la traversata, era rimasta tutto il tempo sul ponte. Una scia bianca schiumeggiava a poppa, mentre il molo grigio lentamente si rimpiccioliva. Il vento le faceva vorticare i capelli tra l’azzurro del cielo e il blu del mare. Andò a prua lasciandosi alle spalle il passato da cui stava fuggendo, ma si sentì risucchiata da quella lingua di terra oramai scomparsa alle sue spalle; a piccoli pezzi, la sua vita venne strappata e gettata laggiù, come coriandoli al vento.
Ora era solo una bottiglia sballottata dalle onde.
Il motore ronzava pigro, e il mare indaco si era accucciato nel tramonto.
Seduta a prua, ancora frastornata dagli eventi delle ultime ore, Michela si chiedeva su quali sentieri avrebbe potuto ancora camminare. Chissà se questa sarebbe stata solo una parentesi, una lunga pausa
prima di riprendere il cammino.
Chissà se ci sarebbe stato un domani, un’altra strada, e se lei avrebbe avuto la forza di muovere nuovi passi. Quella distesa di acqua che ora si apriva davanti a lei come una via di fuga era forse solo una prigione senza confini.
Le luci del tramonto avevano lasciato il posto al grigio della sera. La luna tondeggiava nel panno scuro del cielo come una speranza nella notte, forse troppo lontana da afferrare.
Le lacrime si erano oramai asciugate con il vento che soffiava dal mare. In fin dei conti ora seduta a prua, stava andando incontro a un nuovo orizzonte, anche se aveva il sapore di una fuga. Forse era solo un’illusione, ma quel goffo tentativo di reagire, non la faceva sentire ancora del tutto morta. Sapeva che laggiù sepolto ogni miraggio, sarebbe stata sommersa dagli eventi; a nulla sarebbe valso ribellarsi per non annegare. Dibattendosi tra i flutti, avrebbe potuto solo inalare acqua fino a quando esanime, si sarebbe adagiata sul fondo.
All’inizio l’isola si materializzò lontano, come un puntino di luce tra le maglie scure della sera che di minuto in minuto, diventava più grande. Il porto era un vociare confuso di vacanzieri e isolani in oziosa attesa. Michela, schiacciata dalla ressa riuscì a guadagnare terreno e si affacciò alla passerella. Mise il piede a terra accerchiata dalla folla. La sensazione di solitudine che l’aveva accompagnata tutto il giorno, tornò a imprigionarla. Quella mattina, dopo la telefonata, aveva varcato una porta invisibile che si era subito chiusa alle sue spalle, da quella prigione di vetro poteva ora solo osservare il mondo, senza più udirne i suoni, né scaldarsi alla luce di un sorriso. Piccole pozze d’acqua stagnavano ferme sul granito irregolare del molo.
Restò inchiodata vicino a una bitta rugginosa con il borsone a tracolla e uno sguardo senza luce. Poi quando la fiumana umana si prosciugò, avanzò lenta attraversando la piazza e si inerpicò su una stradina ripida soffocata da vecchi edifici di pietra.
I suoni di poco prima si affievolirono; rimase il rumore solitario del suo calpestio tra le mura scrostate.
A mezza costa si fermò, e infilata una mano nella borsa, tirò fuori un foglietto sgualcito con un indirizzo. Dopo avergli gettato un’occhiata, alzò lo sguardo e frugò la stradina.
«Cerca qualcuno?» chiese una voce argentina piovendo dall’alto. Michela alzò il capo, e scorse una donna corpulenta di mezza età affacciata a una finestra. Aveva i capelli spettinati e il seno prosperoso abbandonato sul davanzale.
«Buonasera» rispose dopo un attimo di sorpresa.
«Sa indicarmi dov’è il numero quattordici?» le domandò.
«È il terzo portone dopo il mio».
Michela ringraziò e proseguì.
Il donnone tornò di vedetta, scandagliando la strada come una sentinella.
Sudata per la fatica e il caldo percorse gli ultimi cento metri.
Adesso era lì seduta nella stanza in affitto. Il vetro della finestra era diventato uno specchio opaco che rifletteva la sua immagine sullo schermo della notte. Era un’immagine indefinita, come confusa era in quel momento la sua vita.
Come è nata l'idea di questo libro?
Scrivere una storia, un romanzo, è per me immaginare una trama, tracciare un sentiero sul quale, attraverso i personaggi e le vicende, il vissuto di ognuno diventa protagonista con le sue emozioni, le sue lacrime, i suoi sorrisi. Da sempre appassionato di scrittura, non sono mai mancati nel mio zaino una matita e un taccuino durante i miei viaggi in Paesi del Terzo Mondo dove come medico mi sono trovato ad operare. Dal mio lavoro qui in Italia e in quei Paesi lontani ho tratto lo spunto per la stesura di questo romanzo.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non ho trovato alcuna difficoltà. La scrittura per me è evasione come un volo in un cielo azzurro.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Maxence Fermine, Tiziano Terzani, Pablo Neruda.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato in Piemonte, dove ho vissuto la mia infanzia. Mi sono poi trasferito ancora bambino nel Lazio. Laureatomi in Medicina ho cominciato a viaggiare lavorando in diversi Paesi africani dove ho trascorso lunghi periodi nell'arco di undici anni.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Continuare a scrivere. Ho finito da pochi mesi il mio terzo romanzo e mi sto accingendo ad iniziare la stesura di un quarto.
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