Edito da Carlo Mascellani nel 2019 • Pagine: 108 • Compra su Amazon
Apollinaire e Cassandra, uniti nella vita quanto nell'arte, scelgono di donare speranza alle classi più disagiate attraverso esclusive e singolari rappresentazioni teatrali. Tale decisione si rivelerà provvidenziale anche nel momento in cui un evento assai drammatico giungerà improvvisamente a sovvertire la loro esistenza.
Mentre buona parte della città di Hegelburg giaceva immersa nel sonno che placa ogni inquietudine, Apollinaire Dubois attendeva impaziente l’inizio della rappresentazione. Attraverso la grata, in una penombra a stento rischiarata da luci ancora fioche, sopraffatto dall’atmosfera ovattata che pervadeva la platea antistante e da un concento di fragranze tese a diffonder ovunque profumo d’arte antica, contemplava l’andirivieni del personale intento ad allestire le scenografie e a definire gli ultimi dettagli.Con le mani sporche d’inchiostro, gli occhi socchiusi e un reticolo di rughe a solcar la sua fronte – immagine vivente del profondo travaglio creativo che lo pervadeva -, ingannava il tempo componendo versi su fogli sparsi. Talora si scopriva a compiacersi del risultato ottenuto, talora cancellava furibondo quanto aveva appena creato, talora riponeva con cura quasi materna le pagine scritte accanto a sé, talora le accartocciava con rabbia per poi gettarle in un angolo, sbuffando.
Le ore scorrevano pigre.
Apollinaire conosceva nei minimi dettagli la tragedia che a breve sarebbe stata rappresentata per aver assistito a ogni sua replica, ma già sapeva che, così come era sempre accaduto, come sempre accadeva e, probabilmente, come sempre sarebbe accaduto anche in futuro, una volta alzatosi il sipario nulla avrebbe più potuto distogliere il suo sguardo rapito dal palco, dall’opera, dalla protagonista.
In quei momenti, con gli occhi chiusi per meglio assaporar la sublime poesia offerta, non avrebbe esitato a condiscender al potere che l’arte vanta di suscitar emozioni, destare dilemmi, placare cuori inquieti o turbare anime ancora in cerca delle proprie risposte.
Sopraffatto dall’amore per la creatività artistica concretata, avrebbe concesso al suo spirito di abbeverarsi alla fonte dell’estro sublimato e d’attingere al concento di sensazioni che la suadente voce destinata a interpretarlo – così com’era accaduto la prima volta che il suo sguardo era giunto a contemplare un’autentica musa e il destino si era prodigato per tesser la trama di un futuro, eterno, saldo connubio – non avrebbe certo esitato a suscitar nuovamente nel suo cuore. Ancora rammentava commosso le circostanze grazie alle quali arte e sentimento erano pervenuti a sedurre la sua anima.
Aveva un anno in meno allora, una passione sfrenata per il teatro, spiccata cultura, innata propensione creativa, tutto l’entusiasmo della giovinezza, ma nessuna risorsa per poter assistere alle rappresentazioni o soddisfare il suo romantico desiderio di poesia.
Per ovviare a una simile frustrazione, per cercar di placare un desiderio di contemplazione che inquietava il suo spirito sino a render insonni le sue notti, aveva tentato inutilmente vari espedienti per procurarsi il denaro necessario, sino a quando i continui fallimenti l’avevano quasi persuaso ad abbandonare definitivamente ogni proposito.
Poi, una sera, per puro caso, girovagando senza meta nel cortile del teatro durante l’orario di chiusura, seguendo con sguardo incuriosito la fuga improvvisa di un gatto randagio, era riuscito a scoprire un pertugio privo di grata nel lato sud dell’edificio. Dopo un comprensibile istante di perplessità, assicuratosi che il contesto circostante fosse deserto e nessuno potesse scorgerlo, ammaliato dalle seducenti prospettive che quell’evento fortuito sembrava offrire, si era risolto a entrare.
