
Edito da Porto Seguro Editore nel 2020 • Pagine: 186 • Compra su Amazon
Un uomo senza nome, ex professore di filosofia, dopo la perdita del figlio si rifugia in Estonia per sfuggire al dolore e per diventare un cacciatore di cervi. La vita locale si presenta subito aspra, eppure accogliente. Dopo aver trovato lavoro in un poligono di tiro, inizia a frequentare un corso per la licenza da cacciatore. Proprio lì, la sua vita viene sconvolta dall'incontro con Julia, una donna bellissima e complicata che, a causa del suo passato oscuro, lo porta a intrecciare un pericoloso rapporto con uno spietato ex militare russo di nome Andreji. "Del sangue e della carne" racconta la storia di un dolore lancinante e del suo superamento, calandoci nella natura selvaggia e sublime.
Un thriller che intreccia un'avventura alla Indiana Jones con la filosofia degli antichi.

CAP. 1 (estratto)
La mia redenzione si è compiuta in un pomeriggio di settembre quando l’estate inizia a declinare il suo bacio feroce di caldo e passione, e l’autunno avvolge il sole pomeridiano in un abbraccio ventoso, rimboccandogli le coperte con foglie secche e dorate.
Il mio piede avanzava nel sottobosco come un artiglio affilato e i miei sensi era acuiti come quelli di un cane da tartufo, mentre il sole, quasi all’orizzonte, si richiudeva in spiragli di luce tra i rami di conifere e rampicanti soffocanti. Il fucile era ancora caldo nelle mie mani per i colpi sparati a vuoto qualche secondo prima, affondati nella boscaglia fitta e scura in cui avevo intravisto la mia preda. Avevo portato l’occhio al mirino, e scrutavo con voracità ogni movimento dell’oggetto del mio desiderio, mentre il dito destro al grilletto fremeva come un cane affamato. Il respiro aveva preso regolarità, ma il cuore palpitava come un cilindro a motore. Controllare il respiro e il cuore non sempre sono atti dello stesso pensiero e in momenti come quelli erano compiti complessi da gestire contemporaneamente.
Il mio piede destro era arretrato di qualche spanna sulla sterpaglia secca. Ero come un arciere medievale che si prepara a scoccare la freccia. L’atto, anche se con armi diverse, non è differente. In entrambi i gesti il corpo e l’arma devono essere un meccanismo sincronico infallibile. Il sangue pompa ossigeno al cervello per permettere ai neuroni di portare al massimo la concentrazione necessaria per prendere la mira e colpire senza errore, mentre le ghiandole sudoripare intervengono lubrificando e scaldando i muscoli, tesi come la corda dell’arco.
Ogni minimo gesto involontario o brusco può interrompere la magia che avvolge quegli istanti, brevi ma eterni.
Siete tu e la preda, occhi negli occhi. Il tuo e il suo destino si decidono in frazioni di secondo, come la ricombinazione cellulare nell’ovulo materno tra i due cromosomi genitoriali, i quali non possono fallire. La vostra esistenza dipende dalla tua precisione e dalla sua preparazione a immolarsi per te.
Il sacrificio implica l’atto supremo della vita.
L’amore è quello che ci rende più degni di vivere e senza dubbio ci riscatta da ogni colpa.
Il mirino era pieno della sua forma, ed io sparai armonizzando il respiro con il colpo di proiettile che vibrò nell’aria, rinculando il colpo sulla mia spalla e spazzando via ogni granello di polvere che sostava nell’aria tra me e la preda. Un colpo secco raggelò l’ambiente circostante provocando un silenzio infinito, abominevole, ma inebriante. Eravamo solo io e lui.
CAP. 5 (estratto)
La solitudine non è sempre negativa e molte volte ti riempie, invece di svuotarti. La paura della solitudine è la paura di sé, dell’Io profondo, della propria ombra. La compagnia annulla l’individuo e riempie il vuoto con caos o rumore. La solitudine si può scegliere o essere imposta. É’ un numero primo indivisibile da se stesso.
La solitudine del cuore non è speculare a quella del cervello razionale. Un dolore ci riempie, ma ci svuota allo stesso momento e diveniamo soli.
