
Edito da Placebook Publishing & Writer Agency nel 2020 • Pagine: 186 • Compra su Amazon
Un delicato e a volte ironico viaggio nel mondo di quelli che vengono considerati diversi. Pagina dopo pagina si entra in contatto con la vera essenza di quello che i normodotati chiamano: handicap.Gianluca Piattelli lo fa con garbo e intelligenza, a volte con crudezza, sovrapponendo momenti onirici con sequenze di suspance.Un libro che riesce a far cambiare il punto di vista di un pregiudizio duro a morire.Il lettore imparerà a conoscere ed amare i ragazzi dell’Istituto, appassionandosi per la loro inconsapevole avventura.

Leo stava patendo il caldo. Un caldo così umido e appiccicoso che nemmeno il climatizzatore installato in camera sua riusciva a combattere. Piccoli brividi fiorivano sulla sua schiena ogni volta che il sudore appena formatosi veniva raffreddato dall’aria condizionata.
«D’accordo, siamo a luglio, ma così è troppo»
Disse Leo, rivolto alla sua stanza, mentre il meticcio peloso sbuffava penosamente ai piedi del letto. L’uomo si alzò facendo cigolare le assi del matrimoniale che da tempo non condivideva più con la moglie e il muso del meticcio dal pelo color fulvo si staccò dall’amichevole frescura del pavimento per annusare l’aria circostante, incontrando lo sguardo ebete del padrone.
«Hai caldo anche tu… eh, Cane-Jo?»
Continuò, accarezzando il pelo morbido sul collo dell’amico animale.
Il cagnolone di trenta chilogrammi aveva pressappoco un anno di età, Leo lo aveva trovato in un cassonetto della spazzatura: un batuffolo di venti giorni e un paio di chilogrammi di peso, affamato e piangente.
«Vieni, ti do da bere»
L’uomo si avviò con passo pesante verso un angolo della camera, prese la ciotola e la riempì con l’acqua fredda del lavandino del bagno.
Un abbaio di smodata contentezza ravvivò il muso di Cane-Jo, la cui coda iniziò a scodinzolare come un pennacchio desideroso di spolverare un prezioso mobile antico e gli occhi marroni come castagne mature inviarono uno scintillio di felicità. Leo appoggiò la ciotola sul pavimento e l’amico, avido, vi tuffò la lingua.
«Hai avuto il tuo drink, bello. Adesso tocca a me»
Leo passeggiò a piedi scalzi verso la cucina del suo bilocale, aprì il frigo e inspirò l’aria fredda e notevolmente gradita dell’elettrodomestico. Poi prese una lattina di birra e se la tracannò in pochi sorsi, il suo pomo d’Adamo ballava una danza conosciuta andando su e giù come un ascensore impazzito.
«Ricorda Cane-Jo, l’acqua è necessaria per la vita, come la birra lo è per lo spirito»
Il peloso lo guardò piegando leggermente la testa di lato, probabilmente perché non comprendeva il linguaggio umano, sicuramente perché non era d’accordo con quella frase del suo padrone, buttata lì a casaccio. L’uomo, che in realtà si chiamava Leopardo (al momento di registrare il suo nome, lo stesso del Genio di Vinci, il dipendente dell’anagrafe comunale aveva sostituito la lettera N con una P) era un quarantenne di bell’aspetto, separato da due anni, con un leggero accenno di pancetta e un inizio di stempiatura. Leo sorrise al suo amico peloso, abbassò di un altro grado la temperatura del climatizzatore e tornò a sdraiarsi sul letto disfatto.
«Hey, Cane-Jo, tra poco devo andare. Fuori, per la passeggiata quotidiana, ti ci porto dopo cena, ok?»
Da qualche mese era stato assunto da un istituto per l’accoglienza di ragazzi con disabilità, con la mansione di autista. In poche parole, lui doveva recarsi all’istituto di proprietà dell’Ente per Disabilità alle sette del mattino, salire sul pulmino in dotazione dell’ente sopracitato e prelevare alcuni ragazzi disabili dalle proprie case, quindi trasportarli nell’edificio in cui avrebbero passato la giornata insieme a maestre, inservienti, terapisti e personale vario. Dopodiché poteva tornarsene a casa, fare i suoi porci comodi come appunto stava facendo adesso, quindi tornare all’istituto alle quattro del pomeriggio e riportare i ragazzi dalle loro famiglie.
«Sono le due e mezzo, ok. Cane-Jo, sono consapevole che avremmo il tempo necessario per andare fuori. Ma io, con questo caldo, mi rifiuto. Sappilo!»
Leo usava spesso rivolgersi al suo cane come fosse una persona, in fondo non parlava quasi mai con nessuno, amava definirsi un solitario. Un solitario per scelta. Sua moglie se n’era andata con un altro, lui dapprima ci aveva sofferto, aveva trascorso un mese fra pianti e rimuginazioni, fra telefonate a vuoto e sensi di colpa. Ma poi aveva deciso che continuare a piangersi addosso non sarebbe servito a nulla. Aveva quindi assunto il ruolo del solitario. Solo e felice. In seguito era arrivato il cucciolo e aveva capito che quella compagnia gli andava a genio. Quella era proprio la giusta compagnia. I primi tempi non riusciva a decidersi sul nome da affibbiare a quella creatura che lo riempiva di affetto allo stesso modo in cui cagava e pisciava nel suo bilocale, quindi lo chiamava semplicemente cane.
In seguito, Leo pensò bene di aggiungere qualcosa al nome iniziale, piuttosto che cambiarlo totalmente. La scelta ricadde su Jo, il diminutivo di Giovanni, un suo grande amico d’infanzia, recentemente scomparso.
Il cane lo guardava ora con la bocca semiaperta, una goccia di saliva
che adornava la sua lingua catturò un raggio di sole e inviò un riflesso argenteo. Il climatizzatore ronzava come un calabrone affannato e pesante. Il letto cigolò di nuovo sotto il corpo di Leo, che si girava di continuo per trovare una posizione che fosse la più comoda e fresca possibile.
«Devo essere all’istituto alle quattro in punto. Fammi gustare ancora un po’ l’aria condizionata! Fuori ci andremo dopo. Ti ho mai detto che il pulmino dell’Ente per Disabili non ha il clima?»
Gli confidò, con un occhio al soffitto e uno al radiocomando. In effetti, i mezzi di trasporