Edito da Youcanprint nel 2019 • Pagine: 185 • Compra su Amazon
Chi si preoccupa del destino delle stelle cadenti? Se lo chiede Cassiopea, la sera di San Lorenzo, mentre osserva il cielo stellato. Nella sua vita ne sono sfrecciate, di stelle cadenti, che l'hanno illuminata per un istante e poi sono svanite. Come il padre, che non ha mai conosciuto.
Non credevo che una ragazza potesse essere così felice con me. Milo si sorprende di tanta fortuna. E infatti non dura molto. Precario nella vita, soprattutto negli amori, si innamora almeno una volta al giorno. Anche di quella ragazza, che sembra un extraterrestre che guarda la sua navicella spaziale volare via.
Cassie e Milo, due astri la cui orbita si congiunge per un breve tratto, che torna a dividersi per poi ancora unirsi, in un viavai di attese, di delusioni ma anche di forti emozioni.
Quale sarà il loro destino? Vagare da soli nell'immenso spazio della loro esistenza, oppure riavvicinarsi definitivamente per costruire insieme il loro futuro?
Milo & Cassie
Fermo tra le rotaie di un binario morto. La bruma sale ancora dalla terra e dalle macchie di neve.
Il silenzio, senza lo scricchiolio della ghiaia sotto i piedi, ha qualcosa di attraente. Certe notti, poi, è colmo di pensieri ansiosi. Mi sveglio e non ho più sonno e prego che venga presto l’alba.
Il lembo di un abito penzola impigliato ai rami di un arbusto spontaneo. Una sciarpa.
Grigia.
Potrei proseguire, ma la sua presenza mi sembra troppo incongrua, per non significare qualcosa.
Sento un sussulto.
Guardo all’interno.
D’istinto faccio un balzo indietro. C’è una persona sul vagone! Poi capisco che non sono io quello in pericolo. Lo è lei. O almeno lo è stata.
Apre gli occhi.
E rivedo quelle iridi verde smeraldo e imploranti.
Attorno un assurdo trucco di lividi scuri, ha trasformato il suo volto in una maschera gotica.
Mi guarda. Mi vede?
Sono ancora dentro all’incubo?
E da quanto tempo mi sta guardando?
Stringo le braccia attorno alle spalle. È quasi un sollievo il dolore, capisco che sono sveglia. Subito dopo mi invade un senso di nausea. Ritraggo le gambe, a proteggere la mia intimità.
Altro dolore.
E frustrazione.
Per quanto tempo sarà stato lì, a passare con il suo sguardo morboso tutto il mio corpo? Sono talmente indifesa, da sentirmi violata solo dai suoi occhi. La sensazione di qualcosa che penetra, come una spina, mi rende insopportabile la sua vista.
–Cosa ti hanno fatto? – chiedo, intanto mi sfugge la borsa, che cade.
Ha lo sguardo sbarrato, sembra dirmi che sono un cretino a fare una domanda del genere. Oppure prova terrore anche solo delle mie parole.
Ha gli abiti strappati, inzaccherati di fango, ormai diventati una crosta. Sotto la sporcizia accumulata, i capelli sono biondi.
Allungo una mano, ma vuole essere un gesto di difesa, dall’orrore che ha negli occhi.
–Stai indietro!
Lui allunga la mano, ma al mio urlo la ritrae.
–Vattene!
Agita la mano in una richiesta di scuse. Indietreggia.
–No! Non andartene! – È assurdo, adesso ho paura di restare sola.
–Non voglio toccarti. Voglio aiutarti.
Deve aver patito un gran freddo. Ora il sole che gira la raggiunge, ne illumina i tratti. È giovane.
Un’altra cosa che mi rivela la luce del giorno è che non mi è sconosciuta. Certo è ridotta male. Una guancia livida, un rivolo di sangue rappreso a un angolo della bocca, ha lo stesso colore del cappotto che indossa. La berretta calcata in modo innaturale in testa. Ma è lei,l’extraterrestredella fermata.
Non tutti i maschi sono cattivi. Fino a ieri avrei detto non tutti i maschi sono buoni. È stupefacente quanto contino le esperienze.
–Non. Farmi. Male.
Mi rendo conto solo adesso che ha più paura lui, di me. Non è un buon motivo per non stare all’erta. La paura fa fare cose cattive.
Provo a muovermi. Appoggio un piede a terra, poi l’altro. Alzarmi mi provoca una vertigine. Afferro la maniglia. Rimane l’altro braccio a difendere il mio corpo. Qualsiasi argine è troppo basso durante uno tsunami. Ma è l’unica protezione che mi rimane.
–Prendi la mia mano, – mi incoraggia. Si inchina goffamente, in un gesto di sottomissione.
–Ce la faccio da sola.
Guarda dove metti i piedi, Cassiopea. Faccio un passo.
E il cielo prende il posto della terra.
–Attenta!