Nell’oscurità a stento rischiarata dal bagliore intermittente di un vicino lampione, il suo sguardo aveva colto un ambiente dimesso e polveroso – forse parte di un vecchio magazzino ormai chiaramente in disuso – e una scala in pietra, poco distante, che sembrava condurre al piano superiore.
Era rimasto qualche istante in silenzio, in attesa, con il cuore che violava la quiete imperante producendo una fastidiosa melodia di palpiti e respiri spezzati. Poi, non ravvisando segnali che potessero indurlo a supporre la presenza di eventuali sorveglianti, si era cautamente avvicinato alla scala, tremando a ogni passo. Salendo in silenzio gradini lisi dal tempo e dall’incuria, prodigandosi per non fare rumore, con i sensi tesi a cogliere possibili pericoli, in breve tempo aveva raggiunto una piccola porta di legno, sormontata da una scritta ormai indecifrabile. In considerazione delle sue logore fattezze non si era certo sorpreso nel riuscire ad aprirla senza fatica.
Varcandone la soglia si era ritrovato in un ambiente piuttosto angusto e mal illuminato. Un tavolo e due sedie costituivano il solo mobilio presente. Ovunque, densi strati di polvere sembravano voler celare segreti di un passato lontano.
Solo con grandi difficoltà sarebbe riuscito a determinare la reale destinazione di un simile ambiente e a stento un’eventuale scoperta in tal senso avrebbe conseguito di destar il suo interesse. Al contrario non aveva mai più dimenticato l’emozione avvertita nello scorgere una grata metallica collocata nella parete antistante e, avvicinandosi incuriosito, nel poter agevolmente contemplare l’intero palcoscenico attraverso la sua infinita serie di piccoli fori.
La commozione l’aveva sopraffatto a tal punto da indurlo a disattendere l’abituale prudenza e a sceglier di restare. Senza mangiare, senza bere, senza mai allontanarsi, senza nemmeno riposare, aveva trascorso l’intera nottata in quello che, a sua insaputa, assai presto si sarebbe tramutato in un vero e proprio rifugio segreto.
Era sopraggiunta l’alba, il mattino era trasceso nel pomeriggio, erano arrivati gli inservienti, il personale, tecnici, impresari, autori e attori, infine il pubblico. Protetto e al sicuro, celato oltre quelle scabre mura polverose, aveva colto per la prima volta l’atmosfera ovattata che contraddistingue la platea e contribuisce a crear il contesto ideale per favorir ascolto e contemplazione; la vetusta fragranza di tessuti e tendaggi; le luci – dapprima soffuse, poi sempre più intense – che tratteggiano l’atmosfera di ogni scena; tutta l’emozione che si avverte nel momento in cui l’attesa diviene insostenibile, ogni istante trascorso si svela prodigo d’aspettative, i dilemmi che hanno afflitto la giornata sembrano improvvisamente svanire al cospetto dell’arte che si prefigge d’insegnare dilettando.
Quando infine le luci si erano spente e il mormorio di un teatro ormai gremito era improvvisamente cessato, con il viso addossato alla grata, trepidante d’emozione, aveva visto il sipario alzarsi.
Una giovane donna era uscita sul palco, da sola, immersa in un’evanescente penombra. A passo lento e cadenzato si era avvicinata al proscenio, aveva sollevato un braccio e iniziato a declamare pura poesia con straordinaria naturalezza. La folla, ammutolita e profondamente assorta, lasciava trasparire espressioni che indicavano chiaramente quanto le parole via via colte vantassero il potere di giunger a toccare la sua stessa anima, a destare sentimenti che si credevano ormai sepolti o dimenticati, a insinuare in cuori divenuti aridi e cinici a seguito di svariate disillusioni il senso più profondo dell’esistenza.
Sebbene il testo teatrale potesse già di per sé ritenersi straordinario, determinante per il successo dell’opera si era rivelato il lirismo che l’attrice aveva saputo infondere nei versi declamati; la ricchezza espressiva che vantava – esito indubbio di grande perizia tecnica, ma anche di una straordinaria, innata propensione artistica -; la tensione emotiva che non aveva certo esitato a suscitar il plauso di un pubblico ormai pienamente conquistato.
