
Edito da Placebook Publishing & Writer Agency nel 2020 • Pagine: 352 • Compra su Amazon
Toni ha diciott’anni. È un ragazzo come tanti: figlio di genitori separati, vive con la madre e i due fratelli più piccoli a Cappadocia, un paesino che sorge tra le montagne dell’Abruzzo. Un’improvvisa tragedia familiare lo costringerà a riavvicinarsi a suo padre, un uomo che stenta ormai a riconoscere, e a fare i conti, in una nuova città, con i bagliori di un passato scomodo e inaspettato. Un passato che lo lega a doppio filo a “lui”, giovane e ambiguo sicario di un piccolo criminale napoletano. I due ragazzi si scontreranno e si incontreranno in un continuo alternarsi di strategie, che porterà entrambi a guardarsi dentro per conoscere, riconoscere e accettare le proprie luci e le proprie ombre. Riusciranno, nonostante tutto, a continuare a giocare la loro partita imprevedibile con la vita?

L’aria era letteralmente ferma. Faceva così caldo che in macchina si soffocava anche con i finestrini tutti aperti, come in pieno giorno sotto il sole cocente. Gettò un’occhiata al cellulare attaccato alla presa dell’accendisigari. Erano quasi le tre di notte, la preda stava tornando a casa e lui era lì ad aspettarla. Dal vicolo immerso nel silenzio risaliva il profumo di ammorbidente emanato dai panni stesi sui balconcini delle case popolari, un odore di pulito che tuttavia non riusciva a neutralizzare il puzzo micidiale dei sacchi di spazzatura accumulati sulla strada. Fermare la Peugeot proprio di fianco al cassonetto dell’immondizia non era stata un’idea brillante, adesso però era troppo tardi per pensare di cambiare postazione. Il proprietario del bar sarebbe arrivato da un momento all’altro. Nell’attesa che il suo complice, di staffetta all’estremità opposta del vicolo, gli inviasse il segnale, lui si voltò ancora una volta a guardare fuori dal finestrino. Non riusciva a decidersi se il murales accanto alla saracinesca del ferramenta fosse pittoresco o soltanto osceno: raffigurava una donna nuda, prosperosa e obesa, con il lardo che le si gonfiava molle dai fianchi e due gambine sproporzionatamente piccole rispetto al resto del corpo. A breve distanza, un fallo alato sorrideva svolazzando per aria, impaziente di andare ad addentrarsi lì dove doveva. E pensare che non più tardi di tre ore fa si era trovato ad ammirare la gigantografia di San Gennaro sulla facciata di un palazzo. Napoli e le sue meravigliose contraddizioni! Finalmente il cellulare si animò. “Er kommt”, diceva il messaggio. Sta arrivando. Lui sbuffò fuori l’aria, si asciugò il sudore dalla fronte con un fazzolettino di carta, afferrò il passamontagna dal sedile e scese dall’auto. Guardandosi intorno, partì in corsa e imboccò il vicolo per andare ad appostarsi dietro un’edicola sacra. Si infilò la maschera in testa e attese, nel buio. Il proprietario del bar era un ragazzo sui trenta, gracile e minuto, con due orecchini per ogni lobo e una coppia di rondini in volo tatuata sull’avambraccio destro. Lui lo osservò mentre sgambettava verso il portone di casa e si preparò a scattare, il coltello stretto in una mano. La preda era sempre più vicina. Al momento giusto, lui balzò in avanti e gli avvolse tutte e due le braccia intorno al collo puntando la lama dritta alla gola. Il barista sussultò.
«Ch… chi cazzo sei?!»
Il suo corpo tremava tutto mentre tentava invano di voltarsi a guardarlo.
«Prepara i diecimila, stronzo!» Ringhiò lui «hai una settimana di tempo da oggi!»
A quel punto, con una rapida giravolta lo sbatté di schiena contro il muro facendolo crollare al suolo tra gemiti di dolore e paura.
«Se sfori di un giorno, ti vengo a cercare!»
Gli assestò un calcio nello stomaco, uno solo, e poi si diede alla fuga. Il suo complice lo stava già aspettando in auto, sul volto la solita espressione rognosa. Lui montò al lato del guidatore, si tolse in fretta il passamontagna, girò la chiave nel quadro e diede gas. Doveva andare via da lì! Subito!
Capitolo 1
Marzo 2010
“Diamine, sono già cinque mesi che sei qui!”
