Edito da LFAPublisher nel 2020 • Pagine: 183 • Compra su Amazon
Sul finire del primo secolo dopo l’anno 1000, nella piccola regione del Tuscolo, sui colli Albani, arroccato su solida e impervia roccia, si trova un maniero. Qui giunge un gruppo di monaci-soldati, con l’Abate di Crypta Ferrata, per diffondere il messaggio di Papa Urbano II ed invitare il popolo, con l’esortazione in occitano Deus le volt, a recarsi in Terra Santa: è la prima Crociata ufficiale della storia.
Gualtiero, il giovane delfino del Duca, lascia le comodità di casa e l’affetto dei genitori per liberare il sepolcro di Cristo dagli infedeli musulmani. I cento e mille pensieri di Gualtiero e dei suoi compagni cruce signati, durante il viaggio verso Gerusalemme, lungo e pieno di insidie, riflettono domande sul senso delle cose, della vita e del mondo. Il testo non dà le risposte né potrebbe, ma ripropone alla contemporaneità valori imprescindibili della vita.G. M. Guaccio
«Come sono lucenti quelle stelle laggiù»
disse Michele indicando un punto della volta celeste.
«È la costellazione di Orione»
disse padre Oberto.
«Orione?»
ripete Michele. Padre Oberto fu contento della curiosità del falegname ed aggiunse
«Orione era per i Greci antichi un Gigante cacciatore e per i Romani aveva avuto tre padri»
«Tre padri?»
chiese Michele sempre più meravigliato delle cose che lui ignorava e che invece padre Oberto sapeva.
«È una storia lunga, te la dirò un’altra volta; ora comincia a fare fresco e dobbiamo andare a riposare»
Sul volto di Michele si delineò un’espressione di delusione ma aggiunse
«Veramente sembra un gigante in cielo! E come contrasta questa immensità e bellezza con la violenza cui, impotenti, abbiamo assistito stamattina»
Il frate non potette non soffermarsi sulle parole di Michele il fabbro.
«Per me»
disse
«la Terra e questo cielo che vediamo è l’Eden, il paradiso che abbiamo perduto con il peccato originale. Qualche volta, come ora, nella contemplazione di questo mondo proviamo una sensazione di armonia e serenità, di completezza dell’esistente che avrebbe dovuto essere lo stato normale del nostro esistere, se Adamo ed Eva non avessero disubbidito. Per il peccato originale possiamo solo rare volte e per breve tempo godere di questa beatitudine.»
Michele non aveva ben compreso tutto; ma si astenne da altre domande e seguì il frate che il freddo e la stanchezza stavano sospingendo verso la locanda.
L’indomani, mentre albeggiava, padre Oberto, usciva dalla locanda recando con sé la bisaccia e la sua roba; si fermò nel chiarore e recitò le preghiere del mattino, tutte ritenute a memoria. Terminate le orazioni, si diresse alla stalla; prese il suo cavallo, lo sellò e vi montò sopra dirigendo l’animale verso il sentiero, che si intravedeva in lontananza, che conduceva alla vetta del monte Sant’Angelo su cui si ergeva il tempio di Giove Axur; stava così seguendo l’antico percorso dell’Appia che co¬strin¬geva i viandanti ad inerpicarsi lungo i disagevoli pendii del monte.
Quando il Sole era ormai abbastanza alto in cielo, uscirono dalla locanda i pellegrini ed Eleonora.
Gualtiero provvide a pagare al proprietario della locanda le somme dovute e che questi aveva calcolato con pignoleria ed esagerando in qualche caso gli importi, dimentico del tutto dell’entusiasmo con cui li aveva accolti il giorno prima e dell’offerta di ospitalità.
Gualtiero disse
«Dobbiamo metterci in viaggio; dobbiamo arrivare a Minturno per questa sera o almeno a Formia.»
Eleonora si rivolse a Gualtiero dicendo
«Posso viaggiare con voi signore, fino a Formia? Qui non ho più nessuno e mia madre era nata lì; forse troverò ancora qualche parente presso cui stare.»
