Edito da Arcana Edizioni - Roma nel 2021 • Pagine: 493 • Compra su Amazon
Il metal è spesso visto da fuori utilizzando la lente deformante del pregiudizio. Invece, questo ambiente presenta riferimenti a settori artistici basilari per definire l’identità della razza umana. Vero è che alcuni temi affrontati al suo interno non si segnalano quanto a profondità, ma non esauriscono certo ciò che il genere ha da dire. Religione, filosofia, scienza, storia e folklore non sono difficili da rintracciarvi. Parlare dell’uso del lavoro di grandi pittori per le cover di alcuni album può contribuire a capire meglio un mondo denigrato, ma anche a riprendere contatto con una parte importante della nostra cultura. Di artisti come Bosch e Beksinski o illustratori come Derek Riggs o Joe Petagno, “Dipinto sull’acciaio” parla dividendo il tutto in più parti. Nella prima prende a titolo di esempio pittori totemici che sono stati scelti massicciamente da gruppi HM, poi lo stesso fa per appartenenti a correnti pittoriche “concettualmente metal” come Romanticismo, Simbolismo e Preraffaeliti. Quindi si lancia in una corsa dal Trecento al Novecento per dimostrare come l’interesse del metal verso la pittura attraversi un arco temporale enorme. Nella seconda si occupa invece di alcuni illustratori/disegnatori dallo stile pittorico o fumettistico. Perché l’immaginario heavy è fatto di rappresentazioni talvolta violente che hanno però una precisa motivazione di essere, così come ne esistono di altrettanto forti nel mondo dell’arte ufficiale. Del perché certi pittori si siano rivelati così affini al feeling della “musica del demonio”: di questo parla questo libro. Per indicare come il metal sia un inesauribile carburante istruttivo che brucia nell’anima e non inquina. Prefazione di Eliran Kantor.
Il tutto cercando di seguire un format che tenga come valore base per ogni sezione la data di nascita di ognuno. Senza appesantire troppo il discorso, con l’idea di fondo di interessare all’argomento chi non ha mai avuto modo di entrare in contatto con questi argomenti e mantenendo sempre lo stesso canovaccio nel costruire i capitoli. Le biografie saranno quindi schematiche, se non appena accennate a seconda della parte del libro in cui si trovano e a volte non necessariamente saranno indicate le opere più importanti degli artisti analizzati. Al contrario, quelle più funzionali all’impostazione generale del libro e al suo focus metallico. Allo stesso modo, gli artisti scelti non sono per forza quelli più importanti in assoluto per la storia dell’arte o dei movimenti artistici trattati, ma una selezione di quelli che sono utili all’economia dello scritto, come preciseremo ancora nell’introduzione della parte intitolata La Lunga Corsa del Colore. Senza quindi la pretesa di riuscire a citare tutto e tutti dato che non solo sarebbe impossibile, ma inutile, bensì solo con quella di incoraggiare una riflessione complessiva sulla questione che possa magari indurre qualcuno a fare ulteriori ricerche. Sia musicali che pittoriche, stimolando la curiosità dei lettori. Perché l’immaginario metal, lo sappiamo bene, è fatto di rappresentazioni forti. Talvolta a sfondo sessuale, magari ingenuamente machiste, altre volte violente fino ad arrivare allo splatter e oltre, che hanno però una precisa motivazione di essere, così come ne esistono di altrettanto forti nel mondo della pittura ufficiale e per lungo tempo a uso e consumo della chiesa, fatto di cui disquisiremo alla fine di questo libro. Molto spesso e trasversalmente rispetto ai generi, si tratta però di citazioni erudite, prese e/o elaborate dalla letteratura o dalla pittura colta. Da tutto questo viene fuori con chiarezza come tanti artisti studiati a scuola, non raramente fin dalle medie inferiori a seconda del Paese in cui si nasce, siano stati involontari