
Edito da Patrician Press nel 2018 • Pagine: 176 • Compra su Amazon
Coma – “La vita in un altro tempo racconta la vita che ho vissuto in coma nel reparto di terapia intensiva degli Ospedali Riuniti di Bergamo, dal 15 dicembre 2005 al 9 gennaio 2006. Ero stato ricoverato a causa di un aneurisma all’arco aortico con disseccamento dell’aorta. A quei tempi sono stato uno dei pochissimi sopravvissuti.
Non ho visto luci e tunnel luminosi, sono semplicemente scivolato nel nero ... e, dopo una vita intera, sono ritornato, galleggiando nel nero. In coma, per me, c’è stata la “dilatazione del tempo” e ho vissuto una intera nuova vita.
Nel libro racconto anche fatti già vissuti in questa vita e RIVISSUTI in coma, e tanti altri che appartengono a “UN ALTRO TEMPO”, per questa ragione il critico Gianni Filippini ha detto <Tanti libri in uno. Da leggere! Il libro di Arturo Croci è di alto valore letterario>”.

L’inizio
La cannonata da 105 mm arriva diretta al cuore, mi fanno male il petto e il braccio destro. Non so esattamente quello che succede ma deve essere una cosa seria, alzo il telefono e dico a Gina, mia moglie, di chiamare l’assistenza perché sto male. Arriva Italo, un mio collaboratore, gli dico di andarsene: “Questa mattina non si lavora”, mi guarda perplesso ma poi se ne va brontolando qualcosa che non riesco a interpretare.
Mi sento sempre più debole, le gocce di sudore freddo mi bagnano la fronte, scivolo sulla sedia come fossi di gomma, mi sdraio per terra, sento la gamba sinistra che scompare e non risponde più ai miei comandi.
Arriva Gina e vedendomi a terra si agita, mi mette un cuscino sotto la testa; arrivano anche gli uomini del 118 in tuta arancione, mi chiedono cosa sia successo e come mi senta, mi spostano sulla barella, mi tolgo l’orologio, dico a mia moglie che la tessera sanitaria è nel portafoglio, che il PIN del telefono è 22 33. Perdo i sensi, non ho coscienza del trasporto in ambulanza dall’ufficio al pronto soccorso di Merate.
Intravedo il viso di un dottore che mi riporta per qualche minuto alla consapevolezza, mi tolgo gli anelli insalivando le dita – altrimenti il dottore dice che li avrebbe tagliati in quanto stretti, ma erano alle mie dita da oltre 35 anni. Elena, mia nipote, ha le lacrime agli occhi, le chiedo: “Perché piangi?” mi risponde, con voce triste “Perchè stai morendo”, sorrido e ribatto: “Lo sai che esiste solo ‘hic et nunc’, ‘qui e adesso’ ”, chiudo gli occhi e me ne vado. Lontano, lontano mi sembra di sentire il rumore assordante delle pale dell’elicottero, ma mi interessa poco.
Quattro settimane dopo mi raccontano quello che è avvenuto, aneurisma con disseccamento dell’aorta e l’elicottero che dal pronto soccorso di Merate avrebbe dovuto portarmi alla clinica cardiologica di San Donato Milanese, a causa della nebbia, mi ha trasportato a Bergamo. Adesso so che il primo a salvarmi la vita è stato quel dottorino straniero dell’ospedale di Merate, lui ha capito che avevo problemi all’aorta, mi ha sedato, curarizzato, intubato e preparato per il trasporto.
Se quel dottore avesse sbagliato, adesso non sarei qui a scrivere (molto tempo dopo avrei scoperto che si chiamava Fritz Polo).
Gina si fa portare agli Ospedali Riuniti dall’amico Franco Locatelli, che conosce bene tutte le realtà di Bergamo.
