
Edito da Primiceri Editore nel 2020 • Pagine: 212 • Compra su Amazon
Attraverso un’accurata ricostruzione rassegnistica il volume illustra le dimensioni caratterizzanti la figura del detenuto autore di reati sessuali e le intersezioni in ottica trattamentale con il campo di applicazione della giustizia riparativa, stimolando l’approfondimento della materia mediante numerosi riferimenti bibliografici, suggerimenti di letture complementari e annotazioni esperienziali. L’opera si rivela un aggiornato strumento di ausilio per tutte le figure professionali che, a vario titolo, intervengono nel processo di assistenza, osservazione, trattamento, rieducazione, custodia, sorveglianza, supervisione e monitoraggio dei soggetti resisi responsabili di reati sessuali.

CAPITOLO I
LA VIOLENZA SESSUALE: PERCORSO NORMATIVO E TRATTAMENTO PENITENZIARIO
Sommario — 1. Introduzione — 2. Il quadro giuridico-penale — 3. La cornice processuale — 4. Il “codice rosso” — 5. La fase esecutiva — 6. Il trattamento rieducativo degli autori di reati sessuali — 7. Le strategie di collocazione — 8. Il concetto di “ibernazione penitenziaria”
1. Introduzione
È possibile sostenere che la sessualità sia una dimensione ontologica dell’uomo, perché sostanzialmente costitutiva dell’identità dell’essere umano. L’aspetto caratterizzante di questa dimensione ontologica è la dualità. Nella sessualità, infatti, convergono due dimensioni: quella positiva del dono di sé all’altro e quella negativa del dominio dell’io sull’altro (D’Agostino, 2014).
Da un punto di vista antropologico in questa dualità possono manifestarsi posizioni di supremazia: “il prevalere della polarità positiva garantisce la salvezza e la piena realizzazione della soggettività, mentre il prevalere di quella negativa minaccia la soggettività e l’espone al rischio estremo della destrutturazione e della distruzione” (D’Agostino, 2014, IX).
Questo assunto ontologico inquadra la violenza sessuale come un evento che occorre in congiunzione all’attivazione di meccanismi di sopraffazione indici di una polarità negativa che mira a destrutturare, distruggere e spogliare della propria soggettività l’essere umano.
La violazione della sessualità costituisce una violazione dei confini fisici, psicologici e morali della persona. Sancisce il crollo del principio kantiano secondo cui l’uomo esiste come fine in sé stesso[1]. Implica un’offesa alla dignità e alla libertà umane.
Ben si comprende, dunque, perché la violenza sessuale sia sempre e quasi dovunque fortemente censurata (Delogu & Giannini, 1982)[2], perché i reati di natura sessuale stimolino reazioni punitive contro i perpetratori più drastiche rispetto ad altri tipi di reati violenti (Zara, 2018).
Si stima[3] che siano 8 milioni 816mila (43,6%) le donne fra i 14 e i 65 anni che nel corso della vita hanno subito qualche forma di molestia sessuale e che 3 milioni 754mila uomini le abbiano subite nel corso della loro vita (18,8%).
Allargando lo sguardo sul panorama europeo[4]: sono circa 215mila i reati a sfondo sessuale registrati nell’Unione europea nel 2015 dalla polizia. Un terzo di questi (circa 80mila) sono stupri.
Come nel resto del mondo occidentale, anche in Italia, una condotta sessuale violenta, a danno di minori o adulti dissenzienti, è un delitto punito dalla legge che comporta, accertata la responsabilità dell’agente, sia sul piano oggettivo sia sul piano soggettivo, l’irrogazione di una pena, stabilita dal legislatore e commisurata dal giudice al fatto concreto.
Quanto appena evidenziato potrebbe sembrare un truismo, invece rappresenta un memento fondamentale: “il criminale sessuale non è sic et sempliciter, un ‘pervertito’, un malato o un deviato dall’imputabilità necessariamente esclusa” (Surace, 2009, 126).
2. Il quadro giuridico-penale
L’entrata in vigore della legge 15 febbraio 1996, n. 66[5], “Norme contro la violenza sessuale”, di riforma dei reati in materia sessuale, ha ridisegnato l’intero assetto normativo vigente oramai da oltre mezzo secolo, modificando “l’anacronistica collocazione sistematica” del delitto di violenza sessuale (Santise & Zunica, 2017, 596), mediante la trasposizione[6] delle norme che puniscono la violenza sessuale dai “Delitti contro la moralità pubblica e il buon costume” ai “Delitti contro la persona”.