precursori dei lavori di tanti illustratori creatori di metal artwork odierni. O addirittura abbiano direttamente fornito materiale per le copertine di alcuni dei dischi che ascoltiamo normalmente o per le liriche delle canzoni. Di alcuni di questi (come detto, citarli tutti sarebbe impossibile e ciò che importa è stabilire un principio generale sviluppando il concetto mediante esempi ad hoc) e del perché si siano rivelati così affini al sentire interiore di musicisti e ascoltatori della “musica del demonio”, vogliamo dunque dare qualche cenno. Senza la superbia di voler fare vera critica artistica, ma cercando di stabilire ancora una volta in maniera semplice e non paludata, come il tanto vituperato metal non sia affatto un genere da trogloditi, ma rappresenti (pure) un veicolo di conoscenza. Oltre che una preziosissima valvola di sfogo al servizio di anime sotto pressione. Ciliegina sulla torta, gli interventi originali scritti appositamente per Dipinto sull’Acciaio da parte di Eliran Kantor (autore di copertine per Testament, Mekong Delta, Satan, etc.), il quale si è occupato della prefazione, di Mario “The Black” Di Donato (sua la quarta di copertina) nella sua doppia veste di musicista e pittore, di Enzo Rizzi (disegnatore padre del personaggio di Heavy Bone, il mostruoso zombie killer), del pittore/illustratore Paolo Girardi (Dark Quarterer, Inquisition, Manilla Road, etc.) e di Steve Joester, artefice di scatti fotografici passati alla storia del rock (U2, Judas Priest, Bob Marley, etc.) divenuti in parte opere d’arte, il quale ha scritto la postfazione. Con tanto di alcune illustrazioni concesse o appositamente preparate per il volume, motivo per cui li ringrazio ulteriormente. Il fine di questo scritto, dunque, non è quello di produrre un libro mastro del settore che esponga le colonne “dare” e “avere” tra metal e pittura, ma puntualizzare come il genere considerato dai più come volgare – per alcuni versi lo è e vuole esserlo – scarsamente importante e persino pernicioso nell’economia culturale della nostra società, sia invece un meraviglioso, potentissimo, inesauribile carburante istruttivo che non inquina, ma che quasi nessuno è disposto a usare per far funzionare il motore della propria formazione intellettuale. In questo nuovo medioevo in cui sembra che alla gente interessi sempre meno capire davvero ciò che la circonda, musica estrema, colori forti e immagini potenti sono sempre più in grado di mostrarci l’essenza del nostro essere. Al di là di brutture, meschinità e tragedie di un quotidiano che come un sadico specchio, senza pietà ci mette davanti al nostro affanno di vivere senza uno scopo superiore. Partiremo dunque dal mondo delle tele e dai “Totem” e termineremo parlando di quello degli illustratori contemporanei seguendo gli stessi criteri per tutti e per precisa scelta, non per forza dedicando loro pari spazio. Questo in quanto la cernita non è stata operata pensando quanto ogni pittore o illustratore ne avrebbe occupato – talvolta infatti diverso l’uno dall’altro, eppure complessivamente non troppo dissimile – ma solo al tipo di quadri, dischi e gruppi di cui sarebbe stato più opportuno parlare. In certi casi raggruppando due nomi nello stesso capitolo. In libertà e senza vincoli che avrebbero forse reso il testo più “professionale”, ma meno vivo e immediato e più vicino al settore libro d’arte che a quello musicale. Stabilendo una volta per tutte che per veicolare cultura ai nostri giorni, ci vorrebbero probabilmente molti più Bruce Dickinson ed Eliran Kantor e davvero meno Sfera Ebbasta e Myss Keta a stuprare le nostre cellule cerebrali. Un accostamento, quello tra cultura e metal, che viene ribadito innanzi tutto da Mario “The Black” Di Donato, musicista heavy di lungo corso, ma anche apprezzato pittore con un numero enorme