
Edito da Unsic editore nel 2021 • Pagine: 208 •
Dai due simbiotici cinesi, pazienti dello “Spallanzani” a Roma, all’arrivo dei primi vaccini, fino all’afflizione delle varianti. Il Covid non solo come racconto di un periodo di “sospensione”, con un’ecatombe di vittime, ma anche come occasione per riflettere sugli errori del passato e sulle dinamiche del futuro.
L'imprenditore Domenico Mamone e il giornalista Giampiero Castellotti, nelle 208 pagine del libro "Covid e dintorni", rinnovano memorie documentate di luoghi e persone, da Wuhan a Codogno, da Mattia a Vo’ Euganeo, dai lockdown ai camion di Bergamo, interrogandosi anche sui molteplici errori che hanno investito l’amaro “modello italiano”, dal protagonismo dei territori ai ritardi su scuola e trasporti, dalle “profezie” dei troppi scienziati ai numeri che non tornano.
A chiudere, tante osservazioni sulla “lezione” offerta dal virus: il senso di sospensione, il monito per l’economia e le imprese, la gerarchia delle priorità, la ghettizzazione dei deboli, il Nord e il Sud, la necessaria rigenerazione morale.

Mario Monicelli ne trarrà ispirazione nell’atto II di “Amici Miei” con i guai provocati dalle bizze dell’Arno: il voto religioso della formosa Noemi contro il tentativo di seduzione da parte dell’architetto Rambaldo Melandri (“Brutta imbecille, Dio per far rimanere vergine una come te, affoga tutta Firenze?”); il fornaio che scopre il tradimento della moglie con il giornalista Giorgio Perozzi, che, sbucando da sott’acqua, si giustifica dicendo che sta conducendo un’inchiesta; la mitica frase del conte Mascetti al vicinato: “Qui siamo su un dosso, l’acqua ‘un può arrivare”.
I drammi, specie nel nostro Paese, vengono talvolta esorcizzati con un umorismo corvino.
In fondo, anche il sipario sulla tragedia del coronavirus – con quella dizione americana coronavairus che, ahinoi, sconsacra il latino peggio degli ultimi ministri dell’Istruzione – si apre con un’amena e sottovalutata storiella. Ricorda una di quelle barzellette che vedono protagoniste persone straniere (l’americano, il francese, il tedesco, l’italiano…).
Il resoconto del Covid in Italia ha ufficialmente inizio con una scan7
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zonata e simpatica coppia di turisti asiatici sbarcati all’aeroporto di Milano Malpensa la notte tra il 22 e 23 gennaio 2020. Atrio del terribile anno bisestile. Anno bisesto, anno funesto. Tutte le cose van di traverso. E, soprattutto, come si sono augurati tutti, che passi presto.
Lui è un ingegnere biochimico di 66 anni, lei umanista di 65 primavere. Lui stempiatura alla Gigi D’Alessio, lei capelli alla Lucia Annunziata prima maniera. Incredibilmente simbiotici.
Giusto loro, in questo Paese eternamente compresso tra la tragedia e la comicità, potevano aprire la cortina mediatica e sanitaria su una catastrofe senza precedenti per la nostra travagliata repubblica. E per l’intero mappamondo. Perché questa lunga e dolorosa parentesi chiamata Covid, ricca soprattutto di errori e paradossi, necessita di un po’ di masochistica caricatura per addolcire le troppe pillole amare. Nella speranza che la parodia garantisca il suo effetto catartico.
Del resto il sorriso, per chi ci riesce, può esorcizzare la paura, come ricorda Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera1.
Stella cita lo scrittore Guido Gozzano, malato di tubercolosi, che nel 1907 scrive all’amico Vallini: “Abbracci. Con bacini e bacilli”.
Il gruppo comico britannico Monty Python sull’arrivo della Morte che, falce in mano, bussa alla porta durante una cena di amici. La domanda del padrone di casa: “È venuto per la siepe?.
Virale, sugli smartphone, la foto del cane con il cartello “affittasi” al collo durante il lockdown e il tariffario: “Giro palazzo 15 euro, pipì veloce 7 euro. No perditempo”.
Avanti, allora, con i due pittoreschi primi ammalati di Covid in Italia. Il duetto di escursionisti standardizzati sul turismo “made in Asia”. Due coniugi vestiti come se gli anni Settanta fossero eterni. Ma con l’ultimissimo modello di macchina fotografica che caracolla sul petto, quasi che la Canon o la Nikon le producessero apposta per loro.
Una di quelle coppie di asiatici che sono solite fare disciplinatamente la fila davanti alla Bocca della Verità. Certamente ignorando che trattasi di un semplice tombino dell’antica Roma. Anzi, guai a confessarlo a qualche loro funzionario politico in quanto potrebbe tentare di spostare l’origine di un virus da un malmesso mercato cinese ad un vecchio chiusino capitolino.
Due mandarini doc, insomma. Disinvoltamente di Wuhan, denominazione onomatopeica di sofferenza per l’antica metropoli sulle sponde dello Yangtze (Fiume Azzurro). Un borgo agricolo diventato in pochi anni uno dei maggiori centri dell’inquinante industria siderurgica: cinque milioni di abitanti nel 2001, oltre undici milioni oggi. Divenuto soprattutto il luogo-simbolo della pandemia sconfinata. Del resto, se non fosse sconfinata, che pandemia sarebbe?