L’unificazione di “atti di libidine violenta” e “violenza carnale” nell’unica fattispecie criminosa di “violenza sessuale”[7]rappresenta, senza dubbio, l’aspetto più innovativo, non solo sotto il profilo giuridico (normativo e giurisprudenziale), ma anche sotto il profilo socio-culturale.
Tale mutamento legislativo, infatti, scaturisce da un mutamento radicale della concezione tradizionale della sessualità che, a partire dalla seconda metà del Novecento, si disancora dalla logica del finalismo procreativo, valorizzando in misura crescente gli aspetti psicologici ed emotivi dell’atto sessuale, a scapito di quelli fisici (Nepi, 2017, 81).
Il reato di violenza sessuale, in quest’ottica, diviene perseguibile allo stesso titolo sia quando si concretizza in stupri in senso proprio, cioè atti di penetrazione[8] sessuale non consensuali, sia quando si concretizza in molestie sessuali prive di penetrazione, perché anche queste ultime sono classificate come reato contro la persona e la libertà sessuale.
Per comprendere meglio la portata della riforma è utile avere presente i due intenti che hanno guidato il legislatore:
1) evitare che la parte offesa, durante il processo, sia esposta al rischio di esperire una seconda vittimizzazione;
2) riflettere la percezione sociale circa la gravità dei reati che ledono l’integrità psicofisica (Giulini & Xella, 2011, 3) e la libertà della persona in relazione all’esercizio della sessualità (Martucci, 2008).
L’eliminazione della distinzione tra “atti di libidine violenta” e “violenza carnale”, infatti, è volta a tutelare la vittima durante il procedimento penale, incidendo “su certi malvezzi dibattimentali in cui per decidere se si fosse in presenza dell’una o dell’altra ipotesi erano poste domande insistite, particolareggiate, importune e mortificanti” (Merzagora Betsos, 2006, 315).
Mentre la legge n. 66/1996 ha condotto all’elaborazione di una nuova definizione di violenza sessuale, dai contorni più ampi, la legge 3 agosto 1998, n. 269, “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”, si è focalizzata sulla repressione di condotte sessuali ai danni dei minori, sanzionando severamente qualsiasi attività messa in atto da chi abusa sessualmente di un minore, definito comunemente “pedofilo” (Giulini & Xella, 2011, 3).
Sul piano sostanziale, la legge[9] ha introdotto una pluralità di figure di reato atte a perseguire specifiche condotte di sfruttamento a sfondo sessuale di minori, quali la prostituzione, l’impiego di bambini praticato al fine di realizzare esibizioni o di produrre materiale pornografico, la detenzione di materiale pedopornografico e l’organizzazione di viaggi turistici a scopo di sfruttamento sessuale di minori. Sul piano processuale, sono state inserite una serie di disposizioni volte a garantire una risposta repressiva più efficace, con la possibilità, in taluni casi, di perseguire fatti commessi all’estero dal cittadino italiano (Helfer, 2007).
La legge n. 269/1998, anche a seguito della riforma apportata dalla legge n. 38/2006[10], è legata, infatti, alla necessità di intervenire con maggiore rigore “nei confronti di fatti commessi a danno di persone che, proprio a causa di tale giovanissima età, oltre a trovarsi in una condizione di minorata difesa, possono subire traumi di incommensurabile gravità e durata nello sviluppo del successivo comportamento sessuale” (Melchionda, 2002, 667).
In generale, è possibile asserire che l’evoluzione normativa in materia di reati sessuali, ha seguito due traiettorie: una orientata alla tutela della persona offesa, soprattutto minorenne; l’altra orientata all’autore di reato[11], mediante l’adozione di misure di controllo e cautelari (prima del processo) e punitive e deterrenti (dopo la condanna) (Zara, 2018, 26).
3. La cornice processuale
La disciplina del procedimento penale per i reati di violenza sessuale consta di un insieme di previsioni normative ispirate al sistema del doppio binario, un regime derogatorio, sotto alcuni profili, a quello ordinario, dettato dalla legge in ragione del reato, della vittima o, più raramente, dell’imputato relativamente al quale si procede (Lavarini et al., 2018, 35).
Innanzitutto, è opportuno precisare come non tutti i delitti di violenza o abuso sessuale siano procedibili d’ufficio.[12]
A norma dell’art. 609-septies comma 1 c.p., infatti, la violenza sessuale (artt. 609-bis e 609-ter c.p.) e gli atti sessuali con soggetti minori d’età (art. 609-quater c.p.) sono perseguibili a querela della persona offesa, divenendo procedibili d’ufficio, solo quando ricorrono le condizioni di cui all’art. 609-septies comma 4 c.p., a partire dal caso in cui il reato di violenza sessuale sia stato commesso in danno di un minore di diciotto anni (Lavarini et al., 2018, 36).[13]
La procedibilità a querela per i delitti di cui si discute è tradizionalmente giustificata con l’intento di tutelare la vittima dal cosiddetto strepitus fori, quale fattore di vittimizzazione secondaria (Pecorella, 2016).