di mostre alle spalle, il quale ha voluto concedermi per primo un suo intervento originale scritto apposta per Dipinto sull’Acciaio […] Per cominciare questa nostra panoramica “campionaria” sul rapporto tra metal e pittura, la scelta è praticamente obbligata. Il primo nome da fare è per forza quello dell’artista che forse più di tutti può essere considerato un pittore heavy: Hieronymus Bosch. Non c’è polittico, quadro o singola pennellata ascrivibile all’artista di Bosco Ducale, che non conduca direttamente all’interno di una realtà parallela incredibilmente densa di simboli esoterici e figure che sembrano essere state concepite proprio con l’intento di descrivere al meglio certe atmosfere inquietanti, oscure e devianti che così bene si attagliano all’immaginario del rock estremo. Oltre mezzo millennio prima della sua nascita, peraltro. […] Che si tratti di un uomo dedito alla frequentazione di orge degne di Eyes Wide Shut (film con colonna sonora di Jocelyn Pook, un’artista che ha lavorato anche con Mark Knopfler e This Mortal Coil) e realmente iscritto ad associazioni segrete o molto più semplicemente, di un uomo del suo tempo capace di interpretare l’inconscio più nascosto e di rappresentarlo in maniera così fedele al vero da porlo al di fuori del tempo stesso, Hieronymus Bosch è molto più moderno ora di quando ha dipinto La Salita al Calvario (o Cristo portacroce) di Gand, le Tavole del Diluvio o uno dei Trittici del Giudizio. Quelle da lui rappresentate su tavola, pur depauperate nel numero un tempo stimato da appositi studi di dendrocronologia (*) e dall’applicazione di moderne tecniche di datazione e attribuzione, erano e restano capaci di comunicare ben al di là del soggetto rappresentato. A prescindere da questo e dai motivi che lo hanno spinto a dipingerli, infatti, tolte le esecuzioni più tradizionali in ogni caso sempre superlative dal punto di vista squisitamente pittorico, è la rappresentazione della pazzia, il ribaltamento dell’ottica nella quale inquadrare i soggetti rappresentati – chi è più pazzo ne L’Estrazione della Pietra della Follia? Il presunto folle o chi cerca di curarlo cavandogli dal corpo la pietra che dovrebbe causarne l’infermità? – e sopra tutto la capacità di mettere su legno quello che di più deviante si annida dentro di noi. Così come rilevato in maniera ben più approfondita da Michele Novellino nel suo Sognando con Bosch. Gli Incubi, i Peccati Capitali e il Luciferino nell’Uomo. E se la religione fornisce materia prima in abbondanza per la produzione pittorica dell’olandese e pur se in questo campo le notizie sono in realtà davvero scarse, considerare la committenza religiosa come ineludibile fornisce comunque spunto di discussione per mettere in relazione l’uso delle sue opere col nostro mondo; ma non solo. Il numero elevato di citazioni heavy qui riportate – una parte nettamente minoritaria rispetto a quelle esistenti e senza considerare quelle prog e rock se non “di striscio” – consente di mettere in luce una personalità che ha molto in comune con lo spirito che anima certi comparti del metal. Sia dal punto di vista iconografico, che filosofico. A emergere in mezzo all’utilizzo di strumenti d’uso quotidiano decontestualizzati e resi sinistri agenti di tortura (vedi pannello di destra del Trittico del Giudizio di Vienna), alla deformazione di corpi d’uomini e animali, all’elaborazione fantastica e quasi julesverniana di strumenti di locomozione e all’esasperazione massima della visione tradizionale dell’Inferno e di varie altre storie legate al cattolicesimo, è un senso dell’umorismo di matrice mitteleuropea senza dubbio attribuibile solo a una persona di grandissima intelligenza e arguzia. Interessantissimo notare poi come una delle sue immagini più sfruttate per la produzione di copertine di dischi, ossia quella della