Edito da Sergio Beducci nel 2020 • Pagine: 370 • Compra su Amazon
Luca ha poco meno di trent'anni, vive a Roma, sceneggia e illustra fumetti; ha una madre che vive in Danimarca, un fratello che disprezza tutto quello in cui crede, un padre che lo ha costretto, con un ricatto, a frequentare una lunga serie di sedute da uno psicologo. La diagnosi certificherà che soffre di un disturbo evitante di personalità o DEP. Ma è Luca che rifiuta d'inserirsi nel tessuto sociale o è il mondo che gli hanno costruito intorno, con le sue rigide regole e strade sbarrate, a escludere lui e gran parte della sua generazione?
Prendendo spunto dal suo presunto disturbo, ha creato una serie di fantascienza, in cui un gruppo di alieni molto progrediti, gli Evitanti, ha invaso il pianeta Terra spargendo terrore.
Luca ha molti amici a cui piace organizzare feste illegali che durano giorni. A una di queste feste incontrerà una strana ragazza che sostiene, a certe condizioni, di poter avvertire il respiro dell'universo. Insieme affronteranno un lungo percorso di sofferenza e rinascita. Saranno complici, saranno amanti, si misureranno con padri violenti e con un mondo spietato che non esita a perseguitare donne libere, persone indifese, tutti coloro che non si sottomettono alle sue leggi.
Definiti con questo appellativo all'interno del libro, gli Alieni psicopatici allora sono proprio loro, la generazione che oggi ha tra i venti e i trent'anni, forse la più incompresa, la meno garantita dagli anni Sessanta ad oggi.
Pieno di riferimenti musicali, cinematografici, fumettistici e di culture underground giovanili, Alieni psicopatici alterna un registro ora ironico, ora drammatico, situandosi tra il romanzo generazionale e il romanzo di formazione.
Un libro sull'amicizia e sull'amore, sulla difficoltà di essere giovani in questo Paese, sul valore della libertà.
Alla fine di ogni capitolo il lettore potrà trovare link e codici QR che rimandano a brani musicali, frammenti di film, immagini.
Mi chiamo Luca e sono un evitante. Così almeno mi ha definito qualche tempo fa lo psicologo da cui mio padre mi ha costretto ad andare con un odioso ricatto.
Il terapeuta in realtà ha solo suggerito che qualche tratto della mia personalità potrebbe essere leggermente disturbato. Immagino che in parte lo abbia dedotto da certi episodi della mia vita che gli ho raccontato: erano palesemente inventati e non riesco a capire come abbia fatto a non rendersene conto. Anche se, mentre li raccontavo, avevo una forte tendenza a immedesimarmi. Sì, credo di essere risultato piuttosto convincente, e d’altra parte mi sarebbe piaciuto molto averli vissuti sul serio.Nonostante tutto, qualcosa di verosimile è comunque venuto fuori: ad esempio che tendo a mantenermi il più possibile alla larga dalle convenzioni sociali e dagli interessi consueti che ha la gente. Che sono troppo legato alla mia tribù di (discutibili) amici e che non sento l’impulso di fare nuove conoscenze. E ancora, che non avverto l’insopprimibile bisogno d’integrarmi e di essere attivo, produttivo e riproduttivo. Infine, che ho un rapporto decisamente conflittuale con i miei familiari e con qualsiasi forma di autorità.
Per lo psicologo potrei rientrare, in forma leggera, in un disturbo chiamato Disturbo Evitante di Personalità o DEP. O magari in una sindrome mista Evitante-Borderline.
Se fossi in voi comunque, non mi preoccuperei: non sono socialmente pericoloso né tendo a comportamenti maniaco ossessivi. Non verrò insomma a casa vostra per tentare di rubarvi l’argenteria e nemmeno per convincervi a tutti i costi a comprare un robot aspirapolvere made in Corea, disturbandovi mentre vi rilassate davanti alla TV e ascoltate i particolari dell’ultimo efferato omicidio familiare. Anzi, è probabile che se anche voi mi invitaste a cena, io non verrei. Non mi va di conoscervi, non ho interesse ad ascoltare i vostri guai, non voglio confrontarmi con quello in cui credete. Niente di personale eh? Semplicemente rapporti sociali nuovi e non voluti non mi attraggono, anzi, mi comunicano una grande inquietudine.
Tra parentesi lo sciamano dei nostri tempi, sì, lo psicologo, ha enumerato un mucchio di peculiarità e di punti forti del mio carattere, consigliandomi di sviluppare in modo creativo certe tendenze ribelli che ogni tanto mi spingono, appunto, a evitare contatti sociali e a deviare da comportamenti ritenuti normali.
