Edito da Il seme bianco nel 2019 • Pagine: 238 •
Sarah è una normale ragazza di diciannove anni. Dopo aver finito la scuola, s'iscrive alla New York University. Un sogno che ambisce fin da piccola, in modo da poter diventare una famosa artista e coltivare la sua passione per l'arte. La sua vita è stabilita in maniera esatta, e il futuro non sembra serbarle sorprese. Inoltre, il suo fidanzato Charles Connor è tutto ciò che lei potrebbe sognare, e nel momento in cui le chiede di sposarla, lei accetta senza indugio.
I suoi programmi per l'estate sono già stati decisi. Difatti, passerà le vacanze estive da suo nonno, com'era nei piani. I suoi progetti vengono stravolti quando suo nonno Abraham ha un malore, e questi ultimi cambiano radicalmente, facendola finire in una sperduta cittadina dal nome Forthsyth, nel North Carolina.
Lì, Sarah conoscerà Mitch, con il quale non aveva minimamente preventivato di passare neppure un minuto del suo tempo, essendo le loro vite completamente diverse. Questo le farà rimpiangere la sua vecchia vita a New York. Invece... Invece questa vacanza le darà l'opportunità di cambiare. Piano piano conoscerà Mitch, un ragazzo ribelle che vede la vita in un modo completamente suo. Mitch le farà conoscere un mondo del tutto diverso. Nel frattempo, Abraham dovrà fare i conti con la sua terribile malattia, ma ciò gli permetterà di vivere a ritroso la sua vita, mettendo a paragone i suoi sbagli con quelli commessi da Sarah.
Un forte legame tiene uniti Abraham e sua nipote Sarah, e questa sarà la chiave verso la consapevolezza degli errori che Sarah sta commettendo nella sua vita.
Due storie, intrecciate fra loro, quelle di Abraham e Mary ‒ sua moglie ‒, e di Sarah e Mitch. Così, mentre Abraham passo dopo passo riscoprirà le gioie della sua vita, Sarah passerà i brevi istanti di quell'estate insieme a Mitch, i quali diventeranno indimenticabili. Come il primo vero amore.Vedi la SCHEDA DEL LIBRO SU WATTPAD
Stava mettendo la sua chitarra all’interno della custodia, mentre con eccitazione, e un po’ di tensione, pensava alla serata che lo aspettava. Un modo che gli avrebbe permesso di racimolare abbastanza soldi per poi andarsi a divertire in qualche locale chic di New York.
Si era trasferito in quello scalcinato appartamento da quattro mesi o giù di lì, insieme al suo migliore amico dai tempi del liceo, cantante nella sua stessa band e coinquilino, Brian O’Neil. Aveva preso que-sta decisione con la stessa leggerezza con cui aveva deciso che non avrebbe frequentato il college. Così, stanco di come i suoi genitori prendevano sempre decisioni al posto suo, e persuaso più che mai a non volerli rivedere più, aveva fatto le valigie e se ne era andato via di casa. I suoi vivevano a New York, in periferia. Suo padre faceva il veterinario e aveva aperto un proprio studio nella periferia della grande città. Si era laureato alla Medaille di New York, ed era sempre stato molto amico del rettore dell’università. Sua madre, invece, era una graziosa e gentile signora di mezza età, che aveva lasciato gli studi dopo aver conosciuto suo padre, e, rimasta incinta, aveva preferito occuparsi della famiglia. Era una donna molto educata e di buone maniere, che aveva sempre dato affetto e giusti valori sia a lui che a Rick. Suo fratello maggiore Rick, più grande di lui di circa quattro anni, era da sempre riuscito a metterlo in ombra, attirando
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perennemente su di sé tutte le attenzioni dei genitori. Finito il liceo, aveva deciso di trasferirsi a Cambridge per studiare legge; infatti lo fece, laureandosi a pieni voti. Quando conobbe Avery, la sua attua-le fidanzata da due anni e compagna di corso ad Harvard, finiti gli studi, decise di andare a convivere. Si trasferirono poco tempo dopo a Manhattan, dove aprirono uno studio legale, nel quale tuttora la-voravano insieme.
Mitch si tirò su e andò a cambiarsi la maglietta del lavoro, quella con la scritta Da Mannie, usato conveniente. Ne indossò una a caso, di colore nero, e si diresse verso il piccolo bagno dell’appartamento per lavarsi i denti. I muri del bagno erano di un colorito giallognolo, e lui si domandò cosa avrebbero pensato i suoi, se avessero preso la decisione di venirgli a fare visita. Siccome questo non sarebbe mai successo, però, non era un problema che lo riguardava, e inoltre, con quello schifo di lavoro al negozio dell’usato, e con i pochi soldi che riusciva a fare con la band, non sarebbe certo riuscito a permettersi un attico di quelli che si vedevano a Times Square o vicino al New York Times Building. Ma non se ne lamentava, avere un tetto sopra la testa era già qualcosa alla sua età. Per di più, godere di tutta la libertà che si poteva sognare era un gran passo da considerare. Non avrebbe sicuramente desiderato vivere lì per sempre, ma al momento gli andava bene così.
