
Edito da Pubme nel 2020 • Pagine: 396 • Compra su Amazon
Dopo anni di pensieri, parole, opere e omissioni, Tiziana e il boyfriend Damiano raggiungono l’obiettivo di partire per l’estero, alla ricerca di un luogo dove vivere in condizioni migliori rispetto a quelli che l’Italia offre.
La partenza è carica di aspettative e convinzioni, ma una volta nel paese straniero la vita da immigrati li obbliga a ridimensionarsi poiché la realtà non è facile, soprattutto perché lì si parla inglese!
Il diario di viaggio racconta le esperienze vissute nel 2008 (confessate in-/e consciamente) che mandano in confusione i due avventurieri, i quali faticano a capire se la scelta fatta sia quella giusta.
L’unica cosa certa è che stanno tentando di realizzare un sogno, bello o brutto che sia, e ciò non è da tutti… perché nella vita ci vuole coraggio, oltre a un pizzico di fortuna.
Da questa esperienza si impara molto sulla vita da espatriati, ma soprattutto si ha la conferma di alcuni luoghi comuni, come ad esempio: “Finché non vedi non credi”, ma soprattutto: “Chi fa da sé fa per tre”. Sempre e comunque.
L’obiettivo primario è di dimostrare che l'essere umano ha tutte le facoltà per raggiungere (o almeno, tentare di raggiungere) i propri sogni. L’importante è crederci veramente.
E se quella vocina interiore continua imperterrita a consigliare di fare delle scelte, a volte anche drastiche, che vanno contro ogni corrente di pensiero che ci circonda (il riferimento è rivolto ai parenti e conoscenti), bisogna ascoltare lei, e non loro!
Restano invece esclusi dall’elenco gli amici, perché quelli dovrebbero essere sempre accondiscendenti riguardo a certe decisioni… altrimenti perché mai sono stati inventati?!
L’obiettivo secondario è di mettere le carte in tavola, rendendo pubblico tutto, ma proprio tutto, quello che è successo in quei 220 giorni su suolo inglese, dimostrando che quel tempo non è andato perso! Insomma… anche stavolta IL DOVERE É STATO FATTO.

CAPITOLO 1
VOGLIO UN MONDO ALL’ALTEZZA
DEI SOGNI CHE HO.
• Martedì 22/01/2008
Dopo mesi di pensieri, progetti, disperazioni e paure, eccomi finalmente all’aeroporto di Orio al Serio, a Bergamo. Fortunatamente il volo è in orario perché non reggerei nemmeno dieci minuti di ritardo. Sono piuttosto ansiosa e ho passato la metà del viaggio in macchina che mi ha condotta fino a qui, piangendo. Non sapevo esattamente il motivo di quel comportamento, ma avevo un disperato bisogno di farlo. Forse perché ho salutato il mio gatto (Birba) con la consapevolezza che non lo rivedrò per un lungo periodo, o forse perché sto per realizzare finalmente il mio sogno… ma le riconosco: quelle erano lacrime di tristezza per la distanza che si stava facendo sempre più grande dalla mia casa, dai miei affetti, dalla mia vita che era stata fino a oggi.
Mio padre, alla guida, mi ha domandato il perché di quel pianto.
-Non so cos’altro fare.- Ed era vero. Ormai non potevo fare nient’altro che lasciare sfogare le lacrime come un fiume in piena.
Erano due anni che io e il mio ragazzo, Damiano, ripetevamo di volercene andare. Lontano da quel paesino fra le montagne dove siamo cresciuti, dall’ottusità di alcune persone che ti dicono cose che non vorresti sentire e senza che tu gliele abbia chieste, dai pranzi familiari tutti uguali, durante i quali si facevano identiche battute da anni. Lontano da quelli che si definiscono “amici” ma che in realtà ti chiamano soprattutto quando hanno bisogno. Lontano dai loro problemi, che spesso ci coinvolgevano. Insomma, eravamo stufi della noiosità di quella vita e di quelle vite dove l’obiettivo è avere un qualsiasi lavoro pur di guadagnarsi il minimo sindacale, sposarsi, fare un mutuo, mettere al mondo dei figli, con la frequente conclusione di ottenere un divorzio. Era forse questo il modo per diventare adulti? La mia vena cinica aveva detto no! Noi avremmo rotto le convenzioni e saremmo stati diversi. La routine non si sarebbe impossessata della nostra storia. Anzi, quest’esperienza l’avrebbe rafforzata, perché è proprio nei momenti più bui che si scopre quanto ci si ama.
