
Edito da Annalisa Murru nel 2020 • Pagine: 118 • Compra su Amazon
Come si crea un'intervista?
Questo libro è pensato per chiunque voglia approfondire questa specifica tipologia di articolo, dagli aspiranti articolisti che non sanno da dove iniziare per confezionare il pezzo, ai giornalisti professionisti aperti al confronto. Con un linguaggio alla portata di tutti e il minimo indispensabile di tecnicismi, ti accompagno in un vero e proprio percorso lineare, che si avvia con la ricerca del contatto dell'interlocutore e termina con la revisione del testo.
All'interno dei vari capitoli non troverai solo informazioni teoriche; infatti, vi sono disseminati suggerimenti, esempi pratici, risorse web e aneddoti personali, per vivere un'esperienza di lettura e di lavoro a tutto tondo. Durante la lettura avrai modo di riflettere sull'informazione, la comunicazione e la scrittura in generale; infine, con gli esercizi proposti alla fine del testo, potrai cominciare a prendere confidenza con le varie skill trattate.
L'obiettivo?
Scrivere un'intervista di qualità, capace sì di informare ma anche di emozionare e quindi di portare valore al lettore, affinché quello che è il prodotto dell'incontro empatico tra te e l'intervistato non lo lasci indifferente.
(...) penso che sia una buona scrittura quella che smuove ciò che abbiamo dentro e risedimenta qualcosa di diverso.

Se sei qui è perché probabilmente cerchi una guida che ti aiuti nella creazione di un’intervista, oppure già ne scrivi ma riconosci il valore del confronto. In ogni caso, se hai sotto gli occhi questa risorsa ti sarai reso conto che preparare, realizzare e scrivere un’intervista non è proprio un compito facile: occorrono metodo, tempo, empatia e cura. Se possiedi queste virtù, hai tutto ciò che serve per fare un buon lavoro.
Già, perché scrivere non è un’attività riservata a pochi eletti, a chi ha il talento. Secondo me, è prima di tutto una forma di introspezione che ognuno di noi dovrebbe coltivare, a prescindere dall’eventuale collocazione pratica che si voglia dare alle parole. Io iniziai così, dialogando con me stessa, quando la maestra di italiano delle elementari ci diede il compito di tenere un diario e di scriverci il più possibile; il foglio bianco divenne il mio migliore amico e quando gli affidavo i pensieri e le emozioni mi sentivo più leggera, da allora non ho più smesso!
Scrivere bene, invece, non è da tutti e lo devo riconoscere. Ma cosa significa “scrivere bene”? Al di là dell’ovvio, ovvero il saper formulare frasi di senso compiuto prive di errori, penso che sia una buona scrittura quella che smuove ciò che abbiamo dentro e risedimenta qualcosa di diverso. Se ci fai caso, si scrive e si legge per conoscere meglio qualcosa, ma si finisce per conoscere meglio se stessi, ed è allora che il testo assume un senso che va ben oltre le parole messe correttamente una appresso all’altra: ci si attacca addosso e allo stesso tempo ci libera. Nel caso specifico di un articolo, bisogna essere capaci di smuovere qualcosa in un lasso temporale limitato, preferibilmente già dalle prime frasi introduttive, perché basta un attimo per perdere l’interesse del lettore o per ridurne drasticamente l’attenzione. Inoltre, ipotizzando che il tempo medio di lettura di un pezzo vada dai cinque ai quindici minuti, occorre creare un contenuto che abbia la meglio sui cali di concentrazione sempre più precoci. Non sappiamo cosa il lettore farà delle nostre parole, potrebbe dimenticarle, rifletterci su, rileggerle, riportarle a qualcuno, appuntarsele, tutte conseguenze sulle quali non abbiamo alcun controllo. L’unico potere che abbiamo consiste nel creare un testo dal contenuto d’impatto, soprattutto all’inizio quando la concentrazione è al massimo e la curiosità è viva: è quella la nostra – spesso l’unica – possibilità di farci leggere.
