Edito da Gabriele Baroni nel 2021 • Pagine: 127 • Compra su Amazon
Da cinque anni vivi a Barcellona, hai un lavoro ben pagato, un contratto a tempo indeterminato, una ragazza e una casa. È questa la felicità? Non per il protagonista di questo libro che decide di lasciare tutto, ragazza compresa e partire per un lungo viaggio in Sudamerica. Ha inizio così un’avventura che lo vede salire a bordo di bus sgangherati ispirato dai suoi scrittori preferiti: Cortázar, Borges, Sepúlveda, Chatwin. La libertà è camminare con lo zaino in spalla lungo vie invisibili. Almeno fino a quando un black out improvviso in un ostello di La Paz non rimescola le carte in tavola.
Km percorsi: 5.988
Ho salutato la piccola famiglia dell’ostello Rey Sol Reina Luna dove negli ultimi giorni una ragazza cilena mi ha insegnato a fare la pizza che poi sono riuscito a vendere con discreti risultati nei pressi di Epuyén. Il tragitto verso El Chaltén è stato lungo ma il paesaggio era di una bellezza senza pari. Dovevano essere ventidue comode ore di viaggio ma anche questa volta a causa di un guasto al motore all’altezza di Río Mayo, comune situato nel dipartimento di Río Senguer, siamo dovuti scendere tra il nulla e la polvere nella speranza che l’autista riuscisse a farlo ripartire. Impresa portata a termine dopo circa due ore di attesa e accompagnato da 34 sospiri di sollievo. Il cammino è ripreso lungo la Ruta 40, davanti ai miei occhi c’era questa lunga strada infinita nel mezzo del deserto e ogni tanto spuntava un guanaco o un nandù a salutarci, unico barlume di vita in quella distesa patagonica. In bus non guardavo mai film, internet non mi funzionava, il telefono era sempre scarico, non ascoltavo musica e mangiavo pochissimo. I miei occhi erano fissi sul grande finestrone davanti a me (cercavo sempre di accomodarmi nel primo sedile del piano superiore per lasciarmi ipnotizzare dalla strada). Mi sorprendevo a ogni cambio di paesaggio appena impercettibile e al massimo scrivevo qualche frase sul taccuino che tenevo sulle ginocchia. Mi piaceva il fatto che quando il bus incrociava una vettura proveniente dalla parte opposta dava un colpo di clacson e quella rispondeva illuminando i fanali e poi salutando con un gesto della mano come per dire: “Ciao amico, spero tu possa fare buon viaggio”. Mi emoziona sempre la complicità tra sconosciuti. Vedere il tramonto nel deserto è qualcosa di religioso, si tratta forse di ridare alla parola religione un suo possibile senso letterale, quello di “religare”, ricongiungere, mettere di nuovo insieme. La Patagonia è la strada che ti porta a fare l’amore con il deserto, sbattere la faccia contro le montagne, esporsi al vento, tuffarsi nei laghi verde smeraldo e sentire il freddo dei ghiacciai sulla pelle. Serve tempo per la Patagonia, serve essere pazienti. I guanacos ci insegnano tutto questo lungo la via e solo quando comprendi cosa vuol dire davvero essere, stare, esistere allora e solo allora ti guardano e saltellano via. Mi sono addormentato verso l’una di notte, risvegliato verso le quattro e poi sono ricaduto dentro un sonno profondo fino alle sette del mattino quando il bus stava percorrendo da diverse ore una strada sterrata. Vedevo le montagne in lontananza, la luce era eterea, uno dei risvegli più belli della mia vita. Mi trovavo quasi alla fine del mondo, lontano tremila chilometri da Buenos Aires e c’era tutto quello che si sogna alla fine del continente: laghi, ghiacciai, montagne, animali selvatici, arcobaleni, cieli sconfinati.
