Edito da Accademia Internazionale di Eufonia nel 2020 • Pagine: 96 •
Daniel Levy comprende appieno il bisogno estremo dell'umanità di scoprire la propria anima.
Il suo gesto commemorativo per Beethoven va al di là del raggiungimento di nuove produzioni. Ha il significato di un riaccendersi della luce del compositore, e in un modo unico.
Chiunque può sentirla quella luce, risplendere attraverso musica e parole.
Ci sono figure nella storia dell’umanità che hanno chiaramente la missione di guidare verso la profondità dell’essere umano, dei suoi valori, sentimenti e ispirazioni. Oggi, in un periodo di grandi cambiamenti, necessitiamo il Servizio di coloro che hanno illuminato il cammino, meritevoli di un tributo oltre il tempo.
Beethoven ci ha mostrato come sublimare la vita.
Occorreva un pianista del livello spirituale di Levy per ridare voce alle sue parole. Levy non solo interpreta il compositore musicalmente, ma ne rivive l’esperienza umana completa, di luce musicale come di saggezza perenne e di passione trasformatrice, attraverso le parole che Beethoven lasciò nei suoi scritti e lettere; attraverso menzioni di dialoghi avvenuti con lui e rievocate nelle memorie di chi lo conobbe.
Nei suoi dialoghi con Beethoven, Levy segue un filo conduttore che fa vibrare e diffondersi l’empatia del Titano - che egli stesso riesce a veicolare e trasmettere.
Ritroviamo così un Eroe dell’umanità che non dovremo mai dimenticare, per trovare noi stessi.
PREFAZIONE
La figura eroica di Beethoven, con la sua espressione trasfigurata, è stata presente e vicina dai giorni della mia infanzia. In primo luogo per quello che ascoltavo nelle prove, lezioni e pratiche di studio di alcune delle sue Sonate per pianoforte, in un’atmosfera che rimase stampata indelebilmente nella mia memoria, curioso di sentire le ripetizioni che una mia cugina faceva coscienziosamente per ottenere chiarezza ed espressione. Sempre in quello stesso periodo dell’infanzia, in una stanza contigua alla sala dove si trovava il pianoforte, il mistero si espanse quando vi scoprii un giradischi (così chiamavano in quel momento un impianto audio). Al lato una cassa enorme e di bella fattura somigliante ad un grande cofanetto di cuoio fine e di colore scuro, che nascondeva, per così dire, le 9 Sinfonie, dirette da Arturo Toscanini, in dischi molto pesanti e densi di 78 giri. Bisognava trattarli con notevole cura e delicatezza perché non si rompessero, ed anche voltarli soavemente per proseguire l’ascolto che s’interrompeva dopo alcuni minuti.
Rimarrà per sempre nel mio ricordo questo ascolto, solitario e ripetitivo, che facevo di simili monumenti, in uno spazio che sembrava come sospeso in un altro piano, diverso da quello quotidiano. Una vera scoperta, travolgente, che aveva pervaso i miei sensi come se si trattasse di una cascata impressionante di musica di una forza tenace. Un eroe accanto ma anche lontano, nello spazio e nel tempo, che somigliava ad Ercole, ma in questo caso con 9 Fatiche, una più grande dell’altra. L’esperienza più importante che questo ascolto mi aveva fornito era che tutto quello che avevo potuto sentire, immaginare e sognare, si svolgeva fortunatamente senza sapere cosa fosse un ‘movimento’, né avevo mai letto biografie o studi e analisi di dissezioni delle opere, come in quelle autopsie di oggetti senza vita, appartenenti all’eroe.
Quei ricordi indelebili, dopo una vita dedicata alla musica, sono ancora di una tale ricchezza per me: quelle Sinfonie avevano fatto vibrare delle corde incipienti dentro di me, senza necessità che mi venisse spiegato nulla, né che alcuno mi formulasse opinioni, pareri o critiche. Era la mia prima esperienza della futilità dei mediatori sapientoni che, invece di farsi da parte per poter insegnare, proiettano la loro energia per apparire come sommi sacerdoti che hanno scoperto tutti i segreti della musica. Ho avuto invece la sorte di trovare mediatori che non tingevano con il proprio colore emettendo in continuazione opinioni o punti di vista, ispirandomi così una libertà che è la caratteristica fondamentale di Beethoven. Non soltanto l’aspirazione verso la libertà ma la vita e l’arte come Libertà.
