Edito da Metauro Edizioni nel 2021 • Pagine: 298 • Compra su Amazon
L'attraversamento del corpo nel teatro di Pasolini presenta una caratterizzazione in più rispetto agli altri linguaggi: la “parola” e il “corpo” sono di fatto una coppia sinonimica. Il nodo tematico, problematico e critico, non è tanto definire la centralità del corpo nel teatro di Pasolini, quanto capire come essa si esprima e quali segni emetta.
Georgios Katsantonis elegge un canone breve ma esatto, comprendente tre testi che pertinentizzano «il corpo in preda al desiderio sadomasochistico (Orgia), il corpo con la sua viscerale motivazione erotica che sconfina nella zooerastia (Porcile), il corpo imprigionato, tra scissione e visionarietà (Calderón)».Tali scavi monografici non sono però atomistici, sia perché all’orizzonte v’è sempre il complessivo macrotesto pasoliniano, sia perché l’analisi mantiene sempre un respiro comparatistico: le istituzioni totali di Goffman, che affiancano il più frequentato Foucault ci permettono, di rileggere in una diversa chiave Calderón: opera, questa, che viene posta in dialogo, oltre che col dichiarato ipotesto spagnolo La vida es sueño, con Un sogno di August Strindberg; la lettura di Orgia, dalla cui scaturigine sadiana si indaga lo scarto; e le pagine dedicate a Porcile, dove il concetto di potenza spinoziano è convocato, insieme alle teorie tardonovecentesche sul «divenire animale». Le tre opere selezionate in questo studio illustrano, da angolature diverse, un tentativo di lettura del potere nelle sue varie declinazioni simboliche: l'erotizzazione del fascismo (Orgia), la fine della polis (Porcile), la trasformazione della società in un universo concentrazionario, in diretta continuità con il sistema del Lager (Calderón). Lo scopo è di dar vita alla concezione filosofica e all'impegno politico che si nascondono dietro le drammaturgie pasoliniane, per vedere fino a che punto i connotati di quei poteri sono riconducibili al nostro mondo contemporaneo.
Pasolini in tutta la sua creazione artistica riattiva la funzione sadiana dello scandalo: «il faut qu’ils scandalisent le plus possible; car il est très doux de scandaliser». Orgia ci conduce in un universo allo stesso tempo lontano e vicino. Lontano perché Pasolini è disinteressato alla retorica libertina, non bestemmia contro Dio e vicino per la volontà di trattare la profanazione come principio poetico. Nel boudoir, sta succedendo tutto come se l’atto di godimento fosse intimamente legato a quello della blasfemia e che, per esistere, è necessario qualcosa da profanare. La religione nell’opera di Sade diventa quindi essenziale, perché senza religione non c’è possibilità di blasfemia, e senza bestemmia, niente divertimento, niente boudoir. Questo piacere nella blasfemia permette – entro i confini del boudoir – di staccarsi dai legami che ci uniscono alla città, per sbarazzarsi di convenzioni. Desideroso di guadagnare la massima libertà possibile, Sade vuole del resto distruggere tutto, annichilire tutto, sovvertire ogni costume ed ogni valore positivo: vuole la morte di dio.