Il Prof. Luigi Aiazzi, primario della cardiologia vascolare mostra a mia moglie una scatola e dice: “É la protesi per suo marito, è appena arrivata da Milano, costa oltre 20.000 euro”. “Signora, non c’è tempo, firmi qui”. Sono in una sorta di sacco termico arancione, a bassa temperatura, già intubato, quattro chirurghi e la troupe entrano in sala operatoria. Sono le 2,30 del pomeriggio, Gina si siede su una panca e aspetta, si fa buio. Verso le 20,00 il Dottor Maurizio Tespili esce dalla sala operatoria e dice: “Signora quello che ho potuto fare l’ho fatto, adesso c’è solo da aspettare e da sperare che tutto vada bene, se supera la notte, domattina lo riporteremo in sala operatoria per il bypass alla gamba”.
Tespili disegna lo schema dell’aorta su un foglio di carta, spiegando che l’aneurisma era nella parte inferiore dell’arco aortico, e che è quasi sempre mortale. In seguito scoprirò che nessuno della divisione della cardiologia vascolare voleva prendersi la responsabilità di operarmi e così ci ha provato il Dottor Maurizio Tespili della divisione Emodinamica.
Seguiranno tre settimane di coma farmacologico, il protocollo di allora prevedeva così, la protesi collocata nell’aorta doveva adattarsi gradualmente, la pressione del sangue doveva essere bassa e le dialisi frequenti ma di tutto questo non ne ho coscienza.
Nel reparto di terapia intensiva sono pieno di tubi, attaccato a macchine che mi iniettano quello che è necessario a tenermi in vita. Gina con camice e protezioni del caso poteva visitarmi 5 minuti al giorno. Una volta l’ho vista ma è come se fossi stato sott’acqua, era lontana, evanescente e sfuocata.
Clinica cardiologica di Barcellona
Tutto questo avveniva al di fuori di me, dentro vivevo in un mondo a sé stante e particolare.
Ero assolutamente convinto di essere ricoverato presso la Clinica Cardiologica di Barcellona e affidato alle cure di un gruppo transnazionale di medici diretto da Katrin Or, una dottoressa israeliana che, come militare, era pilota di aerei da caccia. Katrin mi spiega che il suo gruppo studia le malattie cardiache e la loro origine, e di aver scoperto che il virus HIV o frammenti del virus modificato potevano causare diversi problemi cardiaci e che questo fatto era abbastanza misconosciuto. Mi dice anche che, nel mio caso, la situazione si stava evolvendo positivamente e che, grazie alle terapie messe a punto da Lei e dal suo gruppo, presto me ne sarei potuto andare.
I volti che ricordo sono quelli di Gina e di Elena – mi chiedevo come avessero fatto ad arrivare a Barcellona – ricordo anche un altro volto femminile, forse di una infermiera. C’era anche un ragazzo non troppo alto, dalla pelle olivastra che risaltava col camice bianco.
La voce esterna che la mia mente ha registrato è: “Sono Gina, mi riconosci?”
Elena invece aveva lo sguardo basso, appariva pensosa e in silenzio.
Ricordo l’ambiente e le attrezzature che usavano, io disteso orizzontale e quelle macchine che emettevano flussi che scivolavano sopra di me.
Barcellona è una città che mi ha sempre affascinato. La prima volta all’Università e poi molte altre volte … quante? Non so, a memoria direi almeno cinque ma … non avevo mai sentito parlare della Clinica Cardiologica.
Ai tempi dell’Università, ho visitato Barcellona in lungo e in largo, ma non avevo nessuna idea di dove e se ci fosse una Clinica cardiologica.
Ricordo l’ingresso, i particolari delle aiuole, la porta centrale e i corridoi. Mi domandavo: … “Come fa Gina a sapere che sono qui?”, “come ha fatto a trovarmi in questo ospedale”, e poi altre domande del tipo: “Dove va a mangiare e a dormire la sera?”
Una volta ho immaginato di seguirla, nelle strade fiocamente illuminate dai lampioni, sino a un palazzo, poco lontano dall’ospedale. Era un condominio popolare, con le porte in vetro e alluminio anodizzato, molto comune e forse anche un po’ squallido … aveva la chiave ed è entrata. Mi sono tranquillizzato e ho continuato a dormire.
All’ospedale c’è una sezione particolare composta da giovani volontari, una parte di loro gira per la città per soccorrere le persone in difficoltà, spesso ubriache, molto più spesso in overdose.
