
Edito da Tulipani Edizioni nel 2020 • Pagine: 116 • Compra su Amazon
"Colori" è la storia di Ginevra, di una ragazza che controlla la sua esistenza e ciò che la circonda col cibo, stingendo al petto i chili che la bilancia segna. Ogni volta. Ogni peso. La sua coscienza è sempre accesa, ma il bisogno di monitorare i suoi (chilo)grammi è la forza che le permette di affrontare il male maggiore. Intorno a lei c’è il suo ragazzo, i suoi amici, la sua famiglia e il suo medico…le sue esperienze. Colori è un messaggio potente, un urlo di disperazione, un miraggio di speranza in un tunnel che sembra senza fine.

Prologo
Una candela era al centro del tavolo, equidistante dai bordi. Non un centimetro di più. Una di quelle rosse, con dei fiori neri dipinti su tutta la lunghezza. Bruciava con intensità e diffondeva un profumo dolciastro di ciliegia, che quasi colmava tutto l’ambiente circostante. Quell’odore stucchevole però non era l’unico a impregnare la stanza. Ce ne era un altro che non sapeva riconoscere.
Se avesse potuto vederlo, se fosse stato tangibile, che colore avrebbe avuto? Sorrise e inclinò la testa. Sì, se avesse dovuto dipingerlo, avrebbe scelto il rosso del fuoco: intenso, caldo, magnetico. Però avrebbe dovuto aggiungere anche le sfumature del blu, come quando la fiamma divora la carta: quando l’inchiostro brucia, assume una sfumatura cupa; somiglia alla cancrena che mangia e drena via la vita da un corpo malato.
Eppure, all’inizio, la malattia indossa delle candide vesti. Se avesse potuto ritrarre il suo Cavaliere, avrebbe indossato un’armatura così chiara da accecarla. Anche i suoi alfieri, i suoi servi, tutti coloro che venivano sfiorati dal suo tocco si sarebbero ammantati di drappi impalpabili, evanescenti. Come il fumo di quella candela.
Un pallido sorriso le stirò le labbra. Ormai, lo sapeva: più stavi male, più diventavi chiara.
Capitolo 1
Tutti odiavano quelle pareti di un nauseante bianco panna.
C’erano state diverse petizioni da parte di chi le vedeva ogni giorno per cercare di cambiarlo, ma nessuna aveva nemmeno funzionato. Pareti bianche, carta da parati bianca, letti con lenzuola bianche: era proprio quel posto che, forse, era malato di suo. Per questo la sua compagna di stanza aveva preso pennello e tempere e aveva permesso alla sua arte di illuminare il mondo. O almeno, quella stanza.
La 44 si trovava nell’ala est, vicino alla porta per andare in giardino. Non era molto grande e, ormai, era la camera più colorata che ci fosse.
Melanie aveva dipinto un cielo stellato a destra, accanto al suo letto. Lei, invece, aveva imbrattato la scrivania di parole e pensieri scomposti.
Melanie adorava il colore blu e non mancava mai di ripeterlo.
Aveva i capelli di colore blu. Certe volte, per occasioni importanti come il suo compleanno, nemmeno le labbra venivano risparmiate. Adorava la sua compagna di stanza. Adorava anche lei quella tinta, che riusciva a coprire quel bianco insulso.
Melanie si era guadagnata l’odio delle infermiere ed era evidente, anche se loro cercavano di nasconderlo. Era un’artista, vegana, pacifista e aveva un’idea molto particolare del mondo. Spesso però disegnava sketch di morte, sangue e zombie. Tanti zombie. Era stata lei a farle vedere L’alba dei morti viventi non appena era arrivata.
Mil si era rivelata una risorsa preziosa in quel momento. Un’amica che incontri nel momento più sbagliato della tua esistenza e che ha quell’innata capacità di dare colore alla scala di grigi.
Melanie disegnava ovunque. Fogli, pareti, lenzuola, non si era mai posta il problema. Se li erano posti però gli altri per lei. I colori erano la forza di Melanie, l’unico modo per farle affrontare il mondo e tutto quello comportava.
Da quando glieli avevano portati via – per evitare che colorasse anche la porta – Melanie non era più la stessa. Forse, con lo stingersi dei colori sulle pareti, si era spenta anche lei.
Il silenzio era una di quelle cose che caratterizzava quella “casa”. Il pensiero che condividevano lei e Melanie era che già c’era troppo silenzio dentro di loro, che esserne circondate anche fuori era una tortura. Quando era arrivata, il primo volto che aveva visto era quello
di una ragazzina di tredici anni con due trecce bionde. Aveva il volto scavato e occhiaie profonde. Stava sempre seduta su una poltroncina beige nel salotto che condividevano in quell’ala. Il suo nome era Francesca – detta Francis da tutti – e non aveva superato il mese.
Poi aveva conosciuto Melanie. Lei si era presentata con i capelli corti blu, pantaloni dell’Adidas e una canotta che risaltava sulle già sporgenti ossa del bacino. Sembrava un angelo, con quegli occhi azzurro ghiaccio e la chioma colorata.
Quando tutti si zittivano, lei metteva le cuffie nelle orecchie e chiudeva fuori il mondo. Melanie invece cominciava a canticchiare.
Purtroppo dopo due mesi le canzoni sull’i-pod cominciavano a essere trite e ritrite: quegli ottocento file erano quasi diventati una tortura, più che un piacere.
Avrebbe quasi potuto elencarli dalla A alla Z, ma cercava sempre di dimenticarsi come proseguiva la riproduzione per dire: «Ehi, ma questa dove sbuca fuori?» Inutile dire che ci pensava Melanie a rovinare i suoi intenti: in poche settimane aveva
imparato tutti i titoli, perciò il «gusto della sorpresa» era finito. Se avessero potuto dare un colore al silenzio, avrebbero scelto il bianco. Perché non era nemmeno un vero e proprio colore.