Con queste premesse di base ho percorso un cammino dove la presenza di Ludwig van Beethoven é stata costantemente con me. E così le Sonate per pianoforte, i Concerti, le Sonate per violino e pianoforte, quelle per violoncello e i Trii riempirono la mia coppa e mi accompagnarono quali amici pregiati. Infiniti momenti indimenticabili con i miei maestri nell’indagine delle profondità delle Sonate n. 1,3, 6 e 7, dei misteriosi movimenti della Sonata Les Adieux con l’Absence e Le Retour, dell’Appassionata, delle ultime op. 109, 110 e 111, comunicandomi ogni sfumatura con devozione e un rispetto unici per il grande genio, inarrivabile, oltre le parole, con umiltà professata da parte di chi trasmetteva.
Costellato il ventesimo secolo da grandi servitori della sua musica, avevo potuto ascoltare dal vivo i grandi cicli delle 32 Sonate e dei 5 Concerti, suonati da Hans Richter Haaser con quella purezza e forza che proiettava in ogni concerto. E molte altre cerimonie (non concerti) con Claudio Arrau che aveva studiato con maestri che discendevano in linea diretta da Beethoven, attraverso Czerny, Liszt e Krause (suo maestro quando aveva 8 anni) che avevano ascoltato ciò che si riteneva dovesse esprimersi sulla tastiera, non tramite delle registrazioni, ma da bocca a udito e da pianoforte all’ascolto. Anche grazie alle registrazioni fonografiche si fecero dopo presenti le grandi versioni, principalmente quelle di Arthur Schnabel, di Wilhelm Backhaus e di Wilhelm Kempff, che anche riflettavano quella via diretta, impulsiva e poetica che a poco a poco svaniva nei tempi della copia dell’originalità di questi musicisti immensi, fino a perdersi gradatamente l’essenza pura del messaggio lasciato da Beethoven.
A 250 anni dalla sua nascita, ogni celebrazione realizzata senza una profonda sincerità minimizza il suo lascito. A nessuno oggi interessa l’ascolto di centinaia di versioni, ripetute in tutto il mondo, di opere che fanno soltanto conoscere gli interpreti, in un mondo musicale che ha perso la rotta e gli obiettivi, abbandonando i significati interiori della creatività. Un mondo musicale che si autoconvince con quel “fare qualcosa per la musica” riproponendo sempre lo stesso col sacro obiettivo del “box office” che sugella il sicuro successo commerciale, sostanzialmente disdegnando la pratica dell’esempio dato dai grandi musicisti in relazione all’essenza profonda dei perché e per cosa le opere maestre furono concepite. Ci occupiamo di molto meno di un decimo della sfera musicale e spirituale e lasciamo il resto al caso, alle circostanze e al criterio individuale, senza riuscire ad offrire un ponte che possa orientare e aiutare a discriminare tra il senso reale e illusorio del fare musica.
Trattandosi di un linguaggio superiore al discorsivo, non ci bastano gli studi documentati né i cataloghi tematici. La necessità impellente è poter catturare l’intenzione di ciò che fu ascoltato nel silenzio e tradotto in note sui pentagrammi. Leopold Stokowski disse chiaramente che l’interprete deve cercare di indagare nell’ispirazione del creatore e renderla udibile nella misura delle possibilità. Questo è l’importante, non la fama, i nomi, le sale piene e i buoni incassi. Grande ingiustizia viene fatta ai musicisti creatori, di cui tutti approfittano, con l’illusione egoista di far brillare i propri nomi e meriti, siano questi organizzatori che presumono di avere le chiavi del regno o interpreti che si prestano a questo gioco come ostaggi senza voce propria.
In sintesi, siamo lontani dal pensiero che i compositori hanno espresso chiaramente, e non esiste quel forte desiderio di dare ascolto a ciò che essi avevano detto o scritto, concedendo alle loro parole una ponderazione più giusta. E sebbene molti affermino che basta avere la loro musica perché lì vi si trova tutto ciò che conta, sarà forse pericoloso o rischioso ascoltare quello che pensavano, che custodivano nel loro cuore a proposito del mondo, dell’arte, della vita, di Dio e della Natura? Forse, si, lo è?
Oggi è necessario più che mai divenire coscienti che un nuovo paradigma sta sorgendo sul ruolo della musica e dei musicisti nel mondo, fuori dall’ “industria della musica” e dai cliché, ormai anacronistiche e vuote abitudini che pochi seguono ancora.
Le notevoli diminuzioni di pubblico che si verificano da anni nelle sale da concerto si devono certamente alla decadenza dei valori, e a una centralizzazione focalizzata totalmente sull’affannosa ricerca di prestigio, strumentale allo sviluppo programmato delle “carriere” e del successo, che poco hanno a che fare con l’essenzialità dei suoni. La forma si spezza allora, e qualcosa di nuovo emerge dalle rovine, qualcosa che appena inizia a germogliare adesso, e che definirà una linea sempre esistita, inascoltata e dimenticata, tanto come necessaria. Molte giovani vite sono state condotte a porti artificiali e ad obiettivi lontani dagli ideali musicali.