Tuttavia, sono riscontrabili almeno due antinomie relative alla procedibilità a querela:
1) per i delitti ex artt. 609-bis e 609-quater c.p. il sistema esige la procedibilità a querela, ma stabilisce, al contempo, che quest’ultima, una volta presentata, sia irrevocabile (art. 609-septies comma 3 c.p.);
2) la procedibilità a querela dei delitti di violenza sessuale è in conflitto con l’art. 55 della Convenzione di Istanbul “sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”.[14]
Per evitare il rischio di vittimizzazione secondaria, nei procedimenti per reati di natura sessuale, sono stati introdotti alcuni meccanismi[15] di tutela della vittima quale “fonte di prova”, in osservanza, comunque, delle esigenze di attendibilità dell’accertamento e di salvaguardia dei diritti difensivi dell’imputato (Lavarini et al., 2018, 40).
In conformità alle indicazioni formulate dalla normativa internazionale e sovranazionale di tutela della vittima vulnerabile il legislatore ha introdotto le seguenti disposizioni:
1) le modalità protette di esame in contraddittorio. Il giudice può, su richiesta di parte o d’ufficio, disporre alternativamente o cumulativamente:
– lo svolgimento dell’esame con specifiche modalità di tempo e in luoghi informali diversi dagli uffici giudiziari (artt. 498 comma 4-bis, 398 comma 5-bis c.p.p.);
– l’adozione di peculiari modalità di esame, quali l’attribuzione all’esperto “ausiliario”, anziché al giudice, del compito di formulare le domande, e il ricorso a strumenti di comunicazione come lo scritto o il disegno (artt. 498 comma 4-bis, 398 comma 5-bis c.p.p);
– la cosiddetta “audizione schermata” (Cesari, 2015) tramite un vetro a specchio e un impianto citofonico che consentano alle parti processuali di vedere il teste, evitando, però, a costui il contatto diretto con l’imputato (art. 498 comma 4-ter c.p.p.);
– la documentazione integrale delle dichiarazioni attraverso mezzi di riproduzione fonografica e audiovisiva (artt. 398 comma 5-bis, 134 comma 4 c.p.p.).
2) l’incidente probatorio “speciale”. È un procedimento incidentale, instaurabile a richiesta di parte nella fase investigativa,[16]funzionale all’acquisizione della prova davanti al giudice per le indagini preliminari, ma secondo le stesse modalità di contraddittorio previste per il dibattimento, cosa che ne consente l’utilizzo per la decisione in esito a tale fase processuale. Nei procedimenti per reati sessuali la testimonianza del minore (quand’anche non sia persona offesa) o della vittima maggiorenne, è sempre acquisibile attraverso il meccanismo incidentale. Inoltre, i citati dichiaranti, qualora siano già stati sentiti in incidente probatorio, non dovranno essere nuovamente esaminati in dibattimento, evitando, così, lo stress psicologico connesso all’esame dibattimentale;
3) l’audizione investigativa. Agli effetti dell’atto di indagine l’Autorità procedente o il difensore deve avvalersi dell’ausilio di un esperto. L’organo investigativo deve garantire che il dichiarante vulnerabile non abbia contatti con il soggetto sottoposto a indagini, e deve evitare la duplicazione delle audizioni, a meno che non si renda indispensabile ai fini investigativi.
Circa le peculiarità in materia cautelare, l’art. 275 comma 3 c.p.p., sancisce il principio della extrema ratio della custodia cautelare, stabilendo che quest’ultima possa essere disposta soltanto quando tutte le altre misure coercitive e interdittive, anche se disposte cumulativamente, non risultino adeguate (Spagnolo, 2015).
Relativamente ai delitti di cui si sta trattando, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, è applicata la custodia cautelare in carcere.[17]
[1] L’enunciazione di questo principio è contenuta nella Fondazione della metafisica dei costumi: “L’uomo, e in generale ogni essere razionale, esiste come fine in sé stesso, non semplicemente come mezzo utilizzabile a piacimento da questa o quella volontà, bensì deve essere sempre considerato in tutte le sue azioni indirizzate verso sé stesso come verso altri esseri razionali, insieme come fine” (Kant, IV 428).
