
Edito da Rossini Editore nel 2021 • Pagine: 240 • Compra su Amazon
Un mistero avvolto nella fitta nebbia delle strade di Milano e un inconfessabile segreto che può portare alla follia. Il tutto mentre un professore in crisi è alla ricerca di se stesso, tra alcol e sesso, e due occhi femminili che lo ossessionano. Un thriller psicologico ambientato nel cuore di Milano, dove le ombre che si annidano non sono solo quelle riflesse sul muro...

“Dove cazzo dovranno andare”, pensò, “sotto questa pioggia di merda tra l’altro”.
Affogò il mozzicone nel posacenere e accostò la tenda. Quella sera in televisione non davano nulla d’interessante, perciò evitò il salotto. Immaginò di concedersi un goccio mentre in sottofondo qualcuno piangeva a favore di telecamere. Sapeva che se si fosse addormentato sul divano si sarebbe risvegliato rincoglionito, come dopo un incontro di boxe. Avrebbe cercato a tastoni la porta della camera da letto – perché di notte non accendeva mai la luce – e si sarebbe trascinato, insieme a una sbornia di piombo, fino al letto. Respinse quell’idea, lanciando un’occhiata alla scrivania su cui campeggiavano due pile di fogli che ignorava da almeno un mese e si diresse verso una libreria a parete che occupava il fondo del salone. Da un armadietto estrasse una bottiglia di whisky che infilò sotto l’ascella. Prese un tomo sulle crociate in una vecchia edizione degli anni ‘30, incartapecorita e con la copertina ridotta a brandelli, e se ne andò in camera, trascinandosi dietro buio e silenzio.
Ad ogni pagina trangugiava sorsate di whisky riserva, finché la testa cominciò a ciondolare e dolergli. Dopo poco la sua immaginativa non fu più popolata da musulmani, templari decapitati e cadaveri sparsi per i corni di Hattin, ma ebbe visioni di altro genere. Gli parve che qualcuno gli sussurrasse all’orecchio litanie esotiche che evocavano harem e concubine discinte. Cedette infine a quel lubrico richiamo. Non aveva finito il primo capitolo allorché perse del tutto conoscenza. La bottiglia gli scivolò dalle dita per rotolare aperta sul pavimento, inabissandosi in una pozza di liquido scuro. Si era addormentato, come al solito svestito, con la camicia sbottonata e i pantaloni indecorosamente slacciati. In uno degli ultimi attimi di lucidità realizzò che l’avrebbe pagata a caro prezzo quella sbornia. Si sarebbe svegliato con l’alito di chi si era bevuto anche il fegato e un’emicrania postbellica. Ma in fin dei conti era quello che cercava. Che senso aveva opporre resistenza alle grazie ammalianti di sirene dai nomi di alcolici? Non conosceva altri modi per valicare i bastioni che lo separavano dall’oblio e lasciarsi alle spalle l’inutile regno della lucidità, nel quale soltanto i pazzi e i coglioni potevano dirsi felici. Scivolò quindi senza remore nell’onirico amplesso delle belle arabe, in procinto di soffocare la sua virilità coi loro seni abbondanti e il pube nero come una notte nel deserto. Sui suoi occhi scese finalmente il buio e da quel momento in poi non ricordò nulla.
La mattina dopo un freddo piuttosto insolito – insolito perché era ancora settembre – lo travolse appena varcò la soglia del portone. Era una di quelle mattine in cui a Milano si gelava. Colpa dell’umidità che così come rendeva insopportabile il caldo d’estate, faceva ghiacciare addosso i vestiti alle prime folate d’autunno. Il vento era robusto, segno di un inverno che si annunciava minaccioso. Valutò che facendo così freddo, avrebbe dovuto attendere almeno metà mattina per fumarsi una sigaretta senza l’ingombro del cappotto. Prima di uscire aveva provato con un caffè a svegliarsi ma senza successo. Il mal di testa, sopraggiunto puntuale, gli trafiggeva il cranio e si sentiva la bocca puzzare di alcol. Evitò di parlare, se non per chiedere al tabaccaio le sigarette e all’edicolante il giornale. Proseguì immerso nel suo mutismo; tanto la distanza era poca e fortunatamente non incontrò nessuno nel breve tragitto che lo separava dall’università. Riuscì perfino ad evitare il custode, di cui odiava l’invadenza e le poco gradite confidenze, del tipo, «Meno male che sono finite le vacanze, professore. Sempre troppo lunghe!», e quel suo lamentarsi in continuazione della moglie che per tre mesi lo costringeva a svolgere a casa le stesse mansioni che per tutto il resto dell’anno svolgeva in università.