Vedo chiaramente due di loro e ascolto il dialogo in catalano.
Che strana lingua è il catalano, la prima volta all’Università sono rimasto sorpreso. In parte assomiglia al piacentino, la pronuncia è un po’ diversa e anche molte parole, alcune vicine al francese, altre allo spagnolo, sono simili e di fatto riesco a capire quasi tutto anche se mi è difficile parlarlo.
“Così non può andare avanti, la quantità dei drogati sta aumentando a dismisura e l’uso di certe sostanze sintetiche causa danni irreparabili”.
“Non ce la faremo mai a venirne fuori, siamo in pochi, le risorse sono scarse … le autorità non possono pretendere che siano i volontari a risolvere questa piaga sociale”.
“Noi facciamo il possibile e a volte l’impossibile”
“Ci sarà qualcuno che si rende veramente conto di quello che stiamo facendo?”
“Ci diranno qualche volta … grazie?”
“Non lo so, faccio quello che faccio perché penso sia giusto dedicare parte del mio tempo agli altri …”
“E questo ti fa sentir meglio … soddisfa la tua autostima? …”
“Il continuare a chiedersi perché, perché, perché, non serve a niente e ci manda al manicomio … stanno arrivando due ambulanze … diamoci da fare”.
I motivi per i quali le persone e i giovani fanno uso di stupefacenti sono diversi e complessi ma indicano chiaramente che ci troviamo in una società malata. Ho provato a fumare la canapa in Sri-Lanka ma tre quarti della sigaretta sono finiti nel cesso dell’hotel a Kandy, mi provocava un mal di testa infernale e da allora non mi sono più lasciato tentare. Mi torna anche alla mente quello che mi era accaduto e che avevo scritto nel mio viaggio a New York.
Un tassista a New York:
Considerazioni sulla ricerca della libertà
Il taxi che mi porta dalla 37a strada di New York all’aeroporto JFK lascia alle spalle lo scenario tipico delle grandi metropoli e un barbone morto sul marciapiede. Accanto al corpo composto su di un cartone ci sono un uomo e una donna, lei piange. I poliziotti aspettano con aria annoiata l’arrivo del coroner. Penso, ma sì, per morire un luogo vale l’altro, ma io provengo da una terra e da una cultura diversa.
Poco più avanti, a un semaforo, un ragazzo a piedi si affianca al finestrino, dice di avere l’Aids e chiede un po’ di soldi, mi frugo in tasca in cerca di un paio di dollari ma non faccio in tempo a estrarre gli spiccioli, il taxista parte rabbioso ancora col rosso e dice: “Ma guardati un po’ intorno, osserva bene … questa società non va bene e non sta andando da nessuna parte”. Il taxista è uno studente iraniano che, per pagarsi gli studi, nelle ore libere pratica questo mestiere.
Penso che forse non ha torto ma il modello islamico non fa per me e perciò, per evitare discussioni inutili, me ne sto zitto.
Qui c’è l’appartamento di Michael Jackson, sotto casa ci sono già i fans che sperano di vederlo, ma lui, di solito, se ne va con l’elicottero dal tetto. Poco più in là ci sono Broadway e Times Square, coi negozi pieni di ogni ben di Dio, e non importa se nel New Jersey tutto costa la metà, è qui che i turisti di tutto il mondo lasciano i loro soldi.
Ad Amsterdam, qualche tempo dopo, incontro Franco Bruno Gnisci, che per conto dell’Associazione Medici contro la guerra nucleare, nel 1985 ha ritirato il Premio Nobel per la Pace. Lui vive, approfittando dell’avvenimento, senza fissa dimora. Un giorno è qui, l’altro altrove. Parla di pace e di altre cose del genere.
Una sera, durante una sua visita a Calco, mi fa cercare in Internet dei dati concernenti il suicidio giovanile. Quello che trovo mi lascia a dir poco sconcertato.
Ogni 17 minuti, nel mondo, un giovane di età compresa tra i 12 e i 25 anni si toglie la vita.
Le varie statistiche parlano delle ragioni del suicidio per le persone adulte: l’alcool, la dipendenza da stupefacenti, malattia grave, … la solitudine. Per i giovani questo non vale e a quanto pare nessuno è in grado di dare una spiegazione univoca.