In Orgia la casa di Dio è profanata. Infatti, nel giorno di Pasqua, un uomo e una donna si torturano a vicenda come in un sacrificio rituale fatto di masturbazioni, denudamenti, botte, crudeltà, sesso e violenza. Un’Orgia di parole, di violenza, di immagini e di esplosioni contro l’Orgia del Potere, della società consumista e della nuova religione sadomasochista. Questa è la pasqua che i corpi soffrono. È il tempo del silenzio di Dio o meglio della reggenza del Dio Sadomasoch. È evidente che il vocabolario dell’Uomo esprima lo stile della narrazione libertina; esso è privo di qualsiasi aura religiosa. Durante l’esercizio del sadomasochismo la coppia di Orgia si domanda: «c’è forse qualcuno che fa compagnia / a chi è impiccato o inchiodato in croce?». La metafora cristologica sviluppa il desiderio di una più completa immedesimazione dell’Uomo impiccato di Orgia con quel Cristo inchiodato sulla croce. Viene in mente in proposito lo straordinario racconto, nella pagina diaristica dei Quaderni Rossi dove Pasolini narra la sua inquietudine di fronte al simbolo del crocifisso. Il passo in questione merita di essere citato:
Quel corpo nudo coperto appena da una strana benda ai fianchi (che io supponevo una discreta convenzione) mi suscitava pensieri non apertamente illeciti, e per quante volte guardassi quella fascia di seta come a un velame disteso su un inquietante abisso (era l’assoluta gratuità dell’infanzia) tuttavia volgevo subito quei miei sentimenti alla pietà e alla preghiera. Poi nelle mie fantasie affiorava espressamente il desiderio di imitare Gesù nel suo sacrificio per gli altri uomini di essere condannato e ucciso benché affatto innocente. Mi vidi appeso alla croce, inchiodato. I miei fianchi erano succintamente avvolti da quel lembo leggero e un’immensa folla mi guardava. Quel mio pubblico martirio finì col diventare un’immagine voluttuosa e un po’ alla volta fui inchiodato col corpo interamente nudo.
Nelle parole stesse citate è evidente la fantasia esibizionista dello scrittore di essere inchiodato lui stesso al posto di Gesù. Ecco che l’oltraggio è dunque completo: l’Uomo Pasolini=Gesù Cristo. Un’equivalenza eretica: l’uomo sadico “scandalosamente” esposto sul palcoscenico della modernità contro la dissacrazione del mondo e dell’individuo. Al polo opposto anche nella messinscena della tragedia realizzata da Andrea Adriatico non mancano nella scenografia crocifissi, così come allusioni alla Passione con la crocifissione della Donna (Francesca Ballico), alle catene del rituale sadomasochistico, e come nel suicidio dell’Uomo (Maurizio Patella) in una seconda scena di crocifissione alle catene.
Esiste però un importante particolare: il gesto della crocifissione come simbolo subisce, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta in poi, un cambiamento e viene chiaramente attualizzato alla luce del genocidio socioculturale della società dei consumi che ha azzerato la memoria religiosa. Se l’uomo preindustriale è scomparso, vengono meno anche alcuni dei presupposti estetici su cui si era basato Pasolini. Ne consegue, in questo senso, una metamorfosi del sacro, filtrata dalla mercificazione capitalistica.
L’aspetto più importante che emerge in Orgia è la profonda omologia tra la religione e il capitalismo. Se la semiologia ha insegnato a Pasolini che il corpo costituisce lo strumento linguistico più diretto per accedere al reale, è ovvio che la decodifica delle trasformazioni politico-sociali avvenga a livello corporeo. Gli abbigliamenti sono miseri, labili, illusori e proteggono la “dignità” di chi l’indossa, dimostrandosi come simboli di morte originati dal nuovo fascismo consumistico che vuole accomunare milioni di individui in una fraterna e complice passione e necessità. Dice l’Uomo:
Ma chi è che ci mette questo pensiero di morte nel cuore?
Per mezzo di questa sottana che ci è così cara in questi giorni?
[…] Nessuno infatti, che abbia un volto o un corpo.
[…] L’autorità.
È da essa che questa sottana trae origine.
E infatti essa, essendo anche tutta la ricchezza, c
i accomuna a milioni di cittadini.
È una fraterna e complice passione, e necessità.
Tu, indossandola, dopo averla amata e comprata,
sei anche ciò che essa è. Essa è la bandiera di morte del potere.
L’Uomo, osservando gli indumenti intimi della Donna, esprime il proprio rammarico evidenziando la futilità delle calze, dei reggicalze, delle mutandine, della sottoveste e della sottana, ornamenti futili poiché schiavi della moda, ideologie della morte.
