
Edito da Golem Edizioni nel 2019 • Pagine: 272 • Compra su Amazon
In una notte silenziosa una crepa appare sul muro di una casa dei vicoli di Genova. Nello stesso momento due cadaveri, una ragazza senza nome e un portuale, vengono abbandonati al Terminal Rinfuse, zona del porto dove viene accatastato il carbone.
Alla rinfusa, come i personaggi di una Genova malinconica e variopinta: Federico Eduardo, giovane assicuratore proprietario del muro crepato che, schiavo di un disturbo di personalità multipla, vive in bilico tra due lavori e due donne, Teresa e Sofia; Virgilio Scatafascio, editore anarchico e paranoico che pubblica Federico su bustine di zucchero e cartoni del latte per portare la cultura sugli oggetti di consumo; Antonio Persico eccentrico commissario affetto da disturbi psicosomatici e noto per i metodi alquanto chiacchierati; Don ’Ntoni, vecchio boss-verduraio della malavita calabrese che ha perso i suoi “bassi” e avversa l\'avanzare di una criminalità sempre più imbastardita; Wanda, transessuale brasiliano che con la cooperativa Le Passatelle vuole portare a termine il sogno di Don Gallo.
Sullo sfondo, si staglia Futur@: un controverso progetto di rinnovamento urbano a capo del quale c’è un assessore in carriera che intreccia rapporti con la malavita e che per le sue mire politiche è pronto a macchiarsi di un omicidio.
Trovare una via d’uscita spetta a Federico Eduardo e alla sua Crac, agenzia che crea i problemi per poi risolverli. È lui che con la cooperativa di prostitute capeggiata da Wanda, affiancherà il commissario Persico in un’indagine su portuali corrotti, clan ‘ndranghetisti e mafie straniere che rivelerà la vera natura di Futur@: una speculazione edilizia che vuole spogliare della sua anima la città vecchia, ventre inquieto e ribelle di Genova.
Un’umanità surreale popola un noir atipico, che si appoggia all’ironia per dipingere quel preciso momento nella vita di ognuno in cui si scelgono arma e nemico. Per Federico quell’arma è la paura, e la usa per fronteggiare la minaccia numero uno del suo tempo: il futuro. La sua personale battaglia si intreccia con quella di una città che resiste; comincia da una crepa e finisce con la consapevolezza che talvolta il modo migliore per aggiustare le cose è lasciare che vadano in frantumi.

L’ingresso del suo regno è l’inizio di via Prè, un piccolo mondo popolato da una strana umanità, confinata in un’ora precisa del tardo po-meriggio. Davanti al portone c’è un solo citofono senza nome. Salgo all’ultimo piano e busso energicamente finché la catena non si sgancia e la porta si apre.
«Chiudi, svelto.»
Virgilio lancia una rapida occhiata dietro di me; ora mi chiederà se qualcuno mi ha seguito.
«Ti ha seguito nessuno?»
«No.»
«Sei sicuro, nessuno dall’aria sospetta?»
A questa domanda non posso mai rispondere con un altro no, sono gli insospettabili le persone più pericolose.
«C’era una vecchia con due borse della spesa, ma sembrava a posto.» «Uhm, sono gli insospettabili le persone più pericolose – dice lui – aveva un ombrello?»
«Non piove, Virgilio.»
«I servizi segreti bulgari ammazzavano con la punta di una lama avvelenata nascosta nell’ombrello. E non hanno mai avuto bisogno delle previsioni del tempo. Mettiti lì che ti sterilizzo.»
Dopo aver chiuso la porta con quattro mandate, Virgilio mi passa uno spray disinfettante mai messo in commercio ma di cui custodisce gelosamente il brevetto in un cassetto della cucina. Terminato il rituale, mi stringe la mano.
«Cambia il vento – fa mentre scruta il porto dalla finestra – allora, com’è andata la settimana?»
«Quaranta nuovi slogan.»
«Bel lavoro. Ci vuole un buon vino, e prendo anche qualcosa da mettere sotto i denti.»
Virgilio è ossessionato, nell’ordine: dai servizi segreti di tutti i paesi, soprattutto Israele, dagli extraterrestri, dagli omosessuali, dalle sostanze che i preti disperdono nell’acqua, dai gas governativi usati sulla popolazione, dalla pubblicità, dalla televisione, dalla musica anni ottanta, dalle malattie veneree e dalle fiabe per bambini.
È paranoico. Molto paranoico. Ma in fondo nessuno è perfetto. Mentre aspetto che torni penso che persino la sua malattia è fuori moda.
