Edito da Kimerik nel 2018 • Pagine: 124 • Compra su Amazon
Ci sono cose che puoi sognare e sperare, ci sono sempre. Poi ci sono cose che non puoi sapere, nemmeno immaginare, a vent’anni, come a trenta. Sogni e progetti prendono forma nella tua testa prima ancora che nella vita vera; quando poi le speranze abitano il cuore, si amplifica il desiderio che si trasformino in realtà. E ci sono cose, poi, che nei tuoi sogni avevano tinte diverse da quelle dipinte in seguito dalla vita.
Ci sono tanti modi per comunicare, c’è chi usa i metodi convenzionali, chi, per necessità o virtù, quelli alternativi. Adoro quando vedo quelle manine che dicono cose, anzi no, non dicono cose, per ora dicono casa. Casa, esattamente il luogo dove abita il cuore, lo dicono quando c’è bisogno di tornare al rifugio, quando chiedono conferma che si stia andando verso quella direzione conosciuta. Si avvicinano l’una all’altra, rigide, tese con quei piccoli polpastrelli che rimangono leggermene inarcati verso l’esterno, senza toccarsi completamente ma tentando di riprodurre un piccolo tetto. Casa. Lui dice casa con le mani ed è straordinario, ci capiamo, finalmente ci capiamo. La Lingua dei Segni Italiana, in acronimo LIS. Fin da quando l’ho imparata non ha più smesso di fare parte del mio modo di essere e di comunicare, l’ho
portata sempre con me e tirata fuori all’occorrenza, è un po’ come il coltellino svizzero, nel vano portaoggetti. Io e mio marito ci siamo divertiti tante volte a comunicare in LIS, nelle vacanze in spiagge dove nessuno conosceva i nostri volti. Ha dita lunghe mio marito, Suo papà, con unghie che da donna gli ho sempre invidiato. Ho dita corte io
e per niente affusolate, non segno in maniera nitida quando parlo in LIS, ci mescolo sempre un po’ di personalità alla ricetta. Abbiamo entrambi un segno nome. Il segno nome nelle lingue dei segni può essere definito la modalità gestuale con la quale viene indicata una persona, cioè il suo nome proprio. È un segno che la comunità sorda attribuisce a ogni suo componente per riferirsi precisamente a una persona per identificarla. Al corso di primo livello abbiamo dovuto scegliere il nostro segno nome, un segno che ci identificasse, che dicesse agli altri chi sei, quale caratteristica ti contraddistingue, insomma, dare un segno alla tua identità. Mio marito si chiama calma, con le dita pollice, indice e medio di entrambe le mani tese verso l’esterno che lentamente scorrono il torace, dalle spalle al bacino. Invece io sono il dito indice destro che picchietta due volte il centro della mia guancia, in corrispondenza della mia profonda e caratteristica fossetta destra.
Lui potrebbe chiamarsi casa. Mia sorella, quando lo vede segnare casa, spalanca i suoi meravigliosi grandi occhi verdi, sbattendo ripetutamente quelle ciglia che sai dove iniziano ma non sai dove potrebbero finire, tanto si allungano quando lo stupore le circola nelle vene. Anche lei conosce la LIS, anche lei da quando l’ha imparata se la porta con sé ovunque vada. Abita nelle nostre mani, è un modo di comunicare, di chi ha fatto nella vita di necessità virtù. Comunicare è essenzialmente vivere, essere, divenire, è relazione, scambio, comprensione, tentativo, costruzione. Comunicare è un diritto, è identità, è vita che pulsa. Mia sorella, anche lei ha un segno nome, un gesto circolare che parte con un pugno chiuso all’altezza della gola, all’incrocio delle ossa della clavicola e percorre in senso orario un tragitto disegnando un cerchio per poi ritornare lì, esattamente al punto in cui è partito, all’altezza del quinto chakra, per chiudersi. Mia sorella colora mandala, cerca mandala, fotografa mandala. Il mandala è un simbolo spirituale e rituale che rappresenta l’universo.