UOMO
E poi queste mutandine: le schiave del tempo
Cosa dicono?
Voglio morire, e questa morte è furia-
le delicate mutandine, prodotto della città,
che è intorno e dentro di noi, dicono
che non solo tu, ma l’intero ordine del mondo
è protetto e voluto dalla morte.
[…] Dov’è la più verità?
In ciò che dicono questi segni di sangue
o in ciò che dice questo segno di seta?
I primi dicono ciò che noi desideriamo,
i secondi ciò che noi accettiamo.
Pasolini avvia una lucida analisi del centralismo della civiltà dei consumi che si è oggi sviluppato nella forma del mercato universale, dell’unificazione economica e della comunicazione globale. Il punto fondamentale è che nel capitalismo si deve vedere una religione. Sono stati distrutti i vecchi valori in nome di un valore unificante nazionale fondato esclusivamente sul consumismo:
Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. L’antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno culturale che “omologava” gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale “omologatore” che è l’edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. Non c’è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina) .
Il sesso in Orgia è metafora di questa situazione, una riflessione critica sulla società. Sembra che il corpo non sia più l’uomo ma che l’uomo abbia un corpo; esso è percepito come un vestito che a seconda delle circostanze, degli umori del tempo, deve essere cambiato, sostituito, modificato. Con l’irruzione dell’omologazione la fisicità sofferente ma salvifica di Cristo non trova più spazio e si perde inesorabilmente la dimensione religiosa del sacro. Il culto rituale deformato in un culto feticista. Nella società contemporanea la strategia feticista agisce ovviamente anche nel rapporto tra individuo e merci. La merce, questa “cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici” , si carica di un significato religioso. L’eterossessualità viene feticizzata attraverso pratiche di cross-dressing. L’Uomo –Penteo– androgino in Orgia, nel suo percorso di acquisizione di una nuova identità costituisce un territorio in cui sono rintracciabili alcuni elementi di poetica queer: il reggicalze, le mutandine, le sottoveste, la sottana, il rossetto, la cipria e il truccarsi il viso. E secondo me si tratta di una poetica dell’inversione del maschile nel femminile, come in Petrolio, non una cancellazione queer del confine di genere. Pasolini rimanda all’ibridazione delle figure genitoriali e al sogno di una società maschile antiedipica, cioè libera dall’ossessione paterna. Il travestimento dell’Uomo nella scena finale di Orgia come anche in Salò il travestimento dei gerarchi nella scena del matrimonio en travesti, mentre rompono la logica binaria e le regole estetiche legate ai due sessi, ne illustrano le ossessioni feticistiche mediante le quali il corpo della donna è negato e soppiantato da oggetti feticcio.
UOMO
La marca di queste povere calze
di piccola borghese di periferia
dice con grande chiarezza due cose:
primo: la loro caducità,
secondo: la loro appartenenza alla sfera del potere.
[…]
Ehi, mutandine di mia madre!
Primo: la caducità- e quindi rassegnazione.
Secondo: l’onnipresenza del potere- e quindi l’ipocrisia.
[…]
Non sei tu la sottana di lana leggera
che si indossa quando sta per finire l’estate?
Anche tu, anche tu,
altro non dici che su te è passato il tempo.
