
Edito da Akkuaria nel 2020 • Pagine: 382 • Compra su Amazon
Il libro si presenta già di un peso davvero importante nelle dimensioni e nella rilegatura a sottolineare l’impegno anche grafico ed estetico che è stato messo. Ma non bisogna fermarsi alle apparenze: perché Qui Catania di Vera Ambra non è bello solo fuori, è bello anche dentro. Con questo libro, l’Autrice ha voluto rendere omaggio alla sua città, Catania appunto, e lo ha fatto con uno stile e una scansione dei contenuti davvero unici. Storia, monumenti, personaggi noti e meno noti, scorci di vita e scorci di paesaggio, vizi e virtù, piccinerie e grandezze, modi di dire e soprattutto la lingua catanese che qui è la grande, indiscussa protagonista. E tutto è intriso di profumi, di aromi, di sfumature che solo la città sotto il vulcano sa donare a chi a lei rivolge lo sguardo. Il merito di Vera Ambra è stato quello di raccogliere queste suggestioni e metterle in un libro. Ci sono poesie e, interessantissime, le foto dei meravigliosi tempi andati, e poi un racconto che sembra attingere alla commedia dell’arte, e ancora la plurimillenaria storia della città e il suo retaggio culturale e monumentale fatto di fantastici incontri e fusioni, gli uomini che sono il suo orgoglio, e andando avanti gli interventi degli amici e dei colleghi di Vera Ambra, e, per chi non è di Catania, tortuoso e affascinante, un arazzo di locuzioni, frasi idiomatiche, definizioni in lingua catanese che un provvidenziale glossario aiuta a decifrare e gustare. Leggendolo, ci si accorge che si sta viaggiando all’interno di una macchina del tempo.Una macchina del tempo che ci fa contemplare caleidoscopicamente l’anima di una città. Una macchina del tempo - si va dal passato arcaico su su fino alla più leggera contemporaneità - che Vera Ambra pilota con uno stile colloquiale e diretto, e insieme profondo e meditato. Del resto, questa macchina va con un combustibile inesauribile: l’amore, l’amore per una città, la sua storia, le sue genti. L’ultima recente prova di Vera Ambra è la dimostrazione di come l’autrice abbia utilizzato questo combustibile con cognizione di causa, con umiltà e con competenza, e soprattutto con dedizione assoluta.
Perché Qui Catania rappresenta certo un unicum nell’ambito italiano e anche siciliano, ma l’universo proposto è talmente multiforme, incuriosente, variegato che tutti noi, seppur non catanesi, abbiamo la possibilità di rinvenire punti di contatto con l’umanità di Katane, così come la chiamarono i suoi fondatori, gli irripetibili Greci, straordinari artefici di bellezza e di civiltà. Un libro dunque pensato per i catanesi ma non solo.

Anteprima
Verso la metà degli anni ᾽90, molti giovani artisti catanesi furono apprezzati dal pubblico di Insieme, la trasmissione televisiva condotta dal giornalista Salvo La Rosa e prodotta da Antenna Sicilia, l’emittente locale del momento. Tra questi, molti raccolsero una particolare simpatia da parte dei telespettatori perché le loro proposte ricalcavano modelli che coglievano pienamente lo spirito dei catanesi e la condizione delle varie classi sociali che contraddistinguevano le zone “Chic” (scik) – termine di origine francese (scìcchi, termine catanese) che tradotto in italiano significa “elegante” – e della zona “Chic” (pronunziato com’è scritto: chic) – per classificare ironicamente gli Zauddi. In parole povere, portarono in scena la Catania di Corso Italia in opposizione alla Catania dei Quartieri popolari, con quello di San Cristoforo in testa. Vennero così marcatamente classificati con i nomi di Monfiani (dalla “esclusiva” Via Monfalcone) e Mammuriani (termine la cui radice verrà svelata più avanti), due neologismi creati dall’allora giovane cabarettista David Simone Vinci. Queste due categorie portavano in scena episodi di normale quotidianità e che visti dentro un piccolo schermo televisivo diventavano subito uno spettacolo esilarante.