Gualtiero non rispose subito; appariva pensieroso e titubante. Acconsentire avrebbe comportato certamente rallentamenti nel viaggio perché una donna si sarebbe stancata presto ed inoltre la sua presenza poteva rompere l’armonia del gruppo e creare imbarazzo. La sua incertezza, però, aveva radici più profonde a lui stesso ignote.
Gualtiero si era accorto, come del resto tutti, del turbamento che la ragazza aveva prodotto in Goffredo e ciò gli induceva nell’animo un senso di timore quasi un sentimento di gelosia; non che egli provasse attrazione per Eleonora; glielo impediva forse la sua estrazione aristocratica; temeva piuttosto che quel nuovo sentimento offuscasse il rapporto di amicizia che lo legava a Goffredo fin dalla fanciullezza, nutrito di unità di intenti e di complicità. Infine acconsentì alla richiesta della donna.
«E sia.»
disse
«Però solo fino a Formia!»
e subito notò l’espressione lieta assunta dal volto di Goffredo. Gualtiero si era risolto a dare una risposta affermativa perché ciò era richiesto dalle tragiche circostanze che avevano portato la donna tra loro e perché intuiva che tutti attendevano da lui questa risposta.
Mentre Goffredo aiutava Eleonora a montare sul carro delle vettovaglie ed a sistemarsi il più comodamente possibile si udì Ugo esclamare
«Manca padre Oberto!»
«Dove sarà ora questo frate!»
pensò Gualtiero assumendo un’espressione infastidita e tesa per il nuovo intoppo. Del resto non aveva torto: ormai si era in autunno, le piogge sarebbero state frequenti ed il clima sarebbe diventato più rigido. I pellegrini avrebbero dovuto attraversare gli Appennini; sui monti avrebbero potuto trovare già un freddo intenso, temporali e chissà neve: condizioni che avrebbero potuto rallentare di molto la loro marcia se non bloccarla per qualche tempo, ciò che avrebbe potuto farli giungere troppo tardi alla loro meta.
Ecco perché aveva previsto, con Goffredo, tappe lunghe per giungere quanto prima alle montagne, sperando così di iniziare l’attraversamento degli Appennini accompagnati ancora dal bel tempo che sino ad allora li aveva assistiti. Dopo Minturno, dove Gualtiero voleva giungere in serata, aveva previsto di far tappa a Sinuessa, a Capua, a Caudium ed infine a Benevento dove contava di giungere entro cinque giorni.
Il proprietario della locanda che era al lavoro sin dall’alba affermò di aver visto il frate pregare, inginocchiato e rivolto verso il mare; poi di averlo veduto andare nella stalla ed uscirne con il suo cavallo dirigendosi verso la sommità di monte S. Angelo.
Tutti rivolsero istintivamente il viso verso la sommità del monte; Goffredo che aveva un’ottima vista esclamò
«Eccolo lo vedo!»
In effetti guardando con attenzione si scorgeva, in una delle arcate che delimitavano il porticato inferiore del tempio di Axur, una macchia scura che poteva essere quella di padre Oberto anche se il chiarore del mattino, che non era ancora luce piena, rendeva certamente incerta l’affermazione di Goffredo. Uno dei soldati disse
«Vado a cercarlo?»
Gualtiero diede un segno di assenso ed allora l’arciere, preso il suo cavallo, si avviò al galoppo verso la sommità del monte.
Trascorse quasi un’ora e Gualtiero mostrava sempre più la sua impazienza che stava sfociando in rabbia; di tanto in tanto lanciava qualche sommessa imprecazione.
Finalmente l’arciere fu di ritorno; era solo.
«Ho raggiunto la sommità del monte ed ho perlustrato il tempio di Giove ma del frate nessuna traccia; ho chiesto anche ad alcuni contadini che stavano raccogliendo noci; ma nessuno l’aveva visto. Poi ho deciso di tornare dietro per non allontanarmi troppo.»
«Mettiamoci in marcia allora!»
