Edito da Alessia Di Palma nel 2019 • Pagine: 200 •
Valentina è una ragazza sensibile, con la passione per la musica e il pianoforte. A causa della prematura morte del padre, la sua vocazione, che con lui condivideva, vien meno e questo la fa addentrare in un’oscurità, in cui non è mai felice, nonostante abbia tutto ciò che la rende tale. Nel buio della sua vita, le uniche lucciole a spianarle la strada sono quelle poche persone che non la reputano strana e le fanno capire che scappare non è mai la soluzione. Lavorando in un ristorante della Capri degli anni 60, Caterina la sua migliore amica è sempre pronta a darle una mano. Il viaggio di Valentina attraverso l’insoddisfazione che la porta sempre a scappare, le farà capire che non ci si rende conto mai di quanto si è ricchi finché non si diventa poveri.
Eppure quel giorno arrivò, troppo presto: freddo come un giorno di inverno senza luce, senza calore, senza sorriso. Si avventò nelle nostre vite con prepotenza, come una lama che trafigge il ghiaccio. Avevo solo dodici anni, età in cui gli adulti ti nascondono la verità per non farti impressionare. O forse perché dire la verità ad una bambina significava definitivamente ammettere l’ovvio. Era il 4 gennaio 1960, un giorno freddo. Questo lo ricordavo bene. Avevo un vestito lungo color glicine, coperto in parte dai miei lunghi capelli biondi, talmente biondi che sembravano bianchi. Alcuni in paese mi tenevano alla larga, perché pensavano fossi albina e quindi portatrice di malasorte. Demoni. Dicerie di un paese, come Capri, rimasto all’età della pietra. Ero andata come mio solito in chiesa a provare, convinta che avrei trovato mio padre ad aspettarmi. Ero stata in paese a fare compere e avevo perso la nozione del tempo. La chiesa era vuota, buia, fastidiosamente silenziosa e fredda. «Papà?» chiamai, senza ottenere risposta. Quell’atmosfera fredda mi stava entrando nella pelle e avevo paura ad andare oltre la soglia, come se ci fosse qualcosa in agguato lì dentro. Un animale feroce. La verità. E invece tutto taceva. Non so cosa, mi fece indietreggiare e tornare a casa. Cominciai a sudare freddo: avevo paura. Una paura matta che non sapevo spiegarmi. Il cuore mi batteva all’impazzata come se già sapesse cosa stesse succedendo. Ancor prima della mente. Probabilmente aveva fatto tardi e non poteva provare quel giorno. Mi stavo facendo inutilmente prendere dal panico, quando c’erano un sacco di ragioni per cui non era in chiesa. Eppure quell’assurdo presentimento si avvinghiava alla mia anima e la strangolava: mi sentivo come se fossi caduta in un lago ghiacciato e sopra di me spirava un vento inverosimilmente gelido. Davanti casa trovai dei miei parenti che non vedevo da una vita. Zia Concetta non voleva farmi passare: una sorella di mia madre che veniva a trovarci solo a Natale perché era ancora zitella e non voleva passarlo da sola.
«Che succede zia?- sbraitai – Devo andare da mio padre!» continuavo, mentre lei mi bloccava il passaggio. Mi prese per una mano e mi allontanò nuovamente dal mio obiettivo. «Tuo padre non sta tanto bene, Vale!» «E che cos’ha?» chiesi spaventata, come se sapessi già come sarebbe continuata quella conversazione. «Febbre alta…!» riuscì a dirmi la zia, perché io ero già scappata in casa. Travolsi tutti e non mi curai neanche di dire “permesso” o “scusate”. C’era il mio papà in quel letto e tutte quelle persone curiose non avevano alcun diritto di essere là. Andai dritta nella sua stanza e trovai mia sorella in piedi fuori dalla porta. Aveva la faccia pallida, potevo notarlo anche alla luce tenue della lampada. «Michela, che fai qui?» «Non riesco ad entrare! Ho paura!» Aveva otto anni allora, ma era abbastanza alta per la sua età. Del resto i nostri genitori lo erano, quindi non poteva essere altrimenti. La presi sotto braccio ed entrammo. Vedendoci, tutti uscirono, anche la mamma. La stanza era avvolta in una luce tenue: le persiane erano sprangate, per tenere il freddo fuori. C’era solo la lampada da comodino accesa e illuminava il volto di nostro padre, disteso nel letto sotto le coperte. Tossiva. «Gli farà bene vedervi, insieme e unite, come siete sempre state!» ci disse. Michela non capiva. Io avevo visto il viso di mia madre, come non mi era mai apparso: scavato, scosso e negli occhi potevo vedere il cuore spezzato, talmente tanto da essere rimaste solo le briciole. Avevo capito. Adesso il mio compito, in quanto primogenita, era quello di mandare giù quel boccone amaro e di sostenere mia sorella. Papà era madido di sudore, aveva gli occhi chiusi e respirava a fatica. «Papà?» lo chiamai io, timidamente. Lui aprì appena gli occhi: aveva una benda umida sulla fronte, forse per cercare di far scendere la febbre. «Principesse!» mormorò, accennando un sorriso.