Erano gli anni in cui i ragazzi, bene o male muniti di ciclomotori e vespini, si muovevano in gruppo, e una volta individuato un luogo di loro gradimento e che li rappresentasse, lo occupavano: era diventata la moda del momento. Ebbene, quel branco che prima si era parcheggiato nell’antistante area di Vulcania, il primissimo centro commerciale sorto in Piazza Aldo Moro, si trasferì in blocco in Via Monfalcone.
Mentre Vulcania era un po’ fuori mano e la frequentavano i giovani perlopiù motorizzati, la Via Monfalcone – che nel frattempo da anonima straduzza era diventata la nuova Via della Spiga milanese – è una traversa di Corso Italia tra la chiesa del Cristo Re e Piazza Europa. Per i giovani rampolli della Catania-monfiana divenne molto più facile frequentare questa zona, notoriamente famosa per lo struscio domenicale.
Di contro, per i giovani della Catania-mammoriana che frequentavano già la zona, si presentò l’occasione per intrufolarsi negli alti giri…
Ma fu come se l’acqua del mare, mischiandosi con quella insipida di un fiume, non avesse disperso la sua salinità!
Dunque, in prima serata, la trasmissione Insieme, che andava in onda in diretta quasi tutti i giorni, mise in rilievo le marcate differenze del popolo catanese, raccogliendo il pieno consenso di una città che quando vuole sa piallare e dimenticare le differenze.
Tra i tanti artisti, del calibro di Enrico Guarneri, con il suo personaggio di Litterio, Carmelo Florio & Piero Zola con Le Tagliole, Gino Astorina, Luciano Messina, Nuccio Murabito e Gemma, con la Compagnia del Gatto Blu, spiccò anche il nome di un giovane poliedrico artista Giuseppe Castiglia, che avevo conosciuto e frequentato assieme ad Antonio Zappalà, in arte Antonio Zeta ed Enzo, il mago Mavil.
Verso la fine degli anni ‘80 iniziai l’attività di volontariato nel quartiere di San Cristoforo e loro tre, ancora adolescenti, come tanti frequentavano l’Oratorio dei Salesiani Santa Maria della Salette ma, a differenza di altri erano meno interessati al pallone e molto più al teatro. Difatti, è stata la loro passione a contagiarmi e a tracciare la linea di svolta che da lì a breve segnò la fine della mia carriera di dirigente sportivo per dedicarmi alla cultura, ma torniamo a noi. Dicevo che Giuseppe Castiglia, con il personaggio di Saro Falsaperla, e Davide Simone Vinci, con i suoi mammoriani e monfiani, misero in piazza il meglio dei pregi e dei difetti dei catanesi, coniugando le variegate peculiarità e gli aspetti grotteschi della più genuina snobberia e sciatteria, facendone pura arte teatrale.
In questa mia nuova avventura letteraria, sono stati tanti i compagni di viaggio che ho scelto per farmi guidare e come novelli Virgilio mi hanno accompagnato tra le righe di una variegata catanesità che, senza farsi accorgere, convive silenziosa sotto i nostri occhi; quella catanesità che è parte integrante di un tessuto sociale senza il quale Catania non sarebbe la Catania che è!
Ciò che ho scritto non è un racconto né un romanzo né un saggio. È il risultato di una lunga e meticolosa ricerca delle “parole” e dei “personaggi” di una Città di cui mi sento onorata d’essere figlia.
“Parole” e “personaggi” che sono patrimonio da preservare e tramandare.
Dunque, le vere protagoniste di questo libro sono solo e soltanto le PAROLE.
Ebbene, immaginate che queste pagine siano le vetrine di un grande magazzino dove i manichini diventano i personaggi, e a seconda della situazione indossino le Parole più appropriate…
Tutto questo per quanto riguarda la prima parte, quella più divertente, per meglio avviare il lettore nello spirito della nostra catanesità. Ultimata questa parte si parlerà dei luoghi storici della città e si proseguirà con i personaggi che nei secoli si sono susseguiti.
Buon viaggio…
‘U CULU CHINU fa ghittari cauci
Concy stamattina, prima d’uscire, ha indossato una maglietta Baci & Abbracci e un jeans generosamente sfilacciato; lo strappo fa tendenza.
Ai piedi ha le Sneakers di Paciotti, in pelle bianca su nido dʼape rosa fluo, comprate per la modesta cifra di duecentoventi euro in saldo. Questo è l’abbinamento preferito quando si sposta con il suo Liberty della Piaggio.
