Edito da Amazon Publishing nel 2019 • Pagine: 239 • Compra su Amazon
È la storia di un’amicizia straordinaria e di un amore difficile. Rosa ed Isabella vivono un periodo storico importante, dalla metà degli anni 50 fino all'inizio dei 70, e non è il tempo delle mele. Per Milano è un impegnato combattuto e burrascoso ventennio: dal boom alla lotta operaia, dalla grande contestazione studentesca alla bomba di piazza Fontana, dalla legge sul divorzio all’approdo sulla Luna. Anni difficili ma anche appassionati. Isabella ha una famiglia ricca, una madre gelida, un padre che fa con lei giochi che non dovrebbe fare. Rosa cresce in una famiglia operaia, con pochi soldi ma molto calore. Si incontrano bambine il primo ottobre 1956, il loro primo giorno di scuola elementare, e da quel momento camminano tenendosi per mano nel mondo che cambia. E sempre per mano arrivano a quell’età che gli adulti dicono bellissima, ma in realtà è un groviglio di passioni e paure, di voglia di futuro e nostalgia d’infanzia. Negli anni della loro adolescenza temi come la sessualità, l’aborto, l’eutanasia, escono dal buio dell’ipocrisia sociale ed entrano prepotentemente nella vita di Rosa e Isabella. Un sorprendente finale lascia un retrogusto misto di malinconia, di gioia, di rabbia, di speranza. Il sapore della vita di altri, che poi è la vita di tutti.
Dormi? Sogni? O sei andata altrove? C’è un altrove?
Tu dicevi di no.
Dicevi che tutto quello che abbiamo è qui, e bisogna assaporarlo fino in fondo. Che non c’è niente, altrove.
Dicevi chi mi ammazza. E ti hanno ammazzata.
Io ti ho ammazzata.
L’angelo di marmo, severo custode della tua cappella, mi fissa con occhi vuoti.
Lacrime di pioggia sul suo viso e sul mio, un gelido bacio che scivola sul collo.
Io non ne ho più, di lacrime. Te ne hanno regalate tante gli altri, con tutti questi fiori. E poi sono scappati a inseguire la vita, lontano da questo profumo che stordisce.
Ma io non posso lasciarti. Questa cappella è così buia, così fredda. Sarai sola. Io sarò sola. Esistevo con te, da sempre.
Dal nostro primo giorno.
14 dicembre 1956
L’inverno è ancora più inverno, lì sotto, in quella palestra che sembra un’enorme gelida cantina. Dai tubi al neon tremola una luce fioca. Oltre i lucernari non si vede che il bianco sporco della nebbia. L’aria puzza di gomma, di sudore, di piedi.
Rosa vorrebbe scappare via. Odia la palla prigioniera e tutti gli altri giochi dove si vince o si perde. Odia incespicare nei pantaloni troppo lunghi della tuta, nelle stringhe delle scarpe di tela che si slacciano sempre. Odia essere tartassata dalle pallonate, e non riuscire mai a colpire gli avversari.
La milionesima palla le arriva addosso e la fa cadere. L’urlo inferocito di Guido Marchini, il secchione che non vuole perdere mai, rimbalza sui muri e le rimbomba nelle orecchie: «Adesso basta, brutta cicciona quattr’occhi! Vuoi proprio farci stracciare, eh? Non sei nemmeno buona a stare in pie…»
Non riesce a finire la frase, Isabella urla più forte di lui: «Chiudi la bocca, brutto rimbambito! A te ti hanno già beccato almeno quattro volte! Sei secco e fai schifo come uno scheletro e dici cicciona alla Rosa? Gli occhiali mettiteli anche tu, buffone! Ma scuri scuri, così non vediamo i tuoi occhi storti!»
Guido serra i pugni, diventa paonazzo e poi pallido come la nebbia; dalla bocca spalancata il suo grido di rabbia diventa singhiozzo. Scaraventa via la palla con un calcio e se ne va dalla palestra, le mani a coprire la faccia inondata di lacrime.
Isabella, braccia incrociate, testa alta, guarda i compagni uno a uno.
«Qualcuno di voi crede per caso che ha ragione il Guido?»
Dopo un lungo momento di silenzio assoluto la partita riprende.
Rosa non è più la cicciona quattr’occhi. È l’amica di Isabella.
24 marzo 1966
Il vento di marzo spettina i ragazzi e profuma Milano. Oggi non si lavora, oggi c’è vento.
Rosa, tenendo stretta la mano di Toni, cammina insieme a tutti quegli studenti. Sono tantissimi a marciare per le vie di Milano. Vanno a piedi, in auto, in motorino, verso una cosa grande forse più di loro.
In mezzo a tutti quegli striscioni ondeggianti Rosa intravede i lunghi capelli di Isabella che il vento solleva in una raggiera dorata.
«Ehi, Isa, ci sei anche tu!»
«Ti sembra che potevo mancare? Da quanto tempo ti sto dicendo che il corpo è solo nostro, che il sesso è un diritto, che i grandi ci raccontano balle per tenerci buoni? Ti sei svegliata finalmente, Ro? Ehi, scommetto che tu sei Toni.»
15 agosto 1966
Il cielo è rosa e il mare lilla quando Toni esce dalla sua tenda. Fugge da quella notte sudata anche se il sole non è ancora nato. Scende in spiaggia, si butta nell’acqua di madreperla, nuota con rapide bracciate fino a non avere più fiato. Poi, steso sulla schiena, si lascia cullare dal lento movimento del mare. Urla di gabbiani sopra di lui, come risate sconce.