Ad accompagnare i due affiatati cinesi nel loro tour della Capitale su un autobus turistico, il fulgore dell’immancabile alone umano: una comitiva di connazionali, praticamente lo zero virgola zero per cento della loro popolazione nazionale che ormai viaggia verso i due miliardi di individui. Esagerando un po’, ma poi mica tanto. Obiettivo del gruppo, animato di una miscela fatta di ammirazione e di invidia: scorrazzare per le più blasonate città d’arte dello Stivale, principalmente per garantirsi un book fotografico di impareggiabile qualità da destinare a chissà cosa. Ma quanto tempo si passa in Asia a rimirar fotografie, manco le avesse scattate Gianni Berengo Gardin?
Il serpentone umano con gli occhi a mandorla, immerso nella Roma turistica ormai inesorabilmente tendente al trash, rappresenta, come le tante comunità mobili di asiatici, segmenti di ordine e disciplina nell’ingarbugliatamente irrecuperabile tessuto dell’Urbe. Pulmini stracarichi, visite standardizzate, pranzi a canone fisso.
L’avventura italiana dei due mandarini, però, prende una brutta piega. Entrambi si sentono male proprio mentre si cominciano ad ambientare nella Capitale dopo i giorni passati a Milano e a Parma. È fine gennaio e il ponentino non c’entra. L’agente patogeno, rigido come l’inverno, è d’importazione. Almeno così sembrerebbe.
Qualche curioso, grazie ai primi minuscoli resoconti sui giornali, viene finalmente a sapere che c’è un virus. E cos’è un virus. Roba da libro di chimica alle superiori: “una catena di Dna o Rna in una capsula di proteine, molecole che gestiscono il funzionamento di una cellula”. Una volta infettata dal virus, la cellula segue “le istruzioni” e lo replica all’infinito. La carica virale, per edulcorare l’immagine, diventa come zucchero filato in un luna park. Parco giochi che, con una scena alla Quentin Tarantino, si trasforma amaramente in un lazzaretto.
Con le loro inevitabili “replicazioni” all’interno dei propri corpi, i due cinesi rimangono chiusi due giorni nell’albergo di via Cavour, discesona che parte dalla stazione Termini e arriva ai Fori imperiali. Poi vengono trasferiti e isolati all’ospedale “Spallanzani”, specializzato in malattie infettive. Il coronavirus, quel coronavirus, fa la sua prima apparizione ufficiale nel nostro Paese. Mestamente. E cupamente.
Il 1º febbraio, i virologi dello “Spallanzani” riescono ad isolare la sequenza genomica del virus. Nel gruppo c’è anche Francesca Colavita, giovane e valida ricercatrice che, nonostante la vasta esperienza anche nello studio del virus Ebola, è una precaria con un contratto di collaborazione. L’Italia non si smentisce anche nelle sue migliori pagine.
Il giorno seguente, 56 cittadini italiani residenti a Wuhan vengono rimpatriati dalla Cina con un volo speciale dell’Aeronautica militare; collocati in quarantena alla Cecchignola, non proprio una gita turistica, uno risulterà positivo al nuovo virus il 5 febbraio. Guarito dopo sedici giorni.
Queste prime vicende non fanno tanto scalpore. Roba da collegamenti alle tre del pomeriggio in tv, con l’inviata alle prime armi, ai primi microfoni e alle prime “papere”. Tra la decaduta baronessa ospite in studio e il presentatore difficilmente distinguibile da un manichino. Più costume che scienza.
Fin quando la notizia diventa oggetto dei primi “discorsi alla nazione” rivolti dall’irreprensibile premier Giuseppe Conte, l’avvocato degli italiani, pilota di due governi ideologicamente contrapposti. Il terzo resterà un’ipotesi: la campanella sarà ceduta a Mario Draghi in una piovosa giornata di febbraio del 2021.
La prima delle numerose conferenze stampa in materia è datata 31 gennaio 2020, san Giovanni Bosco, patrono degli educatori. Il Consiglio dei ministri decreta lo stato d’emergenza per il rischio sanitario. Nomina quale commissario il rassicurante Angelo Borrelli, classe 1964, originario della provincia di Latina, laurea in economia a Cassino e “una grande passione per i trattori”, come attesta l’Adnkronos2. E stanzia i primi 4,6 milioni di euro. Una mancia rispetto agli oltre cento miliardi sonanti che usciranno dalle casse dello Stato, in attesa che il popolo ce li rimetta. Patrimoniale o no.
Gli italiani sono frastornati. Molti prendono la cosa quasi a ridere, con il solito spirito tra il guascone e l’incosciente. I più non capiscono che è l’imbocco di un lunghissimo traforo, peggio di quello del Gran Sasso, dove sta avvenendo un incidente senza precedenti.
Nello stesso giorno dell’annuncio di Conte, un’Italia insolitamente decisionista dispone – unica in Europa – di interrompere il traffico aereo diretto da e per la Cina3.
Servirà però a poco, nonostante l’enfasi per la decisione, manifestata dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Dalla Cina si riuscirà lo stesso ad insinuarsi nel Belpaese, attraverso scali intermedi, ad esempio sul suolo teutonico.
Ma la disposizione adottata dal governo italiano, nonostante il coro di critiche, ha un effetto apripista. Ci seguiranno presto i governi di quasi tutta Europa. E chi non lo fa, è il caso di dirlo, “peste lo colga”. Specie Oltre Manica.
Le nostre decisioni del periodo, molte insolitamente assennate, avranno un effetto spillover. Qualcuno, non risparmiando magniloquenza, arriverà a parlare di “modello italiano”. La stirpe italica precettrice in pianificazione. Materiale per la rubrica “Strano ma vero” della Settimana Enigmistica. Ma sarà presto smentito.
Il governo di Pechino, comunque, non gradisce l’affronto.