Vedi Wikipedia alla voce paranoia: psicosi caratterizzata da delirio cronico basato su un sistema di convinzioni ossessive a tema persecutorio. Il termine deriva dal greco e significa fuori dalla mente. Oggi non viene più utilizzato nel linguaggio ufficiale, ciò che indicava è stato scomposto in altre patologie e disturbi.
Tutto in Virgilio è rimasto agli anni settanta, persino la sua psicosi.
È una reliquia sopravvissuta a una vita difficile da credere. Un eroe. Non saprei definire in altro modo un malato a cui hanno sottratto la malattia.
Esco in terrazzo, mi siedo al tavolino e apro la bottiglia. Lui mi raggiunge con una zuppa di ceci dentro piccole ciotole di terracotta. È così che il mio editore si prende cura di me, un invito a cena ogni domenica sera e una partita a scacchi. Stasera è soddisfatto: «Mi sono aggiudicato il contratto».
«Quale contratto?»
«Quello per lo zucchero di canna.» Annuisco.
«Questo significa altro lavoro per te: stavo pensando a piccoli racconti a puntate.»
Si sporge sul tavolino e mi mostra i campioni: «Vedi, ci sono due opzioni: pacchi da un chilo, per grossisti e grandi magazzini, e bustine da tazzina, target più ampio, bar, ristoranti, tavole calde».
Quando Virgilio parla di affari assume la sua migliore espressione solenne.
«Pensavo ai racconti per quelli da un chilo e ai soliti slogan per le bustine.»
In questo è specializzato Virgilio Scatafascio, il mio editore. «Mettitelo in testa, ragazzo: l’editoria è in crisi, bisogna cambiare
radicalmente la mentalità, reinventare i canali. In questo Paese si pubblicano sessantamila libri all’anno, sai cosa vuol dire? Che ci sono più libri che culi. Ma chi al giorno d’oggi ha il tempo di leggerne uno? E dammi retta: non sei migliore degli altri se hai letto un libro in più.»
Il suo campo è pensare a tutto ciò a cui le altre case editrici non han-no ancora pensato. Apre i volantini degli ipermercati, sceglie i prodotti che vanno di più e contatta le ditte produttrici per proporre il suo pro-getto. Bisogna ammettere che in quello che fa è il migliore.
«Tu devi pensare che oggi viviamo di oggetti. Allora, dove deve circolare la cultura se non sugli oggetti che consumiamo?»
L’ultimo affare delle Edizioni Scatafascio, uno dei più prolifici, sono state le bustine di zucchero. Centinaia, migliaia di bustine che raggiungono tutti i bar della città: solo la televisione sa fare di meglio.
Scrivo, ho un editore e dei lettori. Tecnicamente sono uno scrittore. Anche se il risultato dei miei sforzi finisce su bustine strappate e consumate nel tempo di un caffè.
«Figliolo, non sottovalutare le bustine di zucchero: sono l’ultima avanguardia che ci è rimasta.»
Il progetto è ben avviato e visto il successo è già stato riproposto in diverse varianti, come cartoni del latte, saponette e pacchi di sale. Un vero editore sa rischiare. È disposto a perdere tutto per quello in cui crede. Un vero editore convince il proprio scrittore ad adattare le sue pretese a quelle dei suoi potenziali lettori.
E nonostante ciò lo fa sentire speciale e irripetibile: «Ricordati che sei il fiore all’occhiello delle Edizioni Scatafascio, il nostro autore di punta». Sono l’unico.
«Tieniti forte perché ho un progetto rivoluzionario. Siamo pronti ad entrare in un nuovo mercato. Ti faccio diventare lo scrittore più letto e apprezzato della storia.»
«Più di Proust?»
«Di più.»
«Più di Shakespeare?»
«Di più, di più.»
«Più di Dostoëvskji?»
«Ma che mi prendi per il culo? Quello era un barbone.»
Virgilio mi versa da bere, i suoi occhi si stringono a fessura e il tono si fa serio: «Apri bene le orecchie: entriamo nel business della carta igienica».
Ecco.