[2] La ricerca italiana di Delogu e Giannini (1982) ha ricalcato fedelmente quella di Sellin e Wolfgang analizzando però le valutazioni di 1.600 soggetti, anche donne: studenti universitari, studenti di liceo, militari di leva, ufficiali e sottufficiali di Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, agenti di custodia, magistrati, religiosi, parlamentari, detenuti e cittadini “qualsiasi”. Il comportamento giudicato più grave in assoluto è stato quello della violenza sessuale con omicidio (item 3. “Il soggetto violenta una donna. Le spezza il collo ed essa muore”), reputato più grave degli omicidi in diverso contesto. Sulle ricerche in materia di percezione della devianza sessuale si veda: Merzagora Betsos, I. (2006). Criminologia della violenza e dell’omicidio dei reati sessuali dei fenomeni di dipendenza. Padova: Cedam.
[3] Report “Le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro”. L’indagine campionaria sulla “Sicurezza dei cittadini”, effettuata nel 2015-2016 tramite interviste telefoniche e faccia a faccia su un campione di 50.350 individui di 14 anni e oltre, rileva numerose informazioni per analizzare il fenomeno delle molestie a sfondo sessuale subite da uomini e da donne e dei ricatti sessuali sul lavoro subiti dalle donne nel corso della propria vita e nei tre anni precedenti l’intervista.
[4] Secondo i dati di Eurostat, le vittime di stupro sono donne in 9 casi su 10, mentre quelle di aggressioni a sfondo sessuale sono donne in 8 casi su 10. Quasi tutte le persone condannate per questa tipologia di crimine sono di sesso maschile (la percentuale è del 99%). A registrare il maggior numero di violenze sessuali, infatti, è la Svezia, con 178 crimini di questo tipo ogni 100mila abitanti. A seguire, la Scozia (163), l’Irlanda del Nord (156), l’Inghilterra e il Galles (113) e il Belgio (91).
[5] Pubblicata in Gazz. Uff. 20 febbraio 1996, n. 42. Sui primi commenti alla riforma si vedano: Giarda, A. (1996). La repressione della violenza sessuale tra legge e costume. Corriere giur., 8: 861 ss.; Romano, B. (1996). Il rinnovato volto delle norme contro la violenza sessuale: una timida riforma dopo una lunga attesa. Dir. famiglia, 1647; Cadoppi, A. (1996). Riflessioni critiche intorno alla nuova legge sulla violenza sessuale (l. n.66/1996). Critica del diritto, p. 127. Sull’iter parlamentare della riforma si veda: Virgilio, M. (1997). Violenza sessuale e norma. Legislazioni penali a confronto. Quad. crit. dir., 15.
[6] I c.d. “reati sessuali” sono stati trasposti dal Capo I del Titolo IX, intitolato ai Delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, al Titolo XII, dedicato ai Delitti contro la persona (e più in particolare nella Sezione II del Capo II, intitolata ai Delitti contro la libertà personale).
[7] 609 bis. Violenza sessuale – Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
[8] La normativa italiana abolisce il riferimento alla penetrazione come elemento costitutivo del reato.
[9] Per un’analisi della situazione legislativa in Italia si veda: Helfer, M. (2007). Sulla repressione della prostituzione e pornografia minorile. Una ricerca comparatistica. Padova: CEDAM, 22.
[10] Intitolata “Disposizioni in materia di lotta contro sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet”, votata all’unanimità dal Parlamento, è intervenuta su tutte le norme introdotte dalla legge 269/1998, modificando anche alcune disposizioni in materia di violenza sessuale introdotte dalla legge n. 66/1996. Costituisce l’atto di recepimento italiano della Decisione quadro 2004/68/GAI, la quale riteneva la legge 269/1998 insufficiente ai fini di una tutela efficace dei minori da condotte di sfruttamento. Cfr. Lorusso, S. & Manna, A. (2007), L’abuso sessuale sui minori: prassi giudiziarie e novità normative introdotte dalla legge 38/2006 sulla pedopornografia. Milano: Giuffrè.
[11] Si evidenziano le seguenti modifiche: 1) in tema di recidiva: l. 5 dicembre 2005, n. 251, “ex Cirielli”; 2) in tema di obbligatorietà della custodia cautelare in carcere per alcuni gravi delitti comprendenti i delitti di violenza sessuale, atti sessuali con minorenni, violenza sessuale di gruppo: d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. in l. 23 aprile 2009, n. 38; 3) in tema di disciplina differenziata per i reati a sfondo sessuale con particolare riguardo alla prevenzione della vittimizzazione, dello sfruttamento sessuale dei minori e della pornografia minorile: l. 1° ottobre 2012, n. 172, “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa svoltasi a Lanzarote – 25 ottobre 2007”.
