Cinque controsensi
Edito da Atene del Canavese nel 2019 • Pagine: 152 • Compra su Amazon
Una scultrice con il gusto per il macabro, un logopedista con aspirazioni da scrittore, un dipinto che rievoca un passato rimosso dalla coscienza, un appartamento vuoto da cui si sentono provenire rumori misteriosi, due amanti che si perdono di vista nella stessa camera da letto. I cinque racconti di cui si compone questa raccolta si sviluppano all’interno di un labirinto di enigmi e paradossi.
Ogni racconto è consacrato a un senso in particolare, anche se ciascuno di essi presenta pure riferimenti agli altri sensi. Qui ogni senso ha una sua controparte che si alimenta di ossessioni feticistiche, affezioni artistiche, riferimenti numerologici e suggestioni grafologiche.
Che cosa succede quando i sensi ci trasmettono una percezione distorta, contraddittoria? È la pura realtà che percepiamo attraverso l’esperienza sensoriale oppure i sensi ci restituiscono comunque e sempre una realtà illusoria? In tal caso, dietro a questa realtà – così come dietro a ogni illusione – esisterebbe una dimensione nascosta, raggiungibile attraverso un’esperienza emozionale?
Le circostanze in cui si immergono i personaggi dei racconti danno vita a situazioni dai risvolti inquietanti, talvolta surreali. Delineando ciascuna narrazione con uno stile differente, l’autore combina ingredienti propri del genere horror o thriller psicologico a elementi simbolici di straordinaria potenza evocativa. Un eccentrico erotismo, emozioni forti e improvvisi colpi di scena completano un’opera la cui lettura non lascia indifferenti.
Estratto da Statue morte e non:
Ancora mi chiedo perché decisi di andare all’inaugurazione di quella mostra. Non ho mai provato particolare interesse per l’arte – né per la pittura, né tantomeno per la scultura. Eppure, quella sera uscii di casa con il biglietto d’invito in tasca e andai all’indirizzo della galleria d’esposizione, quasi per inerzia. L’invito mi era arrivato da Luigi, un collega di lavoro. Me lo aveva dato perché lui non avrebbe potuto andarci, così eccomi là, dentro quel salone popolato di statue morte e non, con un bicchiere di spumante in mano e la mia aria smarrita dipinta sulla faccia. Devo ammettere che mi colpì parecchio il realismo – sarebbe meglio dire iperrealismo, come avrei appreso in seguito, dal nome della corrente d’avanguardia in cui si inseriva la proposta artistica presentata – delle opere esposte, quasi delle fotografie tridimensionali di varie dimensioni, da quelle reali a riduzioni e ingrandimenti di varia scala.
Mentre fingevo un interesse intellettuale verso una di quelle opere (che raffigurava un uomo disteso su un letto, alimentato dal suo stesso sangue, attraverso un tubo che collegava la sua bocca a una serie di siringhe piantate nelle dita di entrambe le mani), ebbi la sensazione che qualcuno mi stesse osservando. Mi voltai verso sinistra e la vidi. Era una donna attraente, sui trent’anni, dalla corporatura longilinea e con fluenti capelli corvini. Indossava un vestito nero lungo fino alle caviglie, con uno spacco laterale che arrivava quasi all’altezza del bacino, lasciando intravvedere la gamba destra, lunga e armoniosa, velata di un sottile nylon color carne. I suoi occhi non cessarono di fissarmi, così impudenti e insistenti da mettermi a disagio, quasi dandomi la sensazione che penetrassero dentro di me, trafiggendomi. Non avevo mai visto prima quella donna, che (come seppi più tardi) era l’autrice delle sculture esposte alla mostra.
In pochi istanti che sembrarono durare per sempre, distolsi lo sguardo, ritornando a posarlo sulla statua, alzai gli occhi verso il soffitto, poi li abbassai verso il pavimento, fino a voltarmi nuovamente verso di lei: i suoi occhi (che pochi istanti più tardi scoprii essere di un verde torbido, che non lascia intravedere nulla, ma che sembra nascondere qualcosa di perverso, in cui la voglia di perdercisi dentro supera il buon senso che invece porterebbe a distogliere lo sguardo) mi stavano ancora scrutando, con un’espressione impassibile, dalla quale pure sembrava trasparire un certo desiderio, e così decisi di sostenere il suo sguardo, sfidandola a chi avrebbe ceduto prima.