Mentre girovagava per casa, in cerca dei suoi braccialetti, non poté fare a meno di pensare alle ultime parole di suo padre, poco prima che lui se ne andasse di casa. «Che cosa farai in futuro? Vivrai per sempre con quegli incompetenti con cui suoni?» gli aveva detto. «Alla fine dovrai pensarci, Mitch. La vita degli adulti è più dura di quel che immagini».
Certamente lo avrebbe fatto, ma perché preoccuparsene ora? Era un ragazzo di diciannove anni a cui non era mai piaciuta la storia o la matematica, eppure non era per niente stupido e solo quando voleva impegnarsi in qualcosa, lo faceva, ottenendo sempre il massimo sia a scuola sia nella vita. Questo, suo padre doveva averlo capito, perciò continuava a fargli notare quanto stesse sprecando le sue doti, non come suo fratello Rick.
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Al diavolo Rick! Lui non era Rick e non lo sarebbe stato mai, e ne era felice, pensò in quel momento, mentre s’infilava i braccialetti ai polsi, gli stessi che aveva comprato un paio di giorni prima nel solito negozio di cianfrusaglie. Non voleva male al fratello, ovviamente, ma non sopportava quella pressione che da sempre aveva sentito da par-te dei suoi genitori, come se lui non fosse mai abbastanza per loro.
Eppure, lui aveva una grande dote, che tutti, nel piccolo paese fuori città, avevano notato; compresi suo padre e suo fratello. Aveva da sempre avuto un amore innato per gli animali, e riusciva a essere molto più empatico nei loro confronti che verso le persone stesse. Era stato suo padre a trasmettergli quest’amore, e secondo Rick era un talento che gli era stato tramandato proprio da lui. Difatti, da quando era molto piccolo, aveva trascorso un sacco di tempo con suo padre proprio per via di questa loro passione che li accomuna-va. Lo aveva portato spesso allo studio veterinario, per far sì che lui lo assistesse e imparasse sempre di più sugli animali. Ciò finché non ebbe compiuto quattordici anni. Sorrise ricordando quei bei momenti.
Ma quando crebbe, i suoi interessi mutarono, e lui iniziò a suona-re il basso, per poi formare insieme a Brian una band, con la quale provavano almeno tre volte a settimana. Dopodiché, iniziò a bere le prime birre, a fumare i primi spinelli e a frequentare le ragazze. Da quel momento in poi, il rapporto con il padre non fu più lo stesso, e lui si allontanò molto, passando più tempo fuori di casa insieme a Brian che con la sua famiglia.
Quando finì il liceo, prese l’importante decisione di trasferirsi in centro città, per iniziare una vita nuova, completamente diversa, e fino ad allora Mitch non riusciva a trovare qualcosa per cui lamen-tarsi riguardo a questa sua nuova vita. In fondo, faceva quello che voleva quando lo desiderava, senza suo padre o sua madre che gli di-cessero come comportarsi o come agire, o addirittura come pensare.
Aveva messo su un nuovo gruppo, e insieme si divertivano alla grande. Era stato proprio Brian, il quale lavorava insieme a Maison e a Francis ai Grandi Magazzini Lord & Taylor, sulla 5th Avenue, a ingaggiare i due ragazzi.
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Maison era il chitarrista, un ragazzo frizzante, pieno di passione per la musica, con capelli lunghi e biondi, un paio di occhi verdi e un gusto nel vestire piuttosto ambiguo, che riportava alla memoria i giovani skater nei video musicali degli anni Novanta. Francis, invece, suonava la batteria e aveva dei capelli corti di colore castano e occhi della stessa tonalità dei capelli. Aveva un carattere mite e riservato, un po’ come Mitchell, d’altronde. Brian, al contrario, somigliava più a Maison ed entrambi avevano un carattere più esuberante rispetto a Mitchell e a Francis.
Aveva conosciuto i due ragazzi dopo aver ottenuto un lavoro all’interno dei Grandi Magazzini, e da subito aveva familiarizzato, ri-conoscendo in loro la stessa passione verso la musica che avevano lui e Brian. Entrambi erano molto bravi, tanto che Brian aveva proposto loro di mettere su una band. Mitch era sempre stato attratto verso qualsiasi strumento musicale, ma spiccava nella chitarra e nel bas-so, così, avendo già un chitarrista molto talentuoso all’interno della band, aveva deciso, al tempo, di dedicarsi solo al basso.
Quella sera, avevano un ingaggio in un piccolo locale del centro,
Il Nirvana. Un locale piuttosto trash, che metteva musica grunge anni
Novanta, nel quale si esibivano band dal vivo.