Immaginavamo come sarebbe stato essere lontani chilometri e chilometri, solo io e lui. In un luogo nuovo e sconosciuto, all’estero. La nostra meta, infatti, sarebbe andata oltreconfine. Allontanandoci da quest’Italia che ci aveva esasperato con le sue truffe, gli sprechi, un governo che sfama un numero esagerato di politici, nessuno dei quali in grado di dirigere coerentemente il Paese e permettendo agli italiani di vivere serenamente.
Io avevo il pallino per l’estero da anni quando, a causa della separazione dei miei genitori, i dodici mesi che avrei dovuto trascorrere come ragazza alla pari negli Stati Uniti, si erano ridotti drasticamente a tre. La voglia di fare un’altra esperienza oltremare era rimasta, radicandosi ogni giorno di più. Questa volta non ci sarebbero stati divorzi che mi avrebbero fatto preparare le valigie in fretta e rientrare per raccogliere i cocci. Avrei pensato soltanto a me stessa. Alcuni amici già allora avevano consigliato di proseguire per la mia strada. Credo, però, di avere un cuore e pertanto, saputo quello che stava accadendo, sfido chiunque a far finta di niente. Anche se alla fine non avevo ottenuto ciò che desideravo, non posso rimpiangere di non aver provato a farli ragionare per rimanere una famiglia unita, ma ormai ogni decisione era stata presa e la vita, come si suol dire, va avanti.
Decidere dove andare non era stato difficile. Il mio obiettivo è ancora l’America, ma un detto dice: “chi va piano, va sano e va lontano”, pertanto le cose devono essere progettate step by step. Quindi, primo passo: imparare l’inglese. E quale migliore nazione per studiare questa lingua se non l’Inghilterra?
Per un caso fortuito avevamo scoperto che la sorella del mio compagno aveva un amico, da poco trasferitosi in Gran Bretagna. Costui, a quanto diceva, si trovava in una città ricca di lavoro per tutti. Non ci abbiamo impiegato molto a convincerci che quella sarebbe stata la nostra meta: Newcastle Upon Tyne.
La scelta era stata supportata da evidenti segni del destino (è così che chiamo quegli indizi che creano delle situazioni positive, dimostrando che il tutto evolve a favore. Quando ogni pezzo si incastra come in un puzzle, la via è corretta. Al contrario, quando le situazioni divengono negative è meglio gettare la spugna e correre ai ripari perché la catastrofe potrebbe essere imminente!).
Gli elementi che ci avevano fatto capire quale direzione intraprendere erano stati: la presenza di un college rinomato e gratuito; la presenza di una conoscenza italiana e originaria del nostro paese, quindi un Aggancio, che ci avrebbe sicuramente aiutato. Inoltre c’era stato riferito che le tasse erano distribuite equamente come i guadagni, non esistendo l’enorme spaccatura come quella creatasi in Italia, dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri più poveri. Per concludere, una compagnia low cost effettuava voli diretti Bergamo-Newcastle. Insomma: Dio salvi la Regina!
Al banco del check-in mi tornano in mente le motivazioni che ci hanno portato a essere qui in questo momento. Il nostro sogno si sta per realizzare.
Avendo a disposizione qualche minuto prima di oltrepassare i controlli della sicurezza, ci avviamo verso il bar e prendiamo posto a sedere nell’unico tavolino rimasto. Alla cassa un cartello avvisa della maggiorazione per il servizio al tavolo. In totale: due tè caldi e due birre in bottiglia costano a mio padre la modica cifra di 18.50 €. Neanche fossimo in Galleria Vittorio Emanuele a Milano. Fortuna che me ne vado da quest’Italia ladrona.
Sto sorseggiando il tè (che mi sta andando di traverso dopo aver sentito il prezzo che è stato pagato) quando mi squilla il cellulare. É mia madre:
-A che punto siete?-
-Stiamo aspettando d’imbarcarci.-
-Fate buon viaggio, in bocca al lupo e mandami un messaggio appena arrivate.-
Improvvisamente ho gli occhi colmi di lacrime. Le rispondo velocemente:
-Ok. Crepi. Ci sentiamo.- e riattacco.