Sorrido e mi volto brevemente a guardare fuori dalla finestra. Ad un tratto, vedo un gattino nero aggirarsi nella piazzola sotto casa e penso che io e quel gattino in un certo senso ci somigliamo. Non certamente nell’aspetto e neanche, si spera, perché porto sfortuna. Ci somigliamo solo perché io, come i gatti, ho vissuto più di una vita. La prima è iniziata quasi ventun anni fa, nel luglio del 1989, quando sono venuto al mondo in un piccolo paesino semisconosciuto della montagna abruzzese dal nome alquanto bizzarro: Cappadocia. Da febbraio dell’anno scorso sono nella terza, quella che ha segnato il mio passaggio alla vera età adulta e che quindi è ancora tutta da scrivere. E in mezzo a loro c’è la seconda, che sarà probabilmente la più difficile da raccontarti, ma mi sforzerò comunque di farlo… Quattordici luglio 2007. È questa la data precisa in cui ha avuto inizio la mia vita numero due. Sembrava un pomeriggio normale, come tutti gli altri. Me ne stavo lì, in camera mia, seduto sul letto a fissare con aria assorta le montagne che mi si presentavano all’orizzonte. Pensavo a mio padre, a quanto fossi arrabbiato con lui. L’avevo visto l’ultima volta una settimana prima, quando si era presentato a sorpresa al mio diciottesimo. Come se bastasse venire a una festa per rimettere tutto a posto, per lasciarsi tutto alle spalle, per guarire la ferita dell’abbandono. Perché lui questo aveva fatto, ci aveva abbandonato. E non mi si venga a dire che era stata mamma a cacciarlo di casa, perché lui voleva esattamente questo, solo che era troppo vigliacco per prendere l’iniziativa. Ormai era passato più di un anno da allora, un anno in cui si era fatto vedere esclusivamente quando gli faceva comodo.
«Tuo padre deve lavorare, Toni!»
Mi ripeteva ogni volta zio Luciano in un fastidiosissimo tono indulgente. Già, il lavoro: l’alibi perfetto per essere assente. Soprattutto se poi questo lavoro era a Napoli, lontano da casa. È vero anche che prima della rottura definitiva con mamma le aveva proposto di trasferirci tutti lì, ma non era una cosa fattibile. Forse mia madre sarebbe anche tornata nella città dove era nata, ma con tre figli da mantenere o come diceva lei: “campare”, un unico stipendio non bastava e perciò non poteva proprio permettersi di lasciare il suo lavoro di manager in una casa editrice lì in Abruzzo. Tante grida, tanta rabbia, un continuo rimbalzare di accuse e poi, di colpo, più niente, il silenzio, un silenzio assordante. La fine di tutto. Quando è iniziata la mia seconda vita, io e mio padre non ci parlavamo più da mesi… beh, a dire il vero, io non gli parlavo più, lui parlava eccome! Parlava di Giulia, il suo nuovo acquisto… aveva addirittura osato presentarmela, lei, la vera e unica responsabile della rovina della mia famiglia. Me l’aveva fatta trovare a tradimento a casa di zio Luciano… e c’era mancato poco che gli dessi un pugno in faccia, a quello stronzo di mio padre! All’improvviso sentii il telefono di casa squillare. Due squilli. Poi tre. Poi una voce smorzata mi accarezzò i timpani. Una voce sottile, delicata. Una voce che riconoscerei tra mille. La voce di mia madre.
«Pronto? Ciao Ivan!»
Il mio respiro si spezzò. Ivan. Me n’ero completamente dimenticato. Mi alzai di scatto, raccolsi in fretta e furia il primo paio di pantaloni che mi capitò tra le mani e uscii dalla stanza, sbucando nel salottino, sfiorato dalla luce discreta del tardo pomeriggio. Mi affrettai ad andare in cucina, dove mia madre mi passò la cornetta con uno sguardo eloquente. Chiesi scusa a Ivan per aver dimenticato il nostro appuntamento, corsi subito a prepararmi e nel giro di poco più di dieci minuti ero pronto per uscire. Avevo già messo un piede oltre la soglia, quando mamma mi chiamò.
«Toni, aspetta un attimo, ti dovrei dire una cosa…»
Tornai rapidamente indietro, fermandomi giusto davanti a lei.
«Dimmi, cosa c’è?»
Il suo viso piccolo e pallido si oscurò leggermente.
«Vabbè dai» biascicò sfoderando un sorriso forzato «ne parliamo in un altro momento, sennò fai tardi…»
«Ma è successo qualcosa?»
«No no, tranquillo, volevo solo parlarti di una cosa, ma non c’è fretta. Non ti preoccupare, vai…»
«Sicura?»
«Sììì, e poi ripensandoci, è meglio che ci sia anche tuo fratello…»
«Come vuoi…»
Le stampai un bacio sulla guancia e uscii, con una strana agitazione che accompagnava i miei passi.

Come è nata l’idea di questo libro?
La primissima scintilla è scaturita dall’ascolto del brano introduttivo della colonna sonora del film “Le regole della casa del sidro” di Lasse Hallström. Ma naturalmente un ruolo fondamentale ha giocato la mia passione per i romanzi di genere thriller e noir. Inoltre alcuni incontri particolarmente significativi sono stati fonte d’ispirazione per una costellazione di personaggi piuttosto numerosa.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
È stato parecchio complesso arrivare alla stesura definitiva del libro che in origine comprendeva quasi il doppio delle pagine e quindi ha richiesto un attento processo di revisione e limatura.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Antonio Lanzetta, autore di una trilogia noir ambientata nella provincia di Salerno e Michela Murgia autrice di romanzi come Accabadora, che con un linguaggio estremamente poetico e immaginifico descrive il processo di evoluzione e crescita personale della protagonista.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho sempre vissuto tra Sorrento, cittadina della provincia di Napoli che mi ha dato i natali e il capoluogo campano dove ho compiuto i miei studi universitari.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Dopo la pubblicazione di questa mia prima opera, avrei in mente di scrivere altri libri, tra cui un romanzo incentrato su un amore omossessuale intriso di dinamiche di co-dipendenza psicologica.
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