La afferro appena in tempo. La trattengo per un lembo del paltò, adagiandola piano. Anche così, come morta, non scioglie l’abbraccio con se stessa.
Faccio un cuscino con la sua sciarpa e le appoggio la testa sulle mie gambe.Le faccio aria soffiando piano sul viso. Afferro il polso destro e sento il battito.
Sbatte le palpebre.
–Hai bisogno di un dottore.
Scuote la testa, ma non credo capisca bene quello che le sto dicendo. Agito la mano davanti ai suoi occhi.
Lentamente si riprende. Le scosto una ciocca di capelli dal volto.
–Riesci a rimetterti in piedi?
Fa cenno di sì con la testa. La aiuto ad alzarsi e sedere sul bordo del vagone. Si gratta il sangue dalla bocca.
–Tieni, pulisciti.
Le porgo un fazzoletto e lei me lo strappa di mano. Rimango sorpreso. Sto cercando di aiutarti, cazzo!
L’attimo dopo mi guarda contrita. Sta tremando, non riesce a pulirsi da sola.
–Posso farlo io, – propongo, controllando la rabbia nella voce.
Un altro cenno affermativo. – Ma non farmi male… Ti prego.
Intreccia le dita delle mani appoggiate in grembo. Fa una smorfia, mentre con delicatezza passo il fazzoletto sulle labbra e pulisco via il sangue. Le sfioro la guancia e lei geme.
–Scusa.
Una voce rompe la bolla. Non siamo soli, io e lei. – Dobbiamo chiamare l’ambulanza?
Una coppia di studenti osserva, stretti l’uno all’altra.
–Sì, per favore.
Altre persone si aggiungono, chiedono informazioni alla coppia. Si offrono di chiamare.
Lei scuote la testa e gli occhi le si riempiono di lacrime.
–Voglio solo aiutarti! – ribadisco con forza. – Non puoi andare in giro conciata così.
–Non farmi male…
Lo prometto di nuovo e alla fine sembra credere alle mie parole.
Cassiopea!
Mamma, non…
Cassiopea!
Mamma… non devi preoccuparti… so badare a me stessa.
Cassiopea, guardati! Non dovevamo lasciarti andare, lo sapevo…
Mamma… no, ti prego… ti prometto…
Non crederò più alle tue promesse!
–Perdonami… Non lasciarmi sola anche tu.
Come è nata l’idea di questo libro?
Volevo raccontare una storia di provvidenza e incontri inaspettati. Una storia di caduta e di riscatto, alla fine della quale vince la vita. L’ispirazione mi è venuta dal libro di Diego De Silva, Mancarsi, dove i protagonisti sono fatti l’uno per l’altra, ma pur frequentando lo stesso bar, non si incontrano mai. È nata anche dal desiderio di raccontare esperienze che ho vissuto in prima persona, prima fra tutte quella del restare senza un lavoro. E anche le mie disavventure amorose.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
L’ho scritto a più riprese. Inizialmente era una sceneggiatura, che esiste tutt’ora, anzi, il mio sogno è quello di vedere un mio scritto approdare su un grande schermo. In seguito è stato trasformato in un romanzo, nel quale sopravvive per certi versi la struttura della sceneggiatura. Quindi non ho vissuto vere e proprie difficoltà nello scriverlo, se non il tempo e la fatica che ci sono voluti per trasformarlo da una forma all’altra.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sono rimasto affascinato dalla vita e dall’arte di Raimond Carver. L’editor del romanzo l’ha descritto come minimalista, credo che questo sia il lascito delle letture di Carver. Un altro autore di cui ho letto tutti i libri è Martin Cruz Smith, autore di Gorkij Park e molti altri. In età giovanile avevo tentato di scrivere dei thriller, seguendo le sue intuizioni. Talvolta utilizzando gli stessi nomi dei suoi personaggi. Questi testi ci sono ancora, tutti scritti a mano su quadernoni a righe. Chissà, potrebbero essere ispirazione per i prossimi romanzi.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo da sempre in un paese alla periferia di Brescia. Ho comunque viaggiato molto, mettendo piede in tutti i continenti. Queste esperienze sono state molto importanti per plasmare il mio carattere. E di ispirazione per gli argomenti che vorrei trattare nei miei libri.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
La mia caratteristica è quella di scrivere più cose contemporaneamente, per poi sceglierne una e portarla a compimento. Per esempio ho terminato di scrivere e ri-scrivere un romanzo ambientato in Africa, che parla di come questo continente che amo molto, per averlo visitato in più di un’occasione, sia derubato e sfruttato per la ricchezza di pochi. Un altro tema che mi interessa particolarmente e di cui sto scrivendo è quello degli Hikikomori, giovani e meno giovani che si rinchiudono in casa per mesi o anni, come rifiuto delle regole esasperate di competitività, successo e realizzazione che la società odierna impone alle persone. E poi altre storie sparse. Qualcosa prima o poi ne verrà fuori.
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