A rappresentazione conclusa si era reso conto d’aver pianto tutto il tempo. I fogli che prima teneva in grembo giacevano inerti nella polvere. Le mani stingevano ancora convulse la solida grata, quasi le sensazioni che aveva saputo trarre da quell’opera straordinaria si fossero mutate in un deliquio parossistico tale da spingerlo a voler avvicinare concretamente la fonte di simili beatitudini. A stento riusciva a respirare.
Per ore era rimasto immobile in quella piccola stanza polverosa: esterrefatto, interdetto, letteralmente sopraffatto dall’aver appena contemplato la forza innata della parola sublimata dal genio artistico dell’autore e dell’interprete.
Riacquisita a stento parte della padronanza di sé, mentre tentava inutilmente di ricomporre pensieri e ricordi, si era scoperto a dubitar persino di se stesso nel momento in cui, poco prima che lo spettacolo terminasse, il suo sguardo aveva creduto di cogliere gli occhi dell’attrice fissarsi improvvisamente nei suoi, quasi una sorta di curioso presentimento li avesse persuasi a volgersi in direzione della grata e a ravvisar la sua presenza.
Era rientrato a casa stremato, stordito dall’esperienza vissuta e con la mente gremita di pensieri, domande, dilemmi. Solo all’alba era riuscito a prender sonno. Innanzi alla sua anima sconvolta, la visione quasi mistica di una fanciulla splendida e straordinariamente talentuosa vantava il potere di sedurre cuore e coscienza, persuadendoli a riconoscere una sensibilità emotiva mai prima d’allora contemplata.
Il giorno dopo era tornato nel rifugio. E quello seguente. E gli altri, senza mai saltarne uno.
IL CROCEVIA DELLA VITA
Al termine della rappresentazione che celebrava la notte di Natale, dopo aver atteso che il personale, finito di riordinare, si risolvesse ad andarsene e gli consentisse, così, di uscir dall’edificio in tutta sicurezza, si accingeva a rientrare a casa dopo aver assistito a un’opera veramente straordinaria.
Mentre seguitava inutilmente a mentir a se stesso, un brandello di verità era sopraggiunto improvviso a suscitare moti insoliti nel suo animo e a persuaderlo che, in realtà, solo una piccola parte della frenesia emotiva che avvertiva e che turbava i suoi pensieri potesse essere ascritta al valore dello spettacolo al quale aveva assistito.
Radici ben più profonde vantavano simili sensazioni: radici che non aveva tardato a rinvenire in quel complesso concento di sentimenti, sublimazione, catarsi che avvince l’anima dell’uomo e in un fugace istante di sincera consapevolezza svela al suo cuore di esser appena giunto a contemplar l’amore.
Aveva esitato un attimo prima di uscire, ridendo amaramente di se stesso e della presunzione che l’induceva a concepir simili sentimenti per una creatura posta ben oltre le sue concrete possibilità. Nondimeno, anche a fronte di tali penose constatazioni, per quanto tentasse di distoglier l’attenzione da simili pensieri, si scopriva suo malgrado consapevole che nulla sarebbe mai riuscito a dissuadere la sua mente e il suo cuore dal desiderio e dal bisogno d’amarla. Anche se si fosse trattato semplicemente di vivere un’esistenza di pura contemplazione platonica, non avrebbe comunque esitato a perseguirla con determinazione pur di poter concedere al suo sentimento l’opportunità d’esprimersi e scoprirsi vivo.
Riconciliatosi con le proprie angosce, mentre la sua mano si accingeva ad aprire la porta, aveva colto un rumore improvviso e si era istintivamente rifugiato in un angolo della stanza sperando di non venire scorto: sperando quell’indebita presenza – mai ne eran sopraggiunte prima – non notasse nulla di strano e proseguisse indisturbata nella sua inopportuna esplorazione.
Erano trascorsi istanti interminabili. In un’atmosfera di silenzio che sembrava tradir indugio da ambo le parti, mentre a stento cercava di trattenere un crescente affanno, il suo cuore batteva così forte da giunger quasi a sopraffare quella quiete innaturale.