[12] Reato procedibile d’ufficio: tipologia di reato per il quale non è richiesta la presenza di una condizione di procedibilità, come la querela (art. 336 c.p.p.), l’istanza (art. 341 c.p.p.), la richiesta (art. 342 c.p.p.) o l’autorizzazione a procedere (art. 343 c.p.p.), ai fini dell’inizio della fase delle indagini preliminari.
[13] Sono procedibili d’ufficio: 1) la violenza sessuale, se commessa in danno di un minore di anni 18; 2) entrambe le fattispecie ex artt. 609-bis e 609-quater, se il fatto è commesso dal genitore, da un ascendente, dal tutore, o da un’altra tipologia di “affidatario” convivente; 3) entrambe le fattispecie ex artt. 609-bis e 609-quater, se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle proprie funzioni; 4) entrambe le fattispecie ex artt. 609-bis e 609-quater se il fatto è connesso con altro delitto per cui deve procedersi d’ufficio; 5) il reato di atti sessuali con minorenne, se la persona offesa non ha compiuto dieci anni; 6) la corruzione di minorenne (art. 609-quinquies c.p.); 7) la violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.); 8) l’adescamento di minore (art. 609-undecies c.p.); 9) le fattispecie di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.); 10) tratta di persone (art. 601 c.p.); 11) prostituzione minorile (600-bis c.p.); 12) pedopornografia (artt. da 600-ter a 600-sexies c.p.).
[14] Stipulata nell’ambito del Consiglio d’Europa in data 11 maggio 2011 e ratificata dall’Italia attraverso la l. 27 giugno 2013, n. 77. Tale disposizione impegna le parti contraenti ad accertarsi che indagini e procedimenti per i reati di violenza sessuale “non dipendano interamente da una segnalazione o da una denuncia della vittima”, e fare in modo che il procedimento possa continuare “anche se la vittima dovesse ritirare l’accusa o ritirare la denuncia”.
[15] Rivolti dapprima al solo minore vittima o mero testimone di reati di abuso (in primis sessuale), poi anche alla vittima maggiorenne degli stessi reati, da ultimo a ogni vittima di cui si ravvisi la concreta vulnerabilità (ex art. 90-quater c.p.p.).
[16] O nell’udienza preliminare, a seguito della sentenza costituzionale n. 77 del 1994.
[17] Per le fattispecie previste agli artt. 600-bis comma 1, 600-ter, escluso il comma 4, 600-quinquies, 509-bis, 609-quater, 609-octies c.p., in assenza di attenuanti, si prevede una presunzione relativa di adeguatezza della custodia cautelare.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea di questo libro nasce dall’esperienza maturata in ambito penitenziario in qualità di esperto in Criminologia clinica ex art. 80 Ordinamento Penitenziario e dall’intento di raccogliere e organizzare il sapere psicocriminologico in materia di osservazione e trattamento di autori di reati sessuali in un volume dal taglio rassegnistico e didattico finalizzato ad ampliare il settore specialistico.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Il lavoro di stesura di questo libro è stato lungo e impegnativo, perché si è fondato principalmente sull’analisi della letteratura psicocriminologica internazionale, molto vasta, comportando un faticoso lavoro di selezione e organizzazione di risultanze scientifiche e paradigmi teorici assai complessi sia sotto il profilo tecnico sia sotto il profilo concettuale.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Numerosi. Sul piano squisitamente teoretico, in riferimento alla costruzione dei principali modelli esplicativi del fenomeno della violenza sessuale faccio riferimento a Finkelhor, Marshall e Barbaree, Hall e Hirschman, Malamuth, Ward e Siegert, Middleton, Stinson, Gannon. Circa i modelli trattamentali mi sono ancorata a Andrews e Bonta, Marshall, Ward, Marlatt, Hudson. Imprescindibili i rimandi a Zara e Giulini per quanto concerne il contesto italiano.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nata e cresciuta a Milano. Dopo il conseguimento della laurea in Filosofia Morale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, mi sono trasferita a Lecce in vista dell’ammissione al Dottorato di ricerca in Filosofia, branca etico-antropologica. Oltre a fare la criminologa clinica, svolgo l’attività di mediatrice familiare. Sto per pubblicare un volume sul tema del conflitto intergenerazionale e il servizio di mediazione familiare a sostegno della persona anziana.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Tra i miei progetti futuri l’idea di scrivere un libro su una disciplina nuovissima: la Criminologia filosofica.
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