Al di là di ogni mia aspettativa, lei non distolse mai lo sguardo e, dopo pochi secondi, iniziò a camminare lentamente verso di me. Lottando contro un istinto di fuga da quella situazione imbarazzante, rimasi immobile e osservai il suo incedere, sentendo il mio cuore accelerare il battito a ogni secondo che passava. Non mi persi neanche un istante di quella camminata, durante la quale vidi più volte aprirsi lo spacco del suo vestito, per regalarmi la vista di porzioni generose delle sue cosce, delle sue ginocchia, delle sue caviglie, dei suoi piedi, velati di nylon e avvolti nell’abbraccio vellutato di eleganti sandali con tacchi a spillo di colore viola. Quando finalmente mi raggiunse, la desideravo già ardentemente. […]
È curioso come i nostri sensi possano prefigurare situazioni e trasmetterci nozioni anche piuttosto complesse, parlando alla nostra coscienza e stimolando la nostra parte emotiva, prima ancora che il cervello possa processare le informazioni che gli stessi sensi gli inviano. La difficoltà più grande sta poi nel sapere ascoltare quelle emozioni, carpirle nella loro totalità, prima che la nostra cosiddetta parte razionale se ne appropri indebitamente ed eventualmente le corrompa, fino a trasformarle in idee contraddittorie, producendo sensazioni incongruenti, alimentando controsensi.
Estratto da Afasia:
Era buio. Biagio era adagiato supino su qualcosa di morbido e fluttuante, qualcosa che pareva vivo, come una specie di polmone che si gonfiava e contraeva a intervalli irregolari. […] Il suo istinto, assalito dal terrore, lo avrebbe portato ad alzarsi di scatto e fuggire da quella cosa sconosciuta, ma la sua mente aveva perso il controllo del proprio corpo, che rimase lì, paralizzato.
Cercò allora di concentrarsi sull’ambiente circostante, per percepire qualcosa che potesse dargli una spiegazione su dove si trovava. Il buio riempiva tutto, rendendo i suoi occhi uno strumento inutile. Si concentrò allora sull’udito: un brivido freddo andò ad alimentare il crescente terrore, quando capì che dentro quell’assoluta oscurità, a pochi passi da lui, c’era qualcun altro.
Udì prima una specie di fruscio, poi un rantolo; infine, quando già il sangue gli si era gelato nelle vene, un sinistro lamento prodotto da una voce che era stata umana, ma che adesso, corrotta da un’abissale sofferenza, di umano non conservava più nulla. […]
«Chi sei? Che cosa vuoi?»
Di tutte le risposte che ci si può aspettare a simili domande, seguì la peggiore: il silenzio. […]
Un’ossessione è qualcosa che ci rende prigionieri. È una volontà che scaturisce da noi stessi ma che, procedendo come per emanazione, sembra poi assumere una vita propria, tanto grande e assoluto è il controllo che è capace di esercitare su chi l’ha generata. Un’ossessione non ti molla facilmente. Deve almeno arrivare a vedere il sangue; o forse no, neanche quello le basta: un’ossessione ti deve prosciugare, ti deve esaurire, deve avere tutto di te per potersi affermare e quindi realizzare. E se per qualche oscuro motivo ciò non avviene, un’ossessione pretende sempre un sacrificio che la possa placare. E la prima vittima che dovrà immolarsi sul suo altare sarà colui o colei che ha avuto la nefasta pulsione di partorirla.
Estratto da Dalla finestra il buio:
Quell’odore proveniva dal quadro. Il dipinto raffigurava una finestra, aperta su un muro di mattoni […] e, fuori della finestra, il buio. Una notte senza stelle, soltanto una luna malata, verdastra, dava un angolo di luce a quella porzione di notte incorniciata dalla finestra. […] Quel muro dipinto, già da sé, puzza non poco (umidità, argilla, muffa, polvere, sporcizia, urina), ma è dalla finestra che proviene quella corrente d’aria putrida, quell’alito fetido di morte.
Un profondo terrore si impossessò di lei, rendendole impossibile qualsiasi movimento. Mi fa paura, tantissima paura, eppure non riesco a staccare gli occhi da quel quadro, da quella finestra. Cominciarono a delinearsi frammenti di ricordi confusi. Quando era notte – anche fuori del quadro –, il buio dipinto pareva animarsi, fintanto che un’ombra scura fuoriusciva dalla finestra e dal quadro per venire a cercarmi. Non può succedere anche adesso, ormai non può più succedere – Giovanna cercò di autoconvincersi che non c’era più pericolo per lei, ormai non era più una bambina, ma l’odore è troppo forte.