Stesa sul letto di un pomeriggio di pioggia, Aria era tornata a farle visita. Aria Villa, dai lunghi capelli neri, gli occhi castani e dalla pelle sempre abbronzata.
Aveva in mano i blocchetti che sempre le regalava, con fantasie diverse, sperando che lei li usasse prima o poi. C’era stato quello con le stelle, poi quello coi cuoricini, poi quello con i cagnolini… ah poi con le palline di Natale.
«Alza il culo, Ginny» le disse con un tono divertito, ironico.
Sul viso di Ginevra Gritti si distese il sorriso di chi è contenta di qualcosa. Quel qualcosa erano le visite di Aria.
Si sollevò dal letto, scrollandosi i capelli castano ramato dal viso. Allungò le braccia verso l’amica, in attesa che la tirasse su dalla brandina.
«Come stai?» le domandò Aria, osservandola con apprensione.
Ginevra si scostò i capelli mossi dal viso e allargò le labbra in una smorfia che avrebbe dovuto un sorriso.
«Sto bene.»
«Allora, che dicono i medici?»
Melanie non riuscì a trattenere un risolino, mentre usciva dal bagno con indosso solo le mutande e una canotta bianca semitrasparente.
«Ciao, Aria.»
La sua amica scosse la testa, ma poi si abbandonò a una risata anche lei.
«Ehilà, Melanie. Come sta?»
«Mh. Allora dal nostro punto di vista, abbastanza bene. Dal loro… mh…»
Aria posò lo sguardo su di lei. «Mi avevi promesso che ci avresti provato questa settimana.»
«E lo sto facendo. Tu non sai quanto io sia migliorata. Diglielo, Mel!»
La sua compagna di stanza la guardò un attimo stranita, prima di rispondere.
«Ehm… è scesa ancora, in realtà.»
«Mil!» esclamò arrabbiata.
«Gin, non guardarmi così. Sai che tanto i tuoi sguardi di fuoco non mi toccano nemmeno di striscio.»
Prima che potesse ribattere, Ginevra aveva sentito la mano di Aria posarsi sulla sua.
«Ti va di fare una passeggiata?» le chiese.
«Sono stanca, nemmeno se lo volessi ci riuscirei.»
«D’accordo» il suo sguardo si era posato sui blocchetti sulla scrivania imbrattata di scritte e parole. «Hai scritto qualcos’altro?»
Ginevra annuì. «Una sola parola.»
«Cioè?»
«Tramonto.»
«Su quale blocchetto?»
«Quello con su il Piccolo Principe» mormorò orgogliosa.
«Brava. Si parte sempre con una parola, vedrai che poi continuerai.»
La domanda silenziosa che tanto serpeggiava però era lì, in attesa di essere pronunciata. Aria lo sapeva bene e temeva il momento in cui sarebbe giunta. Ma Ginny era brava, conosceva la paura dell’amica e riuscì a trattenerla finché non giunse al limite. Erano ormai le sei di sera e Aria stava raccogliendo le sue cose per tornare a casa.
«Aria…»
E quel momento era arrivato. Aria sospirò, si legò i capelli e cominciò a cercare qualcosa di non definito nella borsa. Tutto, pur di non guardarla negli occhi.
«Mattia è partito per Londra. Dovrebbe tornare domani.»
«Passerà a trovarmi?»
Aria inspirò.
«Io non posso mentirti, Ginny. So che vorresti sentirti dire che lui passerà… ma non lo so. Hai già troppe persone che qui
dentro ti dicono un sacco di bugie.»
«Io non voglio sentirmi dire bugie.»
«Già. Per questo sei qui? Per la verità?»
«Io… io…»
Aria la trapassò con uno sguardo, inchiodandole, come in croce, il cuore sull’asfalto.
«No, Ginny. Sei qui da troppo tempo e io ho il terrore fottuto che non… non lascerai mai questo posto, che sarà l’ultimo in cui ci vedremo. Ma io non posso nemmeno pensarlo, capisci?» una lacrima le attraversò il viso. «E sono arrabbiata, sono talmente arrabbiata che vengo a trovarti ogni volta. Il fottuto motivo sai qual è? Che se tu muori, io ti uccido.»
Ginevra l’abbracciò di getto, incurante delle ossa sporgenti, appuntite come spigoli sotto la pelle chiara.
«Sei così bianca» mormorò Aria, impaurita della sua reazione.
«Tutti qui siamo così bianchi. Un giorno tornerò a essere un colore.»
«Promettilo.»
Scosse la testa. «Io voglio tornare a essere un colore.»

Come è nata l’idea di questo libro?
Credo da sempre che siano tematiche attuali e contemporanee e se ne parla troppo poco. Questa è una tematica molto vicina e volevo parlarne.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Abbastanza. Si tratta di un libro che prende tanto di se stessi.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Leggo moltissimo e dipende dal periodo. Adoro Madeline Miller, Susan Ee e Isabel Allende. Leggo quasi tutti i generi.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Giulia Previtali è una giovane ragazza di ventisei anni e vive in un paesino della Brianza. È laureata in beni culturali con una tesi in Estetica della filosofia a carattere letterario. Redattrice, con una grande passione per le lingue straniere e il cinema. Nel tempo libero gestisce un blog – The Nerd’s family – con alcuni amici, ormai da qualche anno, che tratta di libri, film, serie tv, manga, anime e fumetti.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Mi piacerebbe tornare a scrivere fantasy, anche se in questo periodo sto scrivendo un libro che ha ben poco di questo genere. Vedremo.