Andando a fondo nelle varie statistiche si scopre che circa l’80-90% dei suicidi giovanili appartiene al mondo occidentale, che è di razza bianca e di famiglia benestante, dunque non sono i ‘poveri’ che si tolgono la vita. Forse i ‘poveri’ hanno ancora qualcosa da conquistare, qualcosa da raggiungere, ma comunque sia, di fatto, per loro, la vita sembra ancora avere un valore.
In un bar di Vertemate, nei giorni del grande caos, dovuto al crollo delle economie asiatiche (avvenuto così, improvvisamente, senza che nessun mezzo d’informazione avesse pubblicato, nei mesi antecedenti il fatto, una notizia che potesse mettere sull’avviso i piccoli risparmiatori: possibile che nessuno sapesse?) un tipo chiede, in tono ironico, a un povero diavolo, che alle otto del mattino si era già fatto un paio di bianchini, cosa ne pensasse della situazione: (“Vediamo cosa ne dici tu, di questo fatto così importante, visto che sei sempre ubriaco e che … in vino veritas”).
La risposta di quell’uomo mi fa riflettere ancora oggi: “Quelli non hanno ancora capito che i soldi non possono continuare a fare soldi all’infinito, prima o poi ci vuole qualcuno che il lavoro lo faccia”.
Alla stregua di qualsiasi cittadino di questo Paese, dell’Europa e del Mondo, ho visto diverse campagne elettorali, ho incontrato re, regine, attrici, attori, ambasciatori, spie, faccendieri, puttane, e importanti politici, ho ascoltato grandi e illuminati discorsi.
Ho visitato Mosca molti anni prima della caduta del muro di Berlino.
Ho lavorato per molti anni della mia vita nell’Associazione Europea dei giovani florovivaisti (CEJH), ben prima che nascesse l’Unione Europea. Ho visto il crollo del Comunismo e la nascita del mercato globale.
Orbene, la parola più frequente che appare in ogni discorso, non importa in quale nazione ci si trovi, è … Libertà.
Tutti conoscono la definizione di libertà anche se, con questo termine, s’intende qualcosa d’illimitato, che non ha confini. Poi, in realtà, i confini ci sono eccome, e non solo dove iniziano le libertà degli altri.
I confini più difficili da superare sono quelli mentali.
…

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea del libro proviene dalla mia vita in coma, l’ho scritto mentalmente, o se volete materialmente nell’altro tempo, nel reparto di terapia intensiva di Bergamo. Il coma farmacologico è ondulatorio, man mano che il corpo metabolizzava i farmaci risalivo leggermente in superficie, mi agitavo e parlavo. Nonostante fossi intubato le infermiere riuscivano a capire qualche parola e hanno chiesto a mia moglie e a un amico che venivano a farmi visita che parlavo continuamente di un libro… il libro è questo.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Ho iniziato a scrivere appena mi hanno trasferito da Bergamo all’ospedale di Bellano alla fine di gennaio del 2006, dove ho passato sei mesi su una sedia a rotelle per reimparare a camminare, tuttavia, giunto al punto dell’uccisione della donna amata, non sono riuscito a proseguire e sono rimasto bloccato per otto anni, poi a Ban Kamala, nel 2013, ho ripreso la scrittura.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Nel libro cito diversi autori che in coma mi sono venuti alla mente, Carlos Castaneda, Heinrich Harrer, Ernest Hemingway, Angelo Lamberti, Niccolò Macchiavelli, Henry Miller, Anais Nin, Pier Paderni, Rolf A. Stein, Mary Stewart e anche diversi musicisti.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Oggi vivo fra Mocomero Valt Tolla (Piacenza), Calco (Lecco), Agen (Francia), Buenos Aires (Argentina) e Ban Kamala (Phuket, Thailand). In passato ho vissuto e visitato molti paesi del mondo, nel libro molti di questi sono descritti.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Progetti per il futuro… è difficile per me dirlo, nel 2006 mi avevano dato 5 anni di vita, la mia aorta si è rotta ancora nel 2013 ma fortunatamente per me la tecnologia ha fatto passi da gigante… in coma ho giurato a me stesso che avrei scritto questo libro, l’ho fatto, è stato tradotto in inglese, in primavera sarà pubblicato in Argentina in spagnolo e spero a fine anno in francese. No, questo libro è per me unico e irripetibile, non scriverò sicuramente il seguito ma… poesie sì… quelle continuo a scriverle. Viva la vita.