«Un bacino di lettori infinito, capisci? Hai idea di quanta gente caghi? Sai quanto tempo va perso? Per non parlare della scomodità di doversi portare una lettura in bagno. Certo, dovremo rivedere il genere di letteratura proposta. Non possiamo dare ai lettori da cesso la stessa roba che diamo a chi prende un caffè. Servirà qualcosa di più speziato, più muscoloso…»
La vita di Virgilio potrebbe essere riassunta così: ha due lauree che non ha mai usato. È stato in prigione due volte. Ha fatto la lotta armata. Ha scritto un libro di poesie. Ha un’età indefinita tra i cinquantasette e i sessantacinque anni. Non è mai stato sposato. Una volta è stato in coma per quattro giorni. Ha dipinto undici quadri, dieci nature morte e un autoritratto. I primi dieci dipinti sono praticamente sempre lo stesso soggetto. Mentre l’autoritratto assomiglia molto a una natura morta. In ogni caso, ha affidato la sua collezione a una galleria svizzera, autorizzandola a lanciarla dopo la sua morte.
Ha fondato nell’ordine: un circolo anarchico, un canile, una cineteca, una casa editrice. Ha lavorato come: mozzo, allevatore di cani, stalliere, corriere, tipografo, guida turistica, editore. Queste le occupazioni ufficiali.
Possiede un appartamento blindato nel cuore più scuro della città vecchia, una moto Guzzi del 1974 e un guardaroba discutibile. Ha vissuto sempre qui, imprigionato dai vicoli e dalle loro leggende.
Tutte queste informazioni non le ho raccolte a caso. È stato a causa della seconda fallimentare attività che mi ha proposto quando si è pre-sentato come editore: diventare il suo biografo.
Naturalmente non si sa quando e se verrà pubblicata quest’opera, perché prima bisogna raccogliere le idee ed evitare i boicottaggi del Vaticano, ma, come sempre, mi ha assicurato la fama eterna in cambio del mio piccolo servigio. È così che ci siamo conosciuti, al Fiasco, poco più di un anno fa.
«Vediamo cosa sai fare questa volta» dice mentre sistema i pezzi sulla scacchiera.
Nell’attesa guardo al di là della balaustra. Da nord a sud: i carruggi che scivolano verso il mare. Un ammasso di chiaroscuri. Il porto, il Mediterraneo. L’Africa. Tutto intorno alla città vecchia c’è un’altra città, dominata dalla torre Futur@, dove i vetri degli ultimi piani riflettono ancora la pallida luce del tramonto. Ho diviso le attività della mia agenzia come fossero le pedine, è stato Virgilio a darmi l’idea: «Tra la vita e gli scacchi c’è una differenza fondamentale: nella vita ci sono troppe pedine fuori dalla scacchiera, che non rispondono a nessun generale».
Dopo aver fissato a lungo le caselle, sentenzia: «Alfiere in C3». «Virgilio, l’alfiere nero si muove sul nero…»
«Mi sembra giusto – e ritira la sua mossa – in fondo sbaglia finn-a o præve in to dî messa1».
Disporre i pezzi della mia vita su una scacchiera è stato un inizio.
Stessa scala, appartamenti diversi: diversi destini, stessa vita.
Virgilio non sempre approva il mio modo di condurre la partita, ma ne ammira l’originalità.
«Il pedone non può muovere in diagonale.»
«E chi l’ha detto?»
«Le regole, Virgilio.»
Queste partite pagano un po’ il fatto che lui non vuole mai piegarsi alle regole. Però, secondo lui, questo particolare riavvicina il gioco allo spirito anarchico della vita.
«Elle.»
«Scusa?»
«Il cavallo si può muovere solo a elle, Virgilio.»
«La elle è una lettera stupida, nessuna buona parola si scrive con la elle!»
«Ciò non toglie che è una regola, ne hai una migliore?»
«Certo! La effe. O magari la esse: la elle sta in dattilografo. La esse in scrittore.»
Verso le dieci la partita è conclusa, sempre allo stesso modo: qualche pezzo mangiato, qualcuno resuscitato e almeno un buono spunto per tornare in strada.
Lui è piuttosto allegro e mi racconta un’altra fetta della sua poderosa esistenza. Di solito i nuovi fatti smentiscono gran parte di quello che mi aveva narrato in precedenza.
Mi dice di non contattarlo per qualche giorno. Non gli chiedo per-ché, tanto domenica prossima sarà di nuovo qui. Ormai Scatafascio ha comprato i diritti su di me e sulla mia vita.
Scendo in strada con la testa ovattata e gli avambracci che mi fan-no male. Ho dipinto troppo oggi e non è ancora finita, ma questo è il segreto per combattere il giorno più triste della settimana, tirarlo oltre i confini stabiliti: la mia domenica comincia il sabato sera e finisce il lunedì all’alba.
Sotto la luna sono solo davanti ai muri della mia città. La vernice m’inebria e il movimento lento del pennello mi rilassa. In fondo è domenica, un giorno come tutti gli altri.
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