Lei abita al Viale Jonio, sopra i locali della libreria Cavallotto. Per quanto riguarda i libri, a stento le interessano le copertine, e solo quando non ha fretta si sofferma a guardarle qualche volta in vetrina. Concy non è una che ama molto leggere, insomma preferisce dedicarsi ai giornali di moda, giusto per tenersi aggiornata sulle novità. Difatti il suo passatempo preferito è far spendere denaro ai genitori portandoli nei negozi più IN della zona, dove si vende solo abbigliamento rigorosamente firmato.
Dall’altro lato della città c’è Angelo, Jàngilu per gli amici. Anche lui sta per uscire da casa. Ha impiegato tanto tempo a rimirarsi davanti allo specchio, ondeggiandosi al ritmo delle note dellʼultimo successo di Niko Pandetta, il cantante neo-melodico catanese del momento.
Ha i capelli tagliati all’ultima moda. Forse sarebbe più giusto dire rasati, visto che la sfumatura piuttosto alta gli dà modo di esibire tutta una serie di rombi e striscioline orizzontali che creano un complicato circuito geome-trico; sembra quasi un disegno tribale dei Maori. Veste un’ampia tuta acetata della Lotto, color rosso-blu in onore alla sua fede calcistica. Ha una pesante collana d’oro al collo e un bracciale al polso con lo stesso motivo geome-trico a zig-zag della zàzzera. Ai piedi le Nike Silver (taroccate).
Ancora un’occhiata allo specchio. «‘A cchi sugnu tùma… aaaaahh?» mormora a muso stretto e con la punta dell’indice dà un’ultima aggiusta ‘o pìssingghi (piercing) sull’orecchio sinistro e a seguire sul sopracciglio destro, tagliato con il micro-rasoio Microtouch Magic.
L’ultima occhiata allo specchio: prima rigorosamente a ‘destra’ e poi con noncuranza verso ‘sinistra’ infine si ferma e punta lo sguardo su di sé: «ʻMpari… chi mi ‘cunti, aaaaah?» altro giro «Ahu cumpòttati arucàtu, annùnca tʼammaccu ‘i conna!» si rimette subito dritto in posa «Ahu! Mòviti fèmmu! Cumpòttiti.. e ora vatinni a spirugghìari ʻsta cosa... e vai a ciccari ‘u pilu».
È domenica mattina. Il sole illumina la parte della piazza, dove sono i tavolini all’aperto di un bar. Rimane in ombra il Teatro Massimo Vincenzo Bellini. Sembra che dorma.
A uno dei tanti tavolini è seduta Concetta, Concy per gli amici.
Si sente a disagio sola in un bar del centro storico. Di giorno la piazza assume una visione totalmente diversa, e la mancanza della folla la fa sembrare nuda rispetto al buio della notte, quando è piena di gente che Scasa da ogni luogo: molti stanno seduti a bere birra sui gradini del Palazzo delle Finanze, che rimane sempre al buio.
Quest’oggi c’è un buon motivo perché Concy sia lì, in un posto insolito per lei; ma forse i suoi amici non avevano ben capito ciò che aveva detto loro la sera prima… anzi le prime ore del nuovo giorno. Mentre rientravano aveva lanciato l’idea di rivedersi al Bar di Piazza Bellini verso l’una per un aperitivo. Ora l’orario è passato, ma degli amici nessun segno.
Concy guarda distratta la cancellata della struttura operistica. È il teatro più importante della città ma lei nemmeno sa di cosa si tratti. Lì dentro non è mai entrata né le interessa farlo. Alle sue spalle c’è la Casa del Mutilato. Come si chiama lo sa soltanto da qualche minuto per averlo sentito dire a una coppia che prima parlava di quella struttura fatiscente, chiusa da anni.
Adesso Jàngilu, Angelo all’anagrafe, è per strada e sta per arrivare in Piazza Bellini. Gli era giunta la notizia che i ragazzi del gruppo dei Monfy (Monfiani) che marginalmente frequenta, si incontrerà lì.
Una volta giunto, appoggia il suo Garelli 50 sgangherato in un posto che può tenere sotto controllo: non sia mai che a qualcuno passi p’‘a testa d’agghiacciarisìllu!