Ricapitolando, un articolo deve portare all’attenzione del pubblico un contenuto forte che sappia tenere testa a un tempo di lettura consapevole tendenzialmente breve. È quindi un prodotto di rapida fruibilità, ma ciò non significa che non sia frutto di un lavoro lungo e meticoloso, che non tutti sanno riconoscere. Un’intervista, infatti, nasce molto prima del suo effettivo svolgimento e dall’idea alla pubblicazione intercorrono spesso diversi giorni, persino settimane, ma in quanti credono che per scrivere un pezzo bastino qualche ricerca, una chiacchierata e il riportare per iscritto ciò che si è dibattuto (ahimè, a volte è così per davvero)? Il processo creativo che vive un articolista ha poco a che fare con l’idea romantica dello scrittore che si siede davanti al computer e inizia a buttar giù parole in preda a un bisogno istintivo. La realtà è decisamente più sfaccettata, soprattutto quando l’articolo è il risultato dell’incontro tra persone e non solo una stesura di fatti oggettivi. Confezionare un’intervista è un processo che si articola in varie fasi, nelle quali ci si scopre sì versatili, ma anche fragili: le occhiaie si fanno più scure, gli inseguimenti al telefono sono degni del migliore call center, poi c’è quel termine che non ti viene in mente (e tu vuoi proprio quello) e i “fa schifo, è da riscrivere”. A volte la chiacchierata non si è rivelata così entusiasmante e la trascrizione sembra interminabile; per giunta, si è costretti a riascoltare la propria voce registrata, che non è mai stata così fastidiosa.
E può esserci di peggio: il bianco, quell’ostacolo rappresentato dalla pagina vuota che non riesci a riempire. Accade quando durante l’intervista non hai provato emozioni significative, quando non si è creato quel magico feeling tra le parti o quando il personaggio ha deluso delle aspettative; è allora che, laddove sta a te raccontare e non alle domande, arriva il blocco. In quei momenti te ne stai lì a fissare quello spazio intonso e a odiare, nell’ordine: te stesso (se hai scelto personalmente quella tematica), la tematica stessa, il numero di parole che sembra dannatamente infinito e la scrittura in sé e per sé, che appare come un mezzo inadeguato per assolvere al tuo compito. Capita, anche il miglior articolista può sentirsi incapace di raccontare qualcosa. Ecco, il pubblico non lo può sapere: devi comunque trovare il modo di valorizzare ciò che hai per tirar fuori qualcosa che valga la pena di leggere, perché il tempo dei lettori è prezioso e lo è stato anche il tuo speso in compagnia di quella persona. A tal fine puoi impiegare delle strategie che ti permettano di arrivare a un risultato che, nonostante tutto, raggiunga l’obiettivo. Quale?, ti chiederai. Un’intervista non si scrive per fare del mero esercizio letterario o per snocciolare informazioni, ma per offrire il proprio punto di vista con l’obiettivo di lasciare al lettore un’emozione, uno spunto di riflessione, un dato prezioso. In funzione di questo, nei momenti più difficili attingi alla verità più preziosa che ci sia, almeno per me: in ogni persona e in ogni situazione che incontrerai si nasconde una peculiarità da raccontare, è questo il compito più importante che un articolista si trova ad assolvere, trovarla!

Come è nata l’idea di questo libro?
Più che un’idea era un bisogno di mettere per iscritto tutte le cose importanti che ho imparato fino ad ora su questa tipologia di articolo, piccole sfumature comprese. Sentivo la necessità di fissare ogni insegnamento che l’intervista mi ha trasmesso; l’idea di condividere questi capitoli e farne un libro vero e proprio è stata successiva e anche combattuta.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non lo è stato affatto, si è “scritto da solo” nell’arco di qualche settimana, in cui ho tirato fuori parole ininterrottamente senza badare troppo alla forma: avevo paura di tralasciare qualcosa!
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Al momento non ho autori di riferimento, ma ci sono persone che stimo per il loro modo di operare con le parole e la comunicazione.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho sempre vissuto a Cagliari, ma non sono sicura che passerò la mia intera esistenza in Sardegna; tra i limiti che sto abbattendo ultimamente, ci sono anche quelli geografici.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Chissà! Ho un manoscritto sulla scrivania, un giallo scritto durante il primo corso di editing. Per ora sta “riposando”, nei prossimi mesi potrei aver voglia di iniziare a lavorarci.