Una volta uscito di casa, chiuse la porta dell’appartamento e si diresse giù per le scale, dopodiché s’incamminò sul marciapiede af-follato, in direzione del posto nel quale avrebbe incontrato Brian e gli altri. Impiegò circa quindici minuti a raggiungere Il Nirvana a piedi e, una volta lì, vide la fila di persone di fronte all’ingresso, dove un buttafuori vestito in giacca e cravatta, con un auricolare all’orecchio, stava facendo entrare le persone dopo aver controllato i documenti. Lui passò dal retro, attraverso un vicolo stretto e buio, che portava alla porta posteriore del locale. Bussò, e un altro but-tafuori, con lunghi capelli mori legati dietro e occhi azzurri, lo fece entrare, dopo aver controllato il suo badge e appurato che lui faceva parte della band. Si sentì decisamente privilegiato in quel momento, come se fosse stata davvero una di quelle rockstar che si vedono ai grandi concerti, per esempio degli Audioslave o dei Clash. Entrò nel piccolo camerino riservato alle band e alla preparazione del trucco
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e degli strumenti, e vide che erano già tutti lì. Francis era sdraiato su una sudicia poltrona in pelle rossa, tendente al bordeaux, con il cellulare in mano. Invece Maison stava intonando uno dei loro pezzi con la chitarra. Non appena lo vide, Brian gli si avvicinò, e i due, per salutarsi, si strinsero la mano come due veri rockers.
«Ce l’hai fatta, amico» disse Brian.
Gli altri due ragazzi gli fecero un cenno di saluto con la testa e lui ricambiò.
Ebbe giusto il tempo di appoggiare la custodia del basso e di tirarlo fuori dalla sua custodia rigida, rivestita di pelle nera, che il proprietario del locale li chiamò. Era ora: tutti e quattro i ragazzi si diressero fuori dal camerino verso il piccolo palco.
Circa un’ora e mezza dopo, erano di nuovo nello stanzino e sta-vano mettendo via i loro strumenti, dentro le apposite custodie. Era andata decentemente e avevano ricevuto una notevole quantità di applausi. Mentre lui era occupato a chiudere la zip della sua custo-dia, Brian si rivolse a tutti loro:
«Ragazzi, ho appena saputo che hanno aperto un nuovo locale in centro» annunciò il ragazzo, entusiasta. «Si chiama il Blue Angel».
Gli altri ragazzi, compreso Mitch, non sembrarono molto convinti.
«Uhm…» rispose Maison. «Che musica c’è?».
«Dov’è che si trova?» chiese, invece, Francis.
«A un paio di minuti a piedi da qui. Dicono che sia carino» disse Brian, eccitato.
Tutti quanti loro sembrarono ancora poco convinti.
«Andiamo, tanto domani nessuno di noi lavora, e per te invece» disse, rivolgendosi a Mitch. «È l’ultimo giorno di lavoro in quello schifo di negozietto dell’usato. Sarebbe un promettente inizio per dare il via alle vacanze estive!» insistette Brian.
Di comune accordo, avevano deciso di lasciare tutti e quattro i loro rispettivi lavori, per concentrarsi solo sulle serate nei locali, e sull’università, anche se, a dire il vero, solo Maison e Francis avevano deciso di frequentarla. Tuttavia, gli introiti con la band andavano bene, e per merito di Brian, che si era rivelato un ottimo manager, anche se non lo era per niente, ora riuscivano a suonare quasi tutta la…
Come è nata l’idea di questo libro?
Ho iniziato a scrivere “Le decisioni della nostra vita” con la convinzione che tutti hanno sempre una scelta, ma molte persone percorrono una strada che qualcuno ha scelto per loro. L’amore, come sempre, è la chiave verso la libertà, l’energia necessaria a darti la spinta per condurti, quasi come una guida interiore. Ciò che ti rivoluziona l’esistenza maggiormente, e ti dà la forza di combattere.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Direi che è stato difficile quanto ogni cosa per cui vale la pena di lottare. Nel senso che, per ogni obbiettivo che si vuole raggiungere c’è un sacrificio equivalente a cui “sottostare”. Dietro ogni mio libro, come per qualsiasi cosa, c’è un duro lavoro, ma poi, alla fine, se una persona si è impegnata davvero in ciò che stava facendo, si vedono i risultati sperati.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Ho moltissimi autori preferiti, e non mi piace scartare un libro solo perché di un genere diverso o alternativo. Ma se dovessi pensare a qualcuno che mi ha ispirato nella mia vita, è sicuramente Nicholas Sparks, il poeta dell’amore. Colui che riesce a spiegare ciò che realmente l’amore provoca, e come può cambiarti la vita.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho vissuto in molti posti nella mia vita, partendo dall’Australia, Francia, Nuova Zelanda, Regno Unito, ecc. Ne vorrò certamente visitare altri in futuro ma per adesso mi sto concentrando sulla mia carriera di scrittore, e adoro scrivere nel verde della località Toscana nella quale risiedo attualmente.
Dal punto di vista letterario, quali sono i vostri progetti per il futuro?
Direi che voglio concentrarmi sulla mia carriera, il mio lavoro. In altre parole, ciò che amo fare. Se mi chiedessero come vedrei la mia vita da qui nei prossimi vent’anni, direi con certezza che la scrittura di romanzi è una delle cose a cui non potrei fare a meno. E prevedo di pubblicare almeno un manoscritto ogni anno o due, per i prossimi vent’anni.
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