Infine l’uscio s’era lentamente aperto e un’esile figura, apparentemente certa di quanto avrebbe rinvenuto oltre quella soglia, si era introdotta nella penombra con fare deciso, avvicinandosi a lui serenamente, sino a raggiungere un punto illuminato a breve distanza.
Occhi verdi di fanciulla avevano impietrito la sua coscienza con la forza che solo l’amore vanta. Occhi verdi di fanciulla avevano irretito la sua anima con la magia che trae fondamento dal sentimento altrui e che talora, a sua volta, giunge a cogliersi ugualmente vulnerabile.
Inizialmente si era sorpreso a temere d’aver perduto del tutto il contatto con la realtà. Poter contemplare da breve distanza la creatura oggetto di tutto il suo amore dopo averla vista per mesi interi solo sul palcoscenico, lontana, eterea, irraggiungibile, aveva letteralmente sconcertato ogni sua facoltà senziente. Poi un piccolo passo prodotto dalla ragazza era sopraggiunto improvviso a spezzare l’impasse. Solo allora, colto da una ridesta consapevolezza, cosciente della situazione che suo malgrado si scopriva a vivere e delle possibili ripercussioni a suo carico, aveva condisceso a una crescente paura.
Era inciampato nella sedia indietreggiando, mentre uno sguardo attonito e un balbettio stentato tentavano inutilmente d’esternare l’imbarazzo che avvertiva e di formulare una scusa plausibile per giustificar la sua presenza in un luogo in cui non avrebbe dovuto assolutamente trovarsi. Contrariamente a quanto ci si sarebbe potuti attendere, la ragazza, anziché stupirsi, gridare o chiamare aiuto, aveva invece alzato una mano a rassicurarlo, portato un dito alle labbra per esortarlo a non far rumore e infine, dopo aver teso l’orecchio verso l’uscio ed essersi ritratta visibilmente compiaciuta, aveva sorriso con aria complice.
Entrambi chiaramente imbarazzati, dopo un primo momento di comprensibile esitazione erano infine riusciti a rinvenir la disinvoltura necessaria per abbozzare qualche frase di circostanza, per scusarsi vicendevolmente, per rassicurarsi in merito alla bontà delle rispettive intenzioni. Riacquisita parte della padronanza di sé, rasserenatisi – seppur ancora lievemente inquieti – si erano infine risolti ad approfittare delle sole due sedie disponibili.
Non aveva mai compreso come la ragazza fosse riuscita a scorgere la sua presenza in quel singolare e dimesso nascondiglio: se avesse intuito qualcosa; se un rumore involontario avesse destato la sua attenzione sino a suscitare i primi dubbi, le prime supposizioni, le prime ricerche; se un presentimento estemporaneo l’avesse forse persuasa a voler verificare l’attendibilità dei propri sospetti.
Ma quella stessa sera, nel silenzio di una logora stanza dal passato sconosciuto, senza mai essersi visti prima, senza nulla sapere l’uno dell’altro, immersi in un’atmosfera quasi surreale, avevano trascorso il tempo discorrendo sino al sopraggiungere dell’alba.
Come è nata l’idea di questo libro?
Diverso tempo fa, per lavoro, mi recai in un vecchio teatro abbandonato. Entrando e contemplando quell’ambiente così sinistro e dimesso fui colpito a tal punto da sceglier di ambientarvi una storia. Volevo un romanzo che parlasse di speranza, compassione, condivisione e trattasse dell’amore che sempre sa donarne. Fu allora che immaginai una coppia d’artisti decisi a dedicar la propria poesia per risvegliare quella stessa speranza nei cuori disillusi dalla vita. Unmese dopo la prima stesura era già scritta.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non particolarmente. La trama ha seguito in maniera molto spontanea l’ispirazione iniziale.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Hermann Hesse, Victor Hugo, Virginia Woolf.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sempre in Italia.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Continuare a scrivere e aiutare le persone a sognare.
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