Michele, forse nella speranza di indurre Gualtiero ad attendere ancora, osservò
«Ma così perderemo anche un cavallo!»
Gualtiero, irremovibile, rispose
«Pazienza! Avremo però anche un frate in meno!»
Come è nata l’idea di questo libro?
Questo libro nasce dal desiderio di comprendere le esperienze da me fatte di luoghi e di monumenti visitati in Italia meridionale in un quadro culturale unitario. Questa idea generica si è poi concretizzata immaginando che un gruppo di uomini intraprendesse, poco prima dell’anno mille, un viaggio per partecipare alla prima crociata. La narrazione delle vicende di questi uomini nell’itinerario lungo la via Appia fino a Brindisi ha quindi assunto il carattere di una ricerca che mi ha permesso di scoprire riferimenti culturali che io, viaggiatore moderno, frettoloso e superficiale, avevo tralasciato o ignorato. Dopo l’approdo dell’esercito normanno nei Balcani ed il suo ricongiungimento con gli altri eserciti affluiti dall’Europa, i crociati iniziano, tra mille pericoli e sofferenze, la penetrazione in Anatolia che il testo racconta fino alla presa di Antiochia.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La difficoltà maggiore penso sia stata quella di produrre un racconto verosimile che riuscisse cioè a conciliare la narrazione fantastica del viaggio intrapreso da un gruppo di uomini per aggregarsi all’esercito di Boemondo il normanno e partecipare alla prima crociata con la verità storica del tempo in cui esso si svolge. Cadenzare le azioni dei personaggi ed i loro discorsi, in coerenza con la psicologia di viaggiatori di mille anni fa e con le condizioni in cui essi agivano, ha richiesto un impegno attento, ben ripagato però dalla sensazione che rimane all’autore di aver realizzato egli stesso un viaggio nel tempo.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Voglio citare, tra tanti autori possibili che ho frequentato nelle mie letture, W. Scott per il libro “Ivanhoe” che ha rafforzato in me l’interesse per il medioevo ed il mondo della cavalleria fornendo altresì un valido modello di romanzo storico. Ancora voglio citare U. Eco il cui libro “Baudolino” dimostra che il romanzo storico può anche riprodurre aspetti sociali, politici e culturali di un periodo rendendo più completa la sua comprensione. Debbo infine citare l’opera “Storia delle crociate” di S. Runciman, storico a cui la seconda parte della mia narrazione che si svolge in Oriente deve tanto per la ricca e puntuale descrizione degli eventi presentati in modo avvincente e già quasi in forma di romanzo.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato e vissuto a Napoli. Per motivi professionali alla fine degli anni Settanta ho abitato per quattro anni a Carsoli una cittadina a metà strada tra Roma e L’Aquila. I primi due anni sono stato in una pensione a conduzione familiare situata all’ingresso del paese. Credo che le serate invernali trascorse nel ristorantino annesso, con il forno acceso nel quale si arrostivano scamorze e salsicce, chiacchierando del più e del meno con altri pensionati vecchi e giovani, mentre fuori soffiava un gelido vento di tramontana (Carsoli si trova a circa 600 metri sul livello del mare) e non c’era anima viva in giro mi abbiano aiutato a ricreare alcune ambientazioni del libro. Nel ristorantino non c’era musica né televisione ed un ipotetico viaggiatore di mille anni prima che fosse capitato lì per un salto temporale non avrebbe trovato grandi differenze se non quella dell’illuminazione elettrica.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto scrivendo, ed ho quasi completato, un libro che narra le drammatiche vicende accadute a Napoli in un quarto del secolo XVI, nel periodo che va dal 1631 al 1656. Anche questo lavoro è concepito come ricerca: i personaggi, immaginari o storici, colti nel loro agire quotidiano, i loro dialoghi, i luoghi stessi in cui le vicende narrate si svolsero mirano a far risaltare le radici culturali della città nella speranza di offrire un contributo perché esse diventino un patrimonio comune dei suoi cittadini.
Lascia un commento