Questo e molto di più ci insegna oggi Beethoven. Lui seppe ascoltare il presente, il passato e il futuro dell’umanità. E non è per nulla esagerata la misteriosa affermazione di Schubert quando diceva che molta acqua passerà sotto i ponti del Danubio prima che si riesca a conoscere veramente quello che ci ha lasciato. Così nacque questo Dialogo con Beethoven. Una conversazione ideale dove le sue parole testuali sono state rispettate tassativamente, senza nulla aggiungere né togliere. Pensieri sparsi nelle sue lettere, nelle conversazioni, contenuti nel diario, ciascuno con la sua storia e il suo destinatario. Qui pazientemente compilati per chi legga e sappia, senza interpretazioni critiche, storiografiche o di analisi tecnica, il suo pensare e sentire diretti dal suo cuore e dalla sua mente.
È questo un sentito omaggio, che mi ha trasformato totalmente mentre lo preparavo, perché sono potuto penetrare con ancora maggior empatia ed ammirazione in molte pieghe nascoste del suo pensiero. La parola, che attualmente ha perso tantissimo del suo valore, in questo caso ascende ad un livello vibratorio eccelso, sapendo che proviene da chi ha regalato a ciascuno di noi la sua vita, per farci divenire fortemente coscienti di tutto quello che non possiamo permetterci di perdere per essere veramente umani.
DL.
DL- Maestro, ho sempre sentito ammirazione e meraviglia per una lettera che lei rivolse al principe elettore Maximiliam Friedrich il 14 Ottobre 1783, dove lei dichiara all’età di 11 anni, in una forma così semplice e diretta, quello che la Musa le sussurrò: “Perché non provi a scrivere le armonie della tua anima?”
Questa percezione rivela una stretta relazione con la fonte dell’ispirazione, ed inoltre un segno del dover agire obbedendo a questo insistente suggerimento interiore, e quindi a comporre. Faccio quest’umile commento constatando che nel nostro tempo arido e senza una meta certa, le Muse sono state dimenticate e direi scartate dalla vita umana, a tal punto che oggi rimangono soltanto ricordi di storie antiche. Attualmente, i musicisti e gli artisti in genere non hanno questo punto di riferimento fondamentale. Piuttosto si dedicano a dominare i loro strumenti, tavolozze e penne, senza mai nominare queste presenze di cui lei era cosciente dalla sua infanzia. L’oblio è stato atroce. Nei luoghi di studio, accademie, conservatori, università dibattono sulla sua musica, ma omettono questo soggetto essenziale che è lei stesso a manifestare. Voglio ricordare testualmente questa lettera, e le domando se ha continuato a sentire nella sua vita questa presenza. La lettera dice testualmente: «Sin da quando avevo quattro anni la musica è stata la principale delle mie occupazioni giovanili. Divenuto così presto familiare alla soave musa, che accordava la mia anima alle pure armonie, la conquistai e, come spesso mi sembrò, essa contraccambiò il mio amore. Ora ho già raggiunto l’undicesimo anno di età; e nelle ore di ispirazione sento la musa sussurrarmi: “Perché non provi a scrivere le armonie della tua anima?“ Ma a undici anni non posso immaginarmi di avere la faccia di un compositore! E che cosa ne direbbero gli artisti maturi? La cosa m’intimidiva molto, ma non seppi disobbedire alla volontà della musa e mi misi a scrivere.»
LvB – Trascorro le mie mattine con le Muse e loro anche mi benedicono durante le mie passeggiate. Apollo e le Muse non mi permetteranno di convertirmi in un triste scheletro, perché a loro devo molto e ho il dovere, prima della mia partenza ai Campi Elisi, di lasciare dietro di me tutto quello che lo spirito mi ha ispirato e inviato da completare. Mi parrebbe impossibile lasciare questo mondo prima che io abbia prodotto tutto quello che sono stato chiamato a realizzare. Pertanto, ho prolungato quest’esistenza infelice. I re e i principi possono creare, professori e consiglieri conferire decorazioni e premi. Ma essi non possono creare grandi uomini, spiriti che possano elevarsi al di là della superficialità terrrestre. Questo non possono crearlo.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’autore, Daniel Levy, pianista ed anche autore di rilievo nell’ambito della letteratura musicale e filosofica, nonché educatore e relatore in contesti internazionali di cultura ed educazione, ha avuto l’idea di questo libro da tempo per offrire una visione nuova del grande compositore.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Il libro è stato meditato a lungo e quindi scriverlo è stato un processo immediato, senza ostacoli.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sicuramente altro su Beethoven.
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