Non solo una forma d’arte, i mandala sono usati in numerose tradizioni spirituali, ma soprattutto nell’Induismo e nel Buddismo, per focalizzare l’attenzione, per definire uno spazio sacro e per aiutare la meditazione. Nel buddhismo tibetano i mandala vengono disegnati con sabbie colorate e poi distrutti, a simboleggiare l’impermanenza del mondo materiale. Il mandala di sabbia rappresenta il potere di acquisire conoscenza e saggezza per combattere la negatività, l’odio, la rabbia e la violenza. Il mandala di zucchero proprio non lo so cosa possa significare, ma gliene ho fatto uno per il Natale scorso, un’impresa complessa della quale vado fi era. Per una perfetta imperfetta come me, la precisione del mandala è una sfida importante. Mia sorella crede come me nel potere del cerchio, dell’energia buona, della ruota, che per farla girare devi dargli una spinta con tutta la forza che hai. Lei non pensa che io sia un mandala, mi identifica con un fior di loto, me lo ripete sempre quando mi vede camminare nel fango, mi dice di ricordarmi che è proprio lì che il fiore radica. Nella tradizione orientale, in quella striscia di terra che si apre dal centro dell’Asia e raggiunge l’Oriente estremo, il fior di loto è universalmente riconosciuto come simbolo di bellezza audace e perseveranza. Il loto è una pianta acquatica che sboccia in fi ori grandi e dalle tinte svariate e accese, allargando i petali copiosi su un letto intricato di foglie galleggianti.
Troneggia nei laghi artificiali, nelle pozze estemporanee che formano i mesi dei monsoni, nei laghi di pianura e collina, si appropria delle piane allagate dove cresce il riso, sboccia nelle paludi e nella fanghiglia, nella melma ai margini di una discarica. Ovunque cresca, manifesta la sua bellezza prorompente: identico, nell’immondizia e nell’acqua pura. È un fiore che porta con sé significati, storie e leggende. Si dice che sotto i passi di molte divinità indiane nate nelle sfortune e nella povertà del mondo sbocciassero fiori di loto. Il seme del loto non germoglia nella terra. È un nocciolo duro ricoperto di una scorza spessa, apparentemente impenetrabile. Non basta che sia gettato nell’acqua per schiudersi: ha bisogno di essere scalfito. Per questo il seme si radica più facilmente nell’acqua paludosa e nel fango, per poter essere maltrattato, perché solo le ferite possono far sì che dal seme abbia inizio la vita di un fiore meraviglioso. Il seme non piange, non si lamenta. Non muore. Non perde coraggio e non smarrisce il suo obiettivo. Può restare nel fango senza aprirsi per settimane, conservando intatta la propria vitalità. Alcune leggende vogliono che semi di loto siano rimasti fermi, immobili per migliaia di anni prima di sbocciare. Se si trova nell’acqua pulita, il seme di loto dovrà sbattere più e più volte contro rocce e sassi, trascinato dalle correnti, prima di provocarsi la ferita che possa consentirgli di germogliare.
Una volta aperto, il seme riesce a trarre dall’acqua tutto il suo nutrimento. Se l’acqua è torbida, esso cresce ugualmente rigoglioso: nulla può la sporcizia, niente distoglie il loto dalla sua natura splendida e così trasforma ogni scarto in alimento, divenendo sempre più forte e convertendo ciò che è impuro, scorretto, disonesto per tutti in un’opportunità di crescita buona. Poco alla volta, il loto sboccia: grande, lussureggiante, di un biancore immacolato oppure di un rosa, blu, viola vivace, in contrasto netto con la trasparenza dell’acqua pura o col grigiore cupo del fango. Essere un fior di loto significa convertire l’avversità in meraviglia, perseverare nel proprio obiettivo, sorridere danzando nel fango, con i piedi che perdono presa e allora si fanno più forti e abili per non scivolare. Significa cambiare la situazione senza opporsi a ciò che ci è capitato: modificare il solco di un destino che sembra segnato, mutando la difficoltà in occasione.
Un libro che ti toglie il fiato…un libro che ti regala umanità è tempo…