
Edito da Amazon Publishing nel 2019 • Pagine: 258 • Compra su Amazon
Ethan Cogwheel è l’unità Novantanove del Campo Smart, un complesso di edifici volto alla preservazione dell’ultimo nucleo di umani rimasto. Lì ragazzi e ragazze vengono potenziati nella mente e nel fisico così da garantire il proseguimento della specie. Il ruolo che ognuno avrà nella società viene imposto alla nascita, tramite assegnazione di un numero che ne indica il valore. Quando Mike One, a capo dell’intera organizzazione, proclama un concorso con in palio la possibilità di uscire nel mondo, il protagonista partecipa per sfuggire al sistema.
La scomparsa di un Maestro, un insolito black-out, voci contrastanti e una misteriosa ragazza dai capelli ramati sono fenomeni che Ethan non può ignorare, ma dovrà concentrarsi per superare le cinque prove del concorso e cancellare così il suo numero.

Aveva perso l’occhio sinistro in un incidente avvenuto anni prima e molte voci, leggende, narravano lo svolgimento dei fatti; nessuna era mai stata verificata.
Quando era al comando, suo padre gli fece costruire dai migliori scienziati un innovativo occhio artificiale che però non era molto… discreto. Anelli concentrici collegati ai nervi ottici tramite cavi scoperti si richiudevano con uno schema spiralico attorno ad un sensore di profondità. Emetteva una tenue luce rossa e gli ricopriva quasi metà viso. Mentre riportavo alla mente tutto quello che riuscivo a ricordare sul suo conto, lui ci osservava uno ad uno, in completo silenzio. Se non fossi stato tanto concentrato sulla sua figura, non avrei mai notato un furtivo movimento nell’ombra del passaggio alle sue spalle. Distinsi un insolito riflesso ramato, ma niente di più. Allungai il collo, ma non ebbi tempo di indagare oltre poiché Mike One aveva avvicinato alla bocca il suo comunicophono ed aveva iniziato a parlare.
«Buongiorno, figli dell’Examerica!» esclamò, la voce che riecheggiava potente e sicura per tutto il capannone.
Examerica. Crollati i Governi, i paesi avevano perso la loro identità e nessuno si era preoccupato di dargliene una nuova. E ora il vecchio nome di ogni Stato era preceduto da “Ex”; non esisteva più, ma non era nemmeno rinato dalle ceneri.
«Di sicuro sapete chi sono, quindi non perderò tempo con le presentazioni e passerò direttamente al motivo della mia visita» si passò una mano sul mento, con fare pensoso, e poi continuò «Porto notizie importanti. Dopo numerose riunioni, sono stato convinto dai vertici del consiglio dell’importanza di sperimentare la vostra capacità di adattamento per valutare l’efficacia del programma dell’Organizzazione. Per questo motivo, verrà quindi concessa ad uno e uno solo di voi un’occasione che mai si è presentata prima a dei ragazzi dell’Ateneo. Vi verrà data la possibilità di diventare il soggetto dell’osservazione e di conseguenza…» pausa melodrammatica, trattenni involontariamente il respiro «…di vivere al di fuori del Campo» concluse. E dopo queste parole, scoppiò l’inferno.
Tutti gli anni passati dai maestri ad insegnarci la disciplina, sfumarono nel giro di una frazione di secondo. Non biasimai i miei compagni; Mike One ci aveva messo al corrente di una notizia clamorosa! L’Organizzazione ci aveva ben spiegato come tutto fosse stato reso invivibile dall’inquinamento, ma ora la speranza di una Terra rinata si faceva largo tra i miei pensieri. Mi chiesi se sarebbe stato compito nostro, della mia generazione, ripopolarla, a partire da uno di noi. Il mondo non poteva limitarsi al gruppetto di edifici grigi del Progetto Smart.”

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea di scrivere non uno, non due, ma ben tre libri – di cui “Blackwood” è il primo – immagino sia nata dall’iperuranio. Altrimenti non mi spiego come in un pomeriggio assolato un ragazzino di tredici anni possa annunciare “Voglio scrivere un libro” e farlo davvero.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Per portare a termine Blackwood ci sono voluti sette anni; quattro di stesura, tre di revisione. Ma scrivere un libro non è la parte più difficile. La parte più difficile è venderlo.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Da bambino ero un grande lettore di saghe per ragazzi. Quando decisi di scriverne una, la volli comprensiva degli elementi più efficaci del genere “young adults”. Autori di Percy Jackson, Harry Potter, Hunger Games, Gregor, Artemis Fowl, Unika… da loro presi in prestito ciò che più funzionava e lo riorganizzai in qualcosa di nuovo.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ora studio a Milano, ma prima vivevo in campagna; una campagna che affogava in nuvole di smog al mattino e raccoglieva i rifiuti dalle sponde del fiume alla sera.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
“Blackwood” è un libro nato come commerciale e cresciuto man mano che io crescevo. Si è presto trasformato in una denuncia su molti fronti, tra i quali l’inquinamento, non solo sotto testo ma anche motore dell’intera storia. Oltre a qualche poesia, per ora ho interrotto la produzione letteraria per concentrarmi sulla stesura di sceneggiature. Al momento ho completato uno script per un cartone animato. Ma come dicevo, scrivere non è la parte più difficile. La parte più difficile è vendere.