Rosa spalanca gli occhi pieni di lacrime. Nel sogno Toni faceva l’amore con Isabella e gridava di piacere. Ma sono i gridi delle rondini che adesso salutano l’alba. Dalle persiane il sole, con dita luminose, disegna righe gialle sul muro. Rosa pensa a Toni. Ieri sera è tornato al suo campeggio presto, dopo un bacio di buonanotte leggero. È saltato sulla sua Lambretta e via. Da chi, da cosa scappava così in fretta?
Isabella dorme, abbracciata al cuscino, un dito in bocca, Mio accovacciato sui piedi.
Ha il respiro leggero, un sorriso sulle labbra. Sogna. E sognare le piace.
Quando Rosa e Isabella scendono a fare colazione Greta porta un biglietto trovato nella cassetta della posta.
È di Toni. Dice che a casa sua è arrivata lacartolina: deve tornare a Milano per la visita di leva.
8 agosto 1967
Le lingue gialle e arancioni del falò lambiscono il blu profondo del cielo. Sciami di monachine, minuscole stelle scoppiettanti, si spengono mentre tentano di raggiungere le sorelle troppo lontane.
Il mare è un inchiostro lucido e nero e ha il respiro tranquillo di un bambino che dorme.
Seduta sulla sabbia Isabella guarda Gérard, il suo corpo nudo allacciato al corpo nudo di una nuova arrivata. Facciamo l’amore non la guerra. La gelosia è il sentimento di chi non è libero.
Tutto vero. Ma fa male.
12 dicembre 1969
È ora di merenda, al bancone di Strippoli. Toni sta addentando un panzerotto, Rosa sta ridendo con la schiuma del cappuccino sulle labbra, Isabella si sta accendendo una sigaretta, quando il cuore di Milano esplode.
Un boato spaventoso per un attimo immobilizza tutti. E poi il caos. Le urla. La gente corre, grida, piange.
«Cos’è stato?» «C’è il terremoto?» «Hanno sparato?» «È caduto un aereo?» «Scappiamo!» «Andiamo a vedere!»
Fuori la nebbia è una coperta pesante che gocciola appesa a un cielo di piombo.
Toni prende per mano Rosa e Isabella. Come ipnotizzati seguono il flusso della folla e arrivano in Piazza Fontana.
La Banca dell’Agricoltura è sventrata e fumante. Un poliziotto esce dal portone e si mette a vomitare. Una sirena urla. Poi un’altra. Arrivano tante, tantissime ambulanze.
Toni dice alle ragazze di aspettarlo, vuole entrare, vedere, dare una mano. Parla con un agente. Torna da loro pallido, sconvolto.
«Una bomba. Una strage. Dobbiamo andare via».
Il rumore assordante ha lasciato dietro di sé il silenzio della morte.
1 ottobre 1972
Rosa cammina come sonnambula tra le pozzanghere, con la busta stretta tra le mani.
Tra le nubi di piombo una striscia di luce si fa spazio. Il sentiero di ghiaia diventa più chiaro, la pioggia più dolce. Unpallidoarcobaleno unisce terrae cielo.
Vede un ombrello aprirsi. Sente un braccio cingerle la vita.
«Sono qui, Fiorellino. Mi abbracci?»
Lei si abbandona a quell’abbraccio, chiude gli occhi, sorride, e finalmente piange.
«Anch’io sono qui, Toni. E ho una storia da raccontarti».
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea è nata quasi per gioco. Ho chiesto alla mia amica del cuore cosa avrebbe potuto spingerla a uccidermi, e abbiamo fatto ipotesi impossibili. Allora ho pensato di scrivere un giallo, un delitto scaturito dal tradimento tra amiche. Ho creato Rosa e Isabella, una esattamente l’opposto dell’altra. Rosa goffa, insicura, cicciotta, cresciuta in una famiglia operaia, con tanti fratelli, pochi soldi, e tanto amore. Isabella sfrontata, seducente, bellissima, figlia di un imprenditore e di una ginecologa, vissuta sola, con molti vizi e poco amore. Le ho fatte incontrare il primo giorno di scuola. Subito si sono prese per mano, e hanno affrontato la vita nutrendosi una dell’altra. Le ho viste crescere e diventare adolescenti, nella Milano e nel tempo in cui anch’io sono stata adolescente. E ho capito che nessun tipo di tradimento avrebbe potuto spingere una ad uccidere l’altra. Così la storia progettata è diventata un’altra storia.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato difficile portare a termine la storia. Si è creata quasi da sola. Sono nati dei personaggi, quasi a mia insaputa. E ognuno faceva quello che poteva fare, non altro. La parte più complicata è stata rileggere il testo e sfrondarlo dai luoghi comuni, dalle frasi banali, dare un ritmo agli eventi. Non mi sembrava mai tutto “a posto”. C’era sempre qualcosa da modificare, perfezionare. Ho dovuto chiedere aiuto per l’editing, e ho trovato un’altra grande amica in grado di darmi una mano.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sono una grande lettrice, i miei autori di riferimento penso siano tantissimi. Soprattutto donne, da Charlotte Bronte a Elsa Morante, da Simone Beauvoir a Catherine Dunne. Ma anche uomini, da Giuseppe Berto a Erich Remarque, per dire quelli che mi vengono in mente adesso.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nata a Milano, ci ho vissuto 12 anni, e adesso vivo a Bareggio, in campagna, a 10 km dalla mia città.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sono psicoterapeuta, ma appena posso scrivo. Ho appena finito altri due romanzi: uno è il sequel di “È l’amica di Isabella”, l’altro racconta la storia vera di un amico che è stato a San Vittore ingiustamente per mesi prima del processo, in cui è stato assolto. In futuro vorrei scrivere la storia della mia famiglia: mia madre mi ha parlato delle guerre, della fame, di tempi che non conosco e che voglio raccontare ai figli e ai nipoti, miei e di altri.
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