In attesa di avere il libro con la tua dedica spero presto!! Ricordo la luce bassa della tua stanza quando ti venni a trovare nei tuoi giorni di coma farmacologico a Bergamo ! Felicissima di averti ancora con noi , Viva la Vita sempre!!
Ciao Mara, dipende da te e lo sai … comunque prima o poi arriverà anche la tua copia con dedica. Io ricordo bene la tua visita, non ero più in coma … ero in una stanza un po’ particolare monitorato continuamente, in quel momento la tua visita è stata molto importante per me … e lo sai.
A presto e a San Marino, viva la vita
È innegabile dire che il tuo libro mi ha affascinata.
Sicuramente aiutato dai farmaci responsabili del coma procurato sei riuscito a “vivere” una vita avventurosa, fantastica, romantica in parallelo ad una vita legata ad un filo, in stanze più o meno asettiche di ospedali, con vaghe presenze di persone care riconosciute nei rari momenti di lucidità.
Non ho conoscenze scientifiche che mi possano aiutare a capire ciò che può essere accaduto ma, egoisticamente, a me interessa che tu abbia potuto ricordare tutto ciò e che attraverso il tuo bellissimo libro ce ne hai reso partecipi. Sempre viva la vita
Cara Mila, grazie innanzitutto per aver scritto la storia di “Rino, occasionalmente cestaio”. Si, se vogliamo dare una risposta logica e accettata da tutti la parola magica è: Morfina. Ma per me non è così semplice, la vita nell’altro tempo per me, in quanto a sensazioni, emozioni, sentimenti, era uguale ed identica a questa. Da qui la domanda che ancora mi pongo: Quale delle due è la vera?, oppure: Sono vere tutte due o il contrario?.
Secondo la fisica quantistica esistono infiniti universi oltre le “branes” mentali e secondo il teorema di Bell si può fare esperienza di questi universi …
Indipendentemente da questo oggi, dopo quasi 15 anni ho trovato una sorta di equilibrio tenendo ben separate le due vite …. tuttavia ogni tanto mi succedono episodi e situazioni che mi sconvolgono perché quelle cose le ho già vissute “nell’altro tempo” e la domanda alla quale non so dare risposta è: Perché quando sogno il giorno dopo ricordo poco o niente e nel caso di “quella vita” ricordo gli episodi, le emozioni e i dialoghi parola per parola?
A presto e viva la vita
…. recuerdo un día que estábamos haciendo un asado en Monasterio/..o volviendo por alguna ruta desde algún lugar…y te pregunto cuándo escribirias esos recuerdos que me contabas del COMA (cuándo estabas despierto) y me dijiste que era ese un libro que estabas escribiendo todavía en tu mente y que no sabías cuándo estaría…
..listo!
..COMA es un libro que podés leerlo desde cualquier lugar..en cualquier momento del libro ,..por qué parece mentira .. siempre se está reescribiendo.
..de verdad!
Hola Sergio, no recuerdo el asado en Monasterio pero la Laguna, Chis Chis, Lezama … los extraño. En ese momento todavía estaba bloqueado con la escritura, no podía escribir una palabra, pero en mi mente ya estaba todo escrito. Luego, en 2013 en Ban Kamala, logré superar el bloqueo mental de la muerte de la mujer que amaba y a continuar la escritura. Sé que “la mente mente”, es decir, nuestra mente siempre trata de encontrar una respuesta lógica y racional a un problema, si no encuentra una solución, la inventa … por esta razón, cuando alguien me pide que separe la verdad de esto. tiempo y experiencia en el otro tiempo respondo: No sé, para mí las dos vidas son ambas verdaderas (pero también me temo que ambas son falsas). Hasta pronto Sergio Viva la vita