Spero non abbia capito che avevo un nodo alla gola, ma alzando lo sguardo scopro i miei accompagnatori a fissarmi.
-Era la mamma.- comunico facendo finta che quelle che stanno rigando le guance non siano lacrime.
-O santo cielo. Se questa è la tua reazione solo sentendo tua madre al telefono, chissà cosa farai con me che sono qui di fronte.-
-Conviene che andiamo. Il vostro parchimetro è già scaduto da cinque minuti.- ribatto come se non avessi sentito la battuta di mio padre.
Ci avviciniamo all’uscita. É giunto il momento dei saluti.
-Andate a farvi un giro al centro commerciale qui di fronte?- domando per smorzare la tristezza.
-Credo di sì. Abbiamo percorso tutta questa strada, tanto vale sfruttare la cosa.- risponde mio padre. Senza ascoltare la risposta e senza pensarci ulteriormente, lo abbraccio. Non resisto più, le lacrime cominciano a scendere come una diga a cui si sono rotti gli argini. Lui mi stringe a sé.
-State attenti e come vi ho già detto: siete la nostra speranza. Se ci fosse la possibilità di un trasferimento anche per noi, prepariamo le valigie e vi raggiungiamo. Qui ormai non si risolve più nulla, anzi! L’Italia andrà sempre peggio.- Credo di non riuscire a superare questo attimo. Piango come una bambina alla quale è stata strappata dalle mani la sua bambola preferita. Le uniche parole che riesco a dire sono:
-Tu prenditi cura del mio Birba.-
-Stai tranquilla, è in buone mani.- e mi stringe ancora più forte.
Tento di staccarmi, anche se preferirei rimanere così per ore, e mi volto verso Antonella, la sua compagna. Anche lei è in lacrime. Come da copione in un telefilm americano, l’abbraccio. Contemporaneamente Dami sta salutando mio padre, il quale si raccomanda di aver cura della figliola. Non resisto e decido di abbracciarlo ancora, mentre un altro pianto scoppia più forte.
-Se non te la senti di fare questo passo, non sei obbligata.- mi sussurra all’orecchio. Ha ragione, non c’è nessuno che mi sta puntando una pistola alla tempia, ma lo devo fare. Perché? Perché credo che la mia fortuna non sia dove ho vissuto fino a ora, credo che la vita ti dia sempre una seconda possibilità e che sia quella migliore, credo che una tale esperienza mi aprirà delle porte… ma devo ammettere che in questo preciso istante penso fermamente di essere una masochista. Il dolore che sto provando è inesprimibile. Ecco quello che sinceramente credo.

Come è nata l’idea di questo libro?
Ho sentito il bisogno di “aiutare” coloro che in futuro avessero voluto intraprendere un’esperienza d i emigrazione in Inghilterra come stavamo facendo io e il mio compagno pertanto, reduce dall’esperienza personale, ho iniziato a scrivere questo “diario di viaggio” che racconta quanto ci è accaduto nell’anno 2008 durante quei 220 giorni trascorsi su suolo inglese, elargendo anche informazioni di carattere pratico/burocratico, necessarie per poter vivere in quel Paese.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Portarlo a termine non è stato difficile poiché trattandosi di vita reale, quasi ogni giorno “prendevo appunti” di quello che ci capitava, delle persone che incontravamo e on le quali avevamo a che fare. Insomma, è venuto tutto molto naturale… Quello che invece è stato più complicato è il trovare una Casa Editrice che lo avrebbe pubblicato, senza dover pagare nulla!
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
La mia autrice di riferimento è la Sophie Kinsella. Mi ritrovo tantissimo nel suo genere, nelle sue storie. Talvolta mi sento un pò Becky anch’io! Mentre in Italia apprezzo molto la Federica Bosco e la Luciana Littizzetto.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Villadossola (provincia di Verbania). In passato ho vissuto a Washington D.C. per qualche mese (ero lì come ragazza alla pari), poi ho vissuto a Jesolo, a Newcastle Upon Tyne (e da questa esperienza ne è nato il libro), e a Tenerife.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Mi piacerebbe molto scrivere un libro sulle donne. Un libro che racchiude molteplici storie di vite reali, a rappresentanza dei vari caratteri che ci distinguono e delle differenti esperienze che ci troviamo ad affrontare in campo sentimentale/lavorativo/famigliare. Mi auguro di trovare presto il tempo per poterlo redigere.
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