Quando arrivò aveva già aperto l’aula, dato una spazzata al pavimento e spalancato tutto quello che si poteva spalancare. Lui richiuse subito la finestra, da cui penetrava uno spiffero gelido che collideva col suo bruciore alla gola. Preferì covare i postumi che aveva piuttosto che obbligarsi a inalare aria pulita. Giunse giusto in tempo per assistere alla transumanza delle bestie – come le chiamava lui – che caracollando si inerpicavano alla ricerca dei banchi più in alto. Gettò un’occhiata oltre il vetro smerigliato che affacciava sul cortile. Un cielo anodino restituiva ai suoi occhi opachi una luce spenta. Da quel lato l’edificio sembrava un ammasso informe di cemento, senza anima, o forse era lui ad aver perso ogni scintilla di vita. Si ritrasse in fretta da quei pensieri: aveva davanti a sé una mattinata piuttosto lunga.
Mentre anche le prime file finivano di riempirsi, scrisse sulla lavagna il suo nome e il titolo del corso che avrebbero seguito. Nessuno prestò attenzione. Dopo qualche minuto il chiacchiericcio si spense e tutti guardarono verso di lui: c’era chi impugnava una penna, chi sfiorava coi polpastrelli una tastiera e chi mandava messaggi dal telefonino. A quel punto si alzò, stringendo i denti per inghiottire l’ennesimo riflusso ed esordì con la sua classica domanda, «Chi sa perché furono combattute le crociate?». Scese un silenzio sepolcrale che lo confermò nel sospetto che ogni nuova annata fosse peggiore della precedente e, trattenendo un secondo conato, stavolta non dovuto alla sbornia, iniziò la sua prolusione.

Come è nata l’idea di questo libro?
Questo libro è nato per caso. L’idea mi è venuta ad aprile del 2020, e da allora non mi ha dato pace finché non si è tramutata in carta. Ho dovuto aggiungere a poco a poco i contenuti. Ma il “lampo” iniziale è quello che mi ha spinto a mettere mano alla storia. Non ho mai pensato che avrei scritto un giallo, perché non sono un cultore del genere, ma durante la scrittura ho scoperto la bellezza delle pieghe, dei colpi di scena, dello scoprire la trama lentamente, lasciando che sia il lettore ad andare avanti. Mi sono così adeguato, ma alla fine è stato un bellissimo viaggio.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Portarlo a termine non è stato impossibile. Le difficoltà più grosse le ho incontrate all’inizio, quando non avevo ancora idea dello stile, della fisionomia dei personaggi e dei luoghi, e di come sollevare il velo, senza rovinare il finale. La preparazione iniziale è stata secondo me la parte più difficile.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Adoro i classici, del genere e non. Conan Doyle, Poe, per quanto riguardo i gialli, ma ho una grande passione per gli scrittori dell’800 e del ‘900: Dumas, Hugo, Tolstoj, Dostoevskij, Zola, Manzoni. Mi sono laureato in letteratura e storia medievale, quindi come “deformazione professionale”, ritorno spesso a scrittori come Dante e Boccaccio, a cui mi ispiro per le citazioni.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho vissuto in Italia, a parte una parentesi di qualche anno a Londra. Mi trovo attualmente a Milano. Sono nato in Puglia ed è al Sud che ho trascorso i primi anni della mia vita, girando molte città.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Vorrei continuare a scrivere. Ho in progetto altri libri, ai quali ho già iniziato a lavorare. Spero che il mio primo romanzo venga apprezzato. Sarebbe un bel viatico per il futuro.