Chiuso il lucchetto alla catena che lo lega al palo, si allontana lentamente. Cammina (forse sarebbe meglio dire si Cantrìa) muovendo mollemente le braccia avanti e indietro, quasi per dare slancio ai passi brevi e dinoccolati.
Da questo modo di camminare si capisce che è un “mammoriano”. L’aggettivo deriva dall’intercalare: Ma-a-mo-ri-ri-me-o-ma, che tradotto in lingua corrente significa “Possa morire mia madre se giuro il falso”.
Giurare sulla propria madre è già di per sé una promessa; se poi, a garanzia, si invoca la sua vita, l’affermazione diventa solenne. Però questa è una frase che, a furia di ripeterla, è diventata un’abitudine e non più un giuramento; una sorta di rafforzativo e nulla più.
Concy è ancora in attesa degli amici che tardano ad arrivare. Ha in mano una borsetta di Louis Vuitton che apre e richiude nervosamente. Fa così anche con gli occhiali da sole Ray-Ban che sfila e inforca freneticamente.
Le si avvicina una giovane cameriera del locale tutta vestita di nero. Ha pressappoco la sua età e con aria sorniona chiede:
«Desidera?» non ha lo strascico marcato tipico dei catanesi; chissà da quale altra località viene, forse è una studentessa.
«Vorrei un’acca-due-o (H2O) con le sfere di cristallo. Una piramide e un disco volante».
Tutta questa manfrina per chiedere un bicchiere di acqua frizzante, un arancino e una pizzetta.
Dal modo in cui si atteggia, si vede bene che la ragazza è una delle tante monfiane che hanno la puzza sotto il naso.
Nel frattempo dei suoi amici ancora nessuna traccia.
Angelo sta appresso a Concy, ma lei non se n’è mai accorta; è come se ai suoi occhi fosse invisibile, eppure le gira attorno da parecchio tempo. Lei gli piace d’impazzìri, forse è follemente innamorato ma ancora nemmeno lo sa, e neppure lei.
Fin da quando è arrivato la guarda con insistenza ma non ha il coraggio di avvicinarsi. Però adesso ha l’opportunità di incontrarla senza la folta schiera dei suoi amici; è un’occasione che non può lasciarsi sfuggire di mano.
“Cu pati p’amuri non senti duluri” questa frase gli torna in aiuto con prepotenza. La sente ripetere spesso a sua madre, ma il solo pensiero fisso che ha è quello di Azziccàrisi ‘dda carùsa… e prima o poi ci dovrà riuscire.
Ora pare proprio sia giunto il momento di sferrare le sue migliori tattiche di Attracco, e anche se non è molto convinto che possano funzionare si lancia ugualmente. «Ma tu ‘u sai cu sunu i chistiani?» dice a se stesso per infondersi coraggio. Neanche lui lo sa, per la verità, ma è un modo di dire che tra i giovani va tanto di moda.
«A chista ci haju a parrari, quantu stimu ‘a vista di l’Ognina!» Si ferma per una breve pausa accanto alla Fontana dei Delfini. Prende fiato, e col petto pieno dʼaria e tanta fifa, si lancia alla riscossa.
«Ahu Paparedda, ci potiamo conoscere, aaahhh?» le dice con un fil di voce, che dalla gola gli esce rauca e grossolana. E ancor prima che la ragazza si renda conto di cosa voglia quel tipo apparso all’improvviso, continua: «Paparedda mi fai sangu. Ce la potiamo aprire una comitiva?»
Le ha sbottato le parole addosso con tutto il fiato che gli era rimasto nei polmoni, e visto lo stupore sul viso della ragazza, crede fermamente nel suo tipo di approccio, e si convince che in breve raggiungerà il risultato sperato.
Nulla condizionerà i suoi propositi.
«Ma che sei pazzooooo…» risponde la ragazza stringendo le labbra a culo di gallina. Lo fulmina con lo sguardo e puntandogli il dito addosso riprende: «Non ho nessuna voglia di aprire un file… Ma sei troppo pazzescoooo» e per nulla intimorita prosegue: «Zeus cerca di evaporare… la tua presenza non mi coagula».
Concy pare Muzzicata da’ Tarantula, ma è da capire: è abituata a rivolgersi male ai ragazzi che non le vanno a genio o che non fanno parte della sua ristretta cerchia di amicizie. E non del tutto contenta affonda la lama:
«Per me sei troppo primitivo! Che fai tu? Anziché aprire la porta di casa… sposti direttamente la pietra?»
Concy è Matelica: parla con la lingua fra i denti, come se in bocca avesse una patata, e con gli occhi rivolti al cielo come se stesse cercando le parole giuste da dire.
In quella lunga pausa Angelo tenta di non darsi per vinto e di riprendere la situazione in mano. «Paparedda cch’avemu ‘a ffari?»
I suoi occhi sono speranzosi ma non quelli di Concy.
«ʻMpare, non ci posso credere… ma renditi conto, io ho già il mio papy che mi porta troppo paranoia, non ti ci mettere pure tu… va bbbeneeee?»
Angelo sembra non cogliere il rifiuto e con la sua solita flemma tira fuori dalla tasca della giacca della tuta un astuccio portaocchiali e indossa i suoi occhiali da sole a specchio con vetro verde smeraldo in perfetto stile play-boy, e stringendo le labbra mugugna un motivetto.
Senza essere invitato si siede al tavolo. La sua faccia assume espressioni di ogni tipo e non sa più dove aggrapparsi, ma non si perde dʼanimo.
«Paparedda, si’ cchiu bedda di ʻn quatru anticu» dice incurante dell’aria infastidita della ragazza, però la sua lieve risata divertita incoraggia il suo ardire.
«Bedda, si’ ruci e zzuccarata!» riprende.
«ʻMpare, sei troppo Zeeeeus. Evaporaaaa…»
Per quanto sia rozzo, maleducato e persino ignorante la ragazza si sta divertendo, senza neppure chiedersi dove vogloa andare a parare quel tipo.
«Paparedda si comu ‘u poccu ca non si jetta nenti» Angelo dice a bruciapelo approfittando del breve momento di tregua.
Soltanto dopo averlo detto, si rende conto d’averla sparata grossa, e arrossisce all’istante.
«Tu non hai capito niente della vita. Ce lʼhai la macchina del tempo? Vedi che sʼè fatta lʼora di svaporare… e subito». Stranamente Concy perde immediatamente la sua arroganza, come svuotata di vitalità.
Mah! Valle a capire le ragazze di oggigiorno!
Non si rende neppure conto che sta accondiscendendo a quello zoticone, grezzo e fancazzista che si crede d’essere padrone di ogni cosa su cui posa lo sguardo.
Eppure proprio quell’invadenza sfacciata e incivile la sta conquistando.
Sono i suoi modi goffi e il linguaggio rozzo a mostrarle la differenza che passa tra lui e gli amici di sempre. Nessuno di loro l’ha mai fatta sentire così desiderata, così importante!
Quel breve momento di riflessione di Concy, è come una spruzzata di pura adrenalina che rinvigorisce Angelo.
«Ma comu t’acchianassi d’incoddu! Bedda cchi dici: ‘u spaddàmu ‘stu russettu?»

Come è nata l’idea di questo libro?
Con certezza è figlio del lockdown 2020. Senza l’attacco del Covid-19 questo libro non sarebbe mai nato e non era neanche lontanamente nei miei programmi mentali.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Lo scoglio maggiore è stato la sovrabbondanza di notizie. Più scavavo nel passato e più mi ritrovavo a ricominciare daccapo. Catania mi si è mostrata come una scatola cinese… ce n’era sempre un’altra da aprire.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sono molti quelli che considero i miei “padri” in particolare Antonio Corsaro, un prete scomodo, il poeta-scrittore Benedetto Macaronio, lo scrittore Pasqualino Fortunato e lo scultore-scrittore Emilio Greco.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nata ad Acireale, una città di provincia ma fin dall’età di 14 anni ho vissuto e operato a Catania.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Da quando sono diventata “nonna” ho deciso di indirizzare i miei propositi sulla letteratura per l’infanzia. Le mie nipoti di 3 e 6 anni segneranno le tappe per le fasce da affrontare. Al momento mi sto dedicando alla scuola elementare…
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