Pasolini descrive una diffusa caratteristica della società contemporanea: il feticismo e ovviamente, il feticismo sessuale. Pasolini sta riflettendo sul carattere mistico degli oggetti di consumo. A questo punto, è possibile riconfigurare in chiave politica il sadomasochismo. La «strategia feticista» tocca una vasta gamma di comportamenti sociali e permea anche il desiderio umano: il mio desiderio è il desiderio delle sue calze, è il desiderio delle sue mutande, è il desiderio delle sue scarpe. L’oggetto di consumo è il luogo di aspettative che vanno ben al di là della sua pura esistenza materiale, con esso il consumatore instaura una relazione oggettuale simile all’innamoramento. Pasolini darà nuovo valore agli oggetti che rendono intelligibile la materialità corporea, nel loro intérieur li farà parlare un nuovo linguaggio. Tale dimensione puramente simbolica degli oggetti che “invadono” è un grande esempio di analisi materialistica. Gli oggetti sono diventati le catene con le quali si pretende di schiavizzare il corpo e la vita stessa dell’Uomo. Il passaggio in questione dovrebbe essere inteso come un’apologia in riferimento all’edonismo consumistico coi suoi effetti di livellamento di tutte le masse nel comportamento e nel linguaggio fisico:
UOMO
Sono stato vostro schiavo, oggetti della mia vita:
di conseguenza, voi siete stati i segni della mia obbedienza.
Ma ora, ora non sono più vostro schiavo! Ah, ah,
ho del tutto stravolto la vostra normale funzione;
e domattina, così, voi sarete i segni della mia nuova realtà.
Quanto parlate, quanto urlerete, (impazziti) oggetti banali,
parole del silenzio e della rassegnazione!
In questo contesto, straordinariamente rivelatrice per il nostro discorso risulta una riflessione degli Scritti corsari perché mi sembra mostri perfettamente quale possa essere la metamorfosi del sacro in un contesto modernista:
A un certo punto il potere ha avuto bisogno di un tipo diverso di suddito, che fosse prima di tutto un consumatore, e non era un consumatore perfetto se non gli si concedeva una certa permissività in campo sessuale. […]In compenso però tale nuovo potere ha portato al limite massimo la sua unica possibile sacralità: la sacralità del consumo come rito, e, naturalmente, della merce come feticcio . […] Come polli d’allevamento, gli italiani hanno indi accattato la nuova sacralità, non nominata, della merce e del suo consumo.
Come è nata l’idea di questo libro?
Questo libro nasce dal riadattamento della mia tesi di dottorato, discussa il 25 gennaio 2021 presso la Scuola Normale Superiore di Pisa alla presenza della Commissione Giudicatrice Nazionale formata dai proff. Luca D’Onghia, Andrea Torre, Francesco De Cristofaro, Massimo Stella e Roberto Deider. Ho lavorato sotto la direzione del prof. Raffaele Donnarumma. Ritengo importante citare, oltre a questo nome, quello di un’altra persona che ha contribuito molto a rendere questa esperienza così formativa ed è Stefano Casi, massimo conoscitore del teatro pasoliniano, che ne segui lo sviluppo e che qui ringrazio.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Sembrerebbe una banalità ma leggere e capire Pasolini è stata la cosa più difficile per me. Dovevo fare a brandelli tutto ciò che dentro di me provava resistenza, andare oltre all’ottusità della mente. Ogni sua pagina un labirinto tremendo senza avere una buona Arianna che mi attendeva alla porta tenendo il capo di un filo. Alla fine mi ha graffiato come un animale selvatico. Di questi graffi potete avere un’anteprima sul sito dell’Editore Metauro che ringrazio per aver sostenuto il progetto e lavorato con la consueta professionalità alla sua realizzazione.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Pasolini, Kafka, Orwell e Beckett.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato in Grecia, attualmente vivo in Italia. Grazie ai miei studi ho viaggiato molto e ho vissuto in passato in Svizzera e in Inghilterra.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto scrivendo un libro sulla morte di mio fratello Dimitris, uscito di casa per andare a lavoro senza fare più ritorno… Amava tanto la musica rap, aveva un dono innato per la musica e una talentuosa capacità di scrivere canzoni. Cantava in diversi locali in Grecia ed era conosciuto tra i giovani con il pseudonimo Spm. Non vorrei scrivere un apologo sul povero artista, né un’autobiografia, ma un racconto utile che riguarda ancora una giovane vittima nello già sterminato elenco dei morti sul lavoro, una strage quotidiana e silenziosa dettata dall’imperativo di produrre ad ogni costo, anche quello della vita delle persone.
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