Ecco, non so se mi definisce, ma preferirei essere considerato un deviante, piuttosto che un evitante; deviante mi sembra rappresentativo di uno stile di vita, e comunque, ne converrete, molto più elegante del modo in cui mi chiama in questo periodo mio padre. E cioè, demente. Giuro, il mio caro papà più di una volta mi ha chiamato con questo gioioso appellativo.
Tecnicamente avrei anche un fratello, ma mi sembra inutile parlarne: è un clone di mio padre.
Di me non vi ho detto molto, nemmeno che sceneggio e illustro fumetti. Anche bene, a dirla tutta. Sono stati pubblicati da diverse fanzine e riviste specializzate. Ai miei amici piacciono, e ho persino qualche fan che li compra, segue il mio blog e mi scrive e-mail incoraggianti. Per dare un nome alla mia serie principale ho preso in prestito il termine tecnico del mio presunto disturbo e l’ho fatto diventare un sostantivo plurale; così sono nati gli Evitanti, un gruppo di alieni misteriosi, sfuggenti, nonché assassini spietati che si nascondono tra di noi. Ci sarà tempo per farveli conoscere.
Tornando a mio padre, credo sia rimasto piuttosto deluso dal responso sulla salute della mia psiche… si aspettava come minimo una diagnosi di psicosi latente; o almeno attendeva di conoscere qualche episodio inquietante della mia vita, che lo psicologo non avrebbe potuto comunque riferirgli per un evidente problema di etica professionale. Tutto quello che ha ottenuto quindi, sono una serie di consigli piuttosto asettici e un invito a intraprendere un percorso di terapia familiare con me e mio fratello; invito che, conoscendolo, deve aver vissuto come un affronto. Nulla comunque che possa averlo aiutato a capire il mio comportamento da demente. (Un sacco di soldi buttati via, papà!).
Conclusa l’ultima seduta dallo psic sono tornato a casa, annunciandogli che avevo bisogno di riflettere sulla mia vita e che volevo passare un periodo da solo. D’altra parte il succo del suo ricatto, a cui accennavo all’inizio, era appunto questo: o andavo in terapia o mi avrebbe buttato fuori di casa. Magari era un bluff. Io comunque mi sono preso questa piccola rivincita: ho visto le sue carte ma poi ho deciso per conto mio. Anche se forse è stata una mossa avventata. Sono via da casa da qualche mese e sto per finire i soldi.
I miei amici, a turno, mi ospitano. Sono in gamba, anche se un po’ strani. Tra loro hanno preso l’abitudine di chiamarsi con i nickname che usano per navigare in Internet e per partecipare a feste più o meno illegali che durano giorni interi. L’unico a non avere un soprannome è il sottoscritto. Chissà perché.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea del libro è nata più di dodici anni fa; progetto abbandonato e poi ripreso e nutrito di avvenimenti e personaggi reali, seppure trasfigurati. Molti elementi e personaggi del romanzo, infatti, sono legati alla realtà. Certamente il villaggio del Druido esiste, così come esiste l’allegra tribù che lo frequenta. Ma anche Katrine e la sua libreria incantata di Copenaghen, specializzata il letteratura italiana, sono reali. Per ovvie questioni di privacy, naturalmente il nome della proprietaria è stato cambiato e la libreria al momento è chiusa. Sorprendentemente, persino la strana lapide del “viaggiatore del tempo” presente nel cimitero danese di Assistent è vera; potete dargli un’occhiata, se volete.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
È stato molto difficile scriverlo: mi sono reso conto, rileggendone più volte la prima parte, che era velleitario, con personaggi poco credibili, disomogeneo. L’aiuto di una editor professionista è stato fondamentale per riscriverlo e portarlo a termine.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sono moltissimi gli scrittori di riferimento e un paio sono anche nominati nel libro: Philiph Dick e James Ballard. Direi di aggiungere senz’altro F. Scott Fitzgerald, Irvine Welsh, Milan Kundera, Jonathan Franzen e tra gli italiani, Cesare Pavese, Giuseppe Dessì, Niccolò Ammaniti.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo in Umbria, a Terni e ho sempre vissuto in questa città.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Progetti letterari? Scrivere un romanzo distopico ambientato in Italia che racconti di una società disgregata ma osservata dal punto di vista dei due giovanissimi protagonisti.
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