parte destra del Giardino rappresentante giustappunto l’Inferno, contenga numerosi strumenti musicali e proprio perciò è noto anche come “Inferno Musicale”. In questa parte si notano strumenti di tortura e demoni che tormentano i condannati, ma in una chiave in cui si può interpretare il tutto come avvertimento in ottica luterana circa il potere della musica, dato che “non bisogna lasciare la bella musica al diavolo”, per usare le parole proprio di Lutero. In ogni caso, a essere presenti sono varie allegorie cristiane e numerosi simboli esoterici il cui effetto è quello che possiamo notare osservando il dipinto. Di formazione medioevale eppure contemporaneo, incapace e probabilmente non interessato a seguire un filo logico nello sviluppo del suo stile, che risulta quindi ondivago e pertanto specchio di una personalità slegata da necessità di mercato in senso stretto, come un musicista che incide ciò che gli piace più che ciò che gli serve, Bosch è davvero artista alchemico. E lo è per il modo in cui fonde passato e presente in un crogiuolo di sensazioni che sono parte dell’uomo in quanto tale, più che dell’uomo come prodotto del suo tempo. Quindi, sempre attuali. Grottesco come un gruppo grindcore, psichedelico come un lavoro dei Doors, angosciante come una sinfonia black metal, religioso e antireligioso al tempo stesso come può essere il metal, dannato al pari un capolavoro death, arzigogolato e surreale come una gigantesca rappresentazione teatrale con musiche prog-metal, pulsante come un vinile heavy. Oppure satirico, sfacciato e carnale come un Cd thrash, Hieronymus Bosch è l’artista che rappresenta in pittura il corrispettivo delle sensazioni evocate da ogni branca conosciuta del metal. E non solo, dato che oggigiorno troviamo la sua pittura immortalata su leggings, skate, borse, scarpe, poster e un’infinita serie di altri prodotti pop non sempre necessari che non fanno altro che svuotare completamente il significato profondo delle immagini riproposte. Un artista così affascinate e poco conosciuto come uomo, pintore simbolista che scelse la bidimensionalità, atterrito dal fuoco che però dipingeva spesso come conseguenza dello shock per l’incendio della sua città, sul quale sono fiorite infinite leggende. Anche sulla sua presunta appartenenza ad associazioni ben al di fuori della linea imposta dalla chiesa cattolica ortodossa, dedite al consumo di sostanze allucinanti. Tanto da interessare un tossicologo Fondatore e Direttore Emerito del Centro Antiveleni di Roma come Enrico Malizia, inducendolo a scrivere un libro intitolato HIERONYMUS BOSCH, Pittore insigne nel crepuscolo del Medioevo – stregoneria, magia, alchimia, simbolismo. In questa sua biografia romanzata sulla vita di Bosch, Malizia cita il risultato di uno scrupoloso lavoro da lui svolto sia nella sua qualità di tossicologo, che di ricercatore. Perché – parliamoci chiaro – a prescindere dagli intendimenti del pittore, è il lato visionario della sua opera ad affascinare tutti da oltre 500 anni a questa parte. Malizia ha notato come le creature e i mondi boschiani risultassero molto simili a quelli descritti da pazienti dopo l’assunzione di allucinogeni come l’Lsd. Da qui una loro grossa popolarità negli anni 60 di cui già abbiamo detto. E dopo un incredibile lavoro di ricerca sull’alchimia, la stregoneria, la magia, le sette segrete e non che erano attive in quel periodo in quelle zone, la medicina, la conoscenza delle scienze naturali di quegli anni e sui trattati esistenti in materia, dall’Hortus Sanitatis al De Praestiigis Daemonium, Et Incantationibus AC Veneficiis Libri Sex, Aucti Et Recogniti di Wier edito a Basilea nel 1563 e considerato da Freud uno dei dieci libri più importanti mai scritti, passando per la Medicina Popolare Siciliana del Pitrè, ne ha ricavato le “ricette” usate