L’arrivo a El Chaltén rimarrà per sempre scolpito nella mia memoria di viaggiatore. Il massiccio del Fitz Roy, 3.405 metri, dominava il paesaggio con la sua forma a dente di squalo, mentre il Cerro Torre, 3.128 metri d’altezza una parete rocciosa acuminata lunga quasi un chilometro, completava un panorama di una bellezza primordiale. Il turista qua è nel posto sbagliato. Il turista ha fame di vedere cose, più cose cattura nella sua macchina fotografica e più si sente soddisfatto. Qua bisogna dimenticarsi il tempo, bisogna essere come dei monaci zen perché la natura è contemplazione. Da questo piccolo villaggio montano posizionato sulla sponda del fiume Río de las Vueltas, all’interno del Parco Nazionale Los Glaciares, mi sono dedicato al trekking di montagna con tre giorni di scalate che mi hanno segnato in tutti i sensi. Le condizioni meteorologiche da queste parti incidono non poco sulla possibilità di avventurarsi lungo i vari cammini, prima di partire è cosa saggia verificare la forza del vento, le possibilità di pioggia e l’altezza delle nubi perché il rischio è quello di salire e trovare il panorama completamente coperto. Da questo punto di vista sono stato fortunato perché avevo previsto di rimanere cinque giorni e ho trovato bel tempo i primi tre e nei due giorni di pioggia ho potuto riposare. Il giorno del mio arrivo dopo le tante ore di viaggio ho preferito andare alla Laguna Capri che si raggiunge con un sentiero di otto chilometri di cui i primi due sono abbastanza impegnativi. Il secondo giorno sono arrivato al Cerro Torre, una vista spettacolare dove si può davvero abbracciare l’universo e sentirsi completi con il tutto. Un cammino di circa sedici chilometri e anche in questo caso i primi due chilometri sono duri ma progressivamente il terreno tende ad addolcirsi. Il terzo giorno è stata la volta del mito, il Fitz Roy, un cammino lungo dieci ore. Non vorrei influenzare eventuali futuri scalatori ma, per quanto sia contento di avercela fatta e di essere arrivato in cima e aver goduto di uno spettacolo indescrivibile, se mi proponessero di salirci di nuovo probabilmente declinerei l’invito. Per tutto il tempo di questa scalata sulla mia testa volteggiavano due condor28 delle Ande, sono stati loro a guidarmi fino alla cima e sempre loro mi hanno riportato a valle lungo tutta la discesa.
Le montagne ci insegnano molto con il loro silenzio, lassù non ci sono bandiere, non si va da nessuna parte, le direzioni finiscono. Una volta raggiunta la cima, mi sono seduto con la faccia tra le ginocchia per ripararmi dal vento, sono diventato roccia. Forse il senso della vetta è arrivare stremato in preda alle visioni e conversare con Dio. Penso di essere arrivato in cima perché ho amato il cammino nonostante il dolore e a sua volta la montagna si è fidata, mi ha lasciato in vita, mi ha lasciato salire e a suo modo anche lei mi ha amato.
Rientrato stremato a El Chaltén, mi sono rintanato in un minuscolo bar a condividere empanadas e birra artigianale con altri viaggiatori. Ognuno raccontava la propria scalata alla montagna, ogni racconto era diverso dall’altro nonostante la montagna fosse sempre
la stessa. La montagna crea scrittori, poeti, bravi oratori, la birra scendeva fredda come un torrente impazzito e fuori dal locale le stelle sembravano le fiaccole celesti di un visionario Van Gogh.
Due giorni di riposo prima di ripartire. Due giorni per sciogliere i muscoli e per aprire le mappe. Mancava poco alla fine della prima parte di questo viaggio, Ushuaia ormai era vicina e non avevo la minima idea di dove andare dopo. Mi solleticava l’idea di risalire verso l’estremo nord dell’Argentina e poi tagliare per il nord del Cile. Forse il compito di queste montagne non era ancora concluso, forse queste montagne avrebbero portato consiglio.
Come è nata l’idea di questo libro?
Durante il viaggio scrivevo sul mio blog. Avevo tutta una serie di appunti e pensieri sparsi che erano come dei lampi. Una volta tornato a casa ho pensato di trasformare il blog in un libro. Non è stato facile, sono due modi di scrivere completamente diversi tra loro. Ne è uscito un libro che non è un romanzo e nemmeno un diario di viaggio. Non saprei etichettarlo, è rimasto libero, credo sia rimasto in viaggio con lo zaino in spalla.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Il problema è stato renderlo fluido. Le prime bozze superavano le trecento pagine, questo libro è stato un esercizio per imparare a togliere il superfluo.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Rumiz, Terzani, Cortázar, Borges, Sepúlveda, Chatwin.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato a Livorno ma ho vissuto a Siviglia, Londra, La Coruña, Lisbona, Arezzo, Roma e da cinque anni vivo a Barcellona.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Scrivere un romanzo ambientato in Argentina dove il protagonista non sono io, anzi, dove il protagonista è completamente diverso dal sottoscritto.
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