Noi ci appoggiammo sul suo petto che si sollevava a fatica. «Ora sei tu l’organista di famiglia, Vale!» mormorò. Io chiusi gli occhi: sentirmi dire quella frase, aveva reso tutto così definitivo e io non ero pronta ad affrontare quella situazione. «No, papà! Non sono pronta! Non puoi lasciarci! Starai bene, vedrai!» Anche Michela aveva sollevato la testa e guardava me e poi papà, capendo senza volerlo. Lui sorrise. «Lo sei!» Chiuse gli occhi, ma respirava ancora. «Papà! Non andare via!» mugolavo, come se con la mia voce potessi trattenerlo qui, da quel qualcosa che lo stava trascinando giù. Mamma ci raggiunse e si sedette accanto a noi, recitando il rosario. «Papà! Ti prego! No!» urlavo con tutta me stessa, mentre cominciavo a sudare freddo e sentivo quella litania nelle orecchie che accresceva il mio panico. «Ave Maria, piena di grazia…!» recitavano le donne, mentre io continuavo ad urlare a mio padre di non lasciarmi. Mia madre mi accarezzò la testa e solo così mi calmai. Appoggiai il capo sul petto di nostro padre, come mia sorella: mi ricordai di quando eravano piccole e avevamo paura dei mostri. Rimanemmo cullate dal suo respiro sempre più lento e affaticato, finché ci addormentammo. I ricordi con il nostro papà si facevano breccia nella nostra mente, consapevoli che sarebbero stati gli ultimi. Sembrava un film, uno di quelli che vedi in un cinema di seconda mano. E più vedevo il suo viso nei miei pensieri, più il cuore sanguinava e le lacrime scendevano a fiumi. La mattina dopo, eravamo tutti per strada vestiti di nero: le donne con i veli sul volto e gli uomini con i cappelli. Al momento di dare l’ultimo saluto a mio padre, giurai di averlo visto all’organo dove eravamo sempre soliti suonare insieme. Mi fece un cenno e io gli sorrisi, per poi scomparire. E con lui anche la mia passione.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea nacque nel 2015 come sfogo personale, in un momento pieno di tensione della mia vita.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
All’inizio è stato abbastanza semplice perché scrivevo di getto cosa provavo, ma una volta finito lo sfogo non c’era più ispirazione e quindi lo misi da parte. Poi verso l’inizio dell’anno scorso, durante un tragitto in autobus ne parlai con una mia carissima cugina e mi dissi: “Forse adesso, essendo più distaccata, riuscirò a scrivere una storia migliore!” Così mi sedetti al computer e trascrissi i vari punti da correggere e ampliare. Lavorai sui personaggi come persone pensanti e non come un’estensione di me stessa e studiai bene la geografia del romanzo. Quindi tutto sommato, è stato abbastanza difficile trascrivere la parte concreta, ovvero la storia e lo spazio: per quanto riguarda invece i personaggi con le loro storie, la parte difficile era mantenere una certa coesione e coerenza e impedire alla mia fantasia di volare troppo, rendendo il romanzo inverosimile.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
La mia mentore è J.K.Rowling, ma non tanto per la fama che ha acquisito, ma per le intemperie che ha dovuto affrontare nella vita e anche per pubblicare il libro. Mi piace il suo modo di scrivere chiaro e semplice e la sua straordinaria fantasia. Adesso mi sto affiancando anche ad un’altra autrice scoperta da poco, Gill Paul, che ha un bel linguaggio aulico ma non pomposo e soprattutto svolge un sacco di studi storici per rendere la sua trama più verosimile possibile.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo e ho vissuto in Costiera Amalfitana, anche se ho fatto varie esperienze all’estero per migliorare la lingua inglese: naturalmente i cambiamenti sono un’ottima ispirazione!
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Dal punto di vista letterario, i miei progetti riguardano un futuro ravvicinato, in quanto il mondo letterario è molto volubile. Per il momento, vorrei diffondere il più possibile i miei romanzi e la mia passione per la scrittura, andando in giro per fiere e festival.
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