dalle così dette streghe dell’epoca. Queste pozioni, peraltro riportate nel libro con tanto di contestualizzazione e spiegazione scientifica dei loro effetti, sembrano in grado di evocare visioni molto simili a quelle immortalate su tavola da Bosch. Si badi bene che Malizia ha pubblicato sei libri sugli effetti delle droghe tra il 1981 ed il 2004, è Emerito dell’Università la Sapienza di Roma e Philadelphia e i suoi studi hanno portato alla produzione di farmaci salvavita. E questa non è che una piccola frazione del suo CV. Tutto questo, comunque, è quasi secondario. Che vi rivolgiate per conoscerlo meglio a un film d’animazione come Hieronymus Bosch The Movie di Erik van Schaaik, il quale descrive Bosch come “il primo artista heavy metal” (dagospia.com, 25/11/2014), oppure al libro di Enrico Malizia, se ascoltate metal lui è già dentro di voi. E senza che abbiate usato “quattro parti di tritato di loglio, di iosciamo, anebano, cicuta, papavero rosso e nero, lattuga, portulacee; una parte di tritato dell’erba chiamata belladonna dagli italiani” e varie altre cose utili per partecipare a un sabba, tanto per citare un esempio.
Almeno; lo spero.
Come è nata l’idea di questo libro?
Dal desiderio di unire due delle mie più grandi passioni, ossia musica e pittura. Per quanto riguarda la seconda, da semplice ammiratore dei grandi del passato e del presente. Col crescere del mio impegno nel mondo della musica, però, avevo dovuto accantonarla perché non riuscivo più a trovare il tempo per tenermi aggiornato. Lo scrivere un libro che tratteggia la relazione tra heavy metal e pittura attraverso i secoli, da van Eyck a Dalì passando per Bosch, Caravaggio, Artemisia Gentileschi, Kittelsen, Arbo, Giger, Beksiński e tantissimi altri non è stato solo catartico a livello personale, ma è servito più che altro a chiarire una volta per tutte come l’heavy metal sia un veicolo di cultura incredibile.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Molto. Le 500 pagine che compongono l’opera contengono non solo lo scritto vero e proprio, ma una massa enorme di dati sotto forma di notizie, aneddoti, citazioni, nomi, date, gruppi, album, dipinti e molto altro. Oltretutto, non solo è stato difficile procurarseli e in molti casi tradurre tutto in lingua italiana, visto che per ovvi motivi mi sono rivolto a molte fonti estere, ma l’ordine che ho scelto per inserirli nello scritto è peculiare e nessuno dei pochissimi data base esistenti aveva scelto il mio approccio. Non ho quindi mai potuto fare dei semplici copia-incolla di stringhe di notizie utili, ma ho dovuto estrapolare ogni singola informazione ritenuta adeguata e inserirla nel libro una alla volta nel punto giusto, seguendo la filosofia del discorso. Senza contare quelle scartate, ma lette ugualmente. Davvero un lavoro snervante, che però alla fine mi ha dato un’enorme soddisfazione. Anche perché il libro è arrivato a una dimensione internazionale attestata dal suo inserimento nel data base di opere di interesse culturale internazionale da parte dell’ISMMS (International Society for Metal Music Studies) e alcuni altri enti.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sarò forse immodesto, ma credo che ciò che scrivo sia molto personale e gli argomenti peculiari. Ho letto moltissimo in vita mia e continuo a farlo, ma cerco di non ispirarmi a nessuno.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono una stanziale, se mi passi il termine. Sono nato in Sicilia e qui sono sempre restato.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Adesso sono ancora in piena promozione di Dipinto Sull’Acciaio, ma anche se è un mattone di quasi 500 pagine, in realtà è solo la prima parte di un progetto più ampio che spero di concretizzare in un futuro non troppo lontano.
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