Il dolore è unico, singolo, ce ne sono miliardi di tipi e nessuno è paragonabile ad un altro, anche se di uguale intensità e natura. La morte di un figlio, o una malattia. Ogni dolore è personale. La gioia può essere condivisa, ma il dolore del cuore, dell’anima, quell’urlo che sale da dentro, dal profondo lo sentiamo solo noi, è la cosa più intima che abbiamo, nessuno ce lo può negare e noi possiamo decidere di affondarci completamente o affrontarlo. Il dolore ha il diritto di essere combattuto con tutti noi stessi, senza tregua. Soccombere a questo vuol dire dargli ragione. “Quando guardiamo nell’abisso, l’abisso guarda noi1” diceva Nietzsche. Il mostro che guardiamo siamo noi nella parte più oscura, in quel lato che non sapevamo di avere o che fingevamo di non vedere. Ecco che arriva la solitudine, quella lenitiva, quella sacra, quella universale che include gioia e dolore.
Il bosco a pochi chilometri dal piccolo paese dove mi ero stabilito era un ottimo luogo per isolarsi. In paese avevo fatto poche amicizie, ma anche quelle poche, alle volte, mi opprimevano il petto e la fuga tra abeti rossi mi aiutava a riprendere aria. Frequentavo solo il corso di abilitazione e fuggivo appena potevo, ma scappavo soprattutto da me. Julia mi guardava sempre senza alcuna emozione. Voleva capire cosa si nascondesse in quell’uomo che l’aveva rifiutata una notte gelida di aprile, ma non chiedeva, si limitava solo a guardarmi.
Il bosco era la mia compagna. Portavo sempre il fucile che avevo comprato, ma solo per difendermi da alci o cinghiali. Per gli orsi era ancora tempo di letargo, potevano però esserci altri animali meno letali, ma ugualmente pericolosi per un povero ex professore di filosofia come me. Alle volte incontravo cacciatori che mi passavano accanto ignorandomi completamente. Forse per loro ero uno straniero poco affidabile. Stavo da solo e non parlavo con nessuno. Non valeva la pena neanche guardarmi o evitarmi, meglio ignorarmi. E a me andava bene così.
Potevo stare ore a fissare lo scorrere delle acque del fiume che fluiva rapido tra gli alberi e le curve naturali della boscaglia, toccando o solo sfiorendo le radici degli alberi che emergevano dal terreno secco e duro. Mi accendevo un fuoco e leggevo, o stavo in silenzio. Quei momenti di impareggiabile infinitezza mi riconciliavano con me stesso e potevo di nuovo immergermi nel mondo.
1 Citazione da “Al di là del bene e del male”, del filosofo tedesco Friederich Nietzsche, 1886.

Come è nata l’idea di questo libro?
Come dice Massimo Recalcati, ogni libro nasce da una necessità. Questo libro è nato dalla necessità di elaborare i miei dolori personali, veicolandoli in una storia di fiction per estrarli e mostrarli. La ferita va medicata e la scrittura è sempre stata la mia cura personale e intima. Con questo libro ho voluto curare me stesso attraverso la fantasia e la filosofia.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Posso affermare che quando inizio una storia non so mai come si svolgerà nel suo insieme, conosco solo i punti chiave. Non c’è stata particolare difficoltà perché i personaggi mi sono sempre stati a fianco, suggerendomi svolte o linee di narrazione. E’ vero, posso affermarlo, a volte i libri chiedono di essere scritti. A cavallo della primavera di 4 anni fa il libro è stato scritto.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei autori di riferimento sono quelli che sento più affini alla mia anima di scrittore e di persona. Con Edgar Allan Poe condivido il lato oscuro della psiche e una certa malinconia, con Stephen King il gusto per il thriller metafisico, con Asimov la fascinazione per la fantascienza e il mondo a venire, con Philip Dick una certa angoscia per la distopia del mondo.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono faentino di nascita, ma milanese d’adozione da più di due anni. Ad ora Faenza, quindi la Romagna, è stata la mia fonte di ispirazione principale. La City sta lavorando sullo scrittore che diventerò.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Quest’anno ho pubblicato, con un altro editore, GDS, un secondo romanzo, “La passione di Fatima”, e quindi al momento i miei progetti sono rivolti alla promozione di questi due sforzi letterari. Continuo a scrivere incessantemente, smarcandomi tra impegni di diversa natura. I miei progetti sono di affermarmi come scrittore, qualsiasi cosa voglia dire! Sto scoprendo un certo orientamento letterario che è necessario per chiunque voglia diventare scrittore con la S maiuscola. Lo scrittore non è solo colui che scrive e pubblica, è soprattutto una persona che conosce abbastanza se stessa per poterla trasferire nei propri scritti. Lo scrittore vero è appassionato. Sto cercando di diventare questo.
Un romanzo catartico… Penetra in quell’abisso profondo e silente, che non pensiamo d’avere ma come un cilicio ci ferisce,.. Poi come un fiore, risale alla luce per aprirsi. Una buona capacità poetica, psicologica e descrittiva per guarire le ferite…