Estratto da L’altro appartamento:
La musica finisce in quell’istante dilatato in cui le immagini e i suoni della mente si mescolano e si integrano con le percezioni sensoriali e i sogni diventano un’intima interpretazione di tali sensazioni.
La musica finisce e sento, nel mio sogno, il pianto di una ragazza. È un pianto spaventato, disperato, ma non rumoroso. Ha qualcosa di ritmico, di ipnotico, ma è terribilmente inquietante.
Mi propongo dunque di cacciare via quel suono dal mio sogno, ma quando apro gli occhi lo sento ancora.
Estratto da Oroboro:
Mi avvicino allo schermo per vedere meglio quell’immagine e mi si gela il sangue: è la stanza in cui mi trovo in questo momento, ripresa come se il punto di vista fosse lo stesso schermo. […]
A un certo punto quello che vedo dentro l’immagine del video mi fa quasi rischiare un collasso: […] vedo entrare Lucia. È smarrita, disperata, sembra che stia cercando qualcosa o qualcuno… me… sta cercando me![…]
Si siede pure lui, nel video, di fronte a me. Ha un’espressione preoccupata, stranita, sul volto. Capisco immediatamente che non si tratta di uno scherzo. […]
Ci guardiamo come in una videochiamata ma non riusciamo a comunicare, perché io non sento lui e mi sembra che lui non possa sentire me.
Ma come è possibile che succeda questo? La camera che vedo nel video è la stessa in cui sono io, identica in ogni particolare, e Luigi è seduto ai piedi del letto, esattamente dove sono seduta io, però lui sta dall’altra parte del video e io di qua…
Lo schermo è diventato come una specie di specchio, in cui ognuno di noi due vede se stesso riflesso sul volto dell’altro. Sul volto di Luigi vedo la disperazione, lo smarrimento, la paura…
Come è nata l’idea di questo libro?
Il progetto di una raccolta di racconti incentrata sui cinque sensi è nata dopo la stesura di due dei racconti contenuti nel libro – i primi due che ho scritto, L’altro appartamento e Afasia. Quando li scrissi, avevo in mente lo scopo di scrivere dei soggetti per cortometraggi di finzione ma poi, rileggendoli, mi accorsi che avevano qualcosa in comune: entrambi i racconti ruotavano intorno al tema della contraddittorietà della percezione sensoriale, qui legata rispettivamente ai sensi dell’udito e del gusto. Così decisi di progettare una raccolta di cinque racconti basati sullo stesso tema.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Trattandosi di un’opera formata da cinque racconti indipendenti, scritti in periodi diversi – a volte, a distanza di anni l’uno dall’altro –, la difficoltà maggiore stava nel realizzare un’opera organica, in cui ogni racconto era legato agli altri da un’intricata serie di temi, motivi, suggestioni simbologiche, ecc. E naturalmente il denominatore comune doveva essere quello di tentare di indurre una certa inquietudine nel lettore.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Tra gli autori italiani, Dino Buzzati ha avuto sicuramente un ruolo fondamentale sugli aspetti surrealistici dei miei racconti. Da un punto di vista più viscerale, Edgar Allan Poe è certamente il riferimento più importante, senza dimenticare la passione, mai estinta, per il romanzo gotico europeo. Poi, in alcuni momenti, mi sono lasciato “guidare” dall’Ernesto Sabato de Il tunnel… C’è chi mi ha chiesto, dopo avere letto il mio libro, se mi ero ispirato a Murakami, ma in realtà non avevo mai letto nulla di suo prima di pubblicare Cinque controsensi.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Malaga, in Spagna, da quasi tre anni. In passato, ho vissuto in diversi posti: a Torino naturalmente, dove sono nato; a Dublino, in Irlanda, per due anni, così come a Maastricht, nei Paesi Bassi; quattro anni a Budapest, in Ungheria, e poi complessivamente un paio di anni e mezzo in altre città spagnole, cioè Murcia, Madrid, la provincia di Alicante e Santander. Sono ormai quasi quattordici anni che vivo all’estero.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Dopo avere scritto una raccolta di racconti, vorrei scrivere un romanzo, per misurarmi con una forma narrativa di più ampio respiro. Ho già buttato giù un po’ di appunti sul tema da trattare e sullo sviluppo della trama, ma è un po’ presto per parlarne. Per il momento, vorrei dedicare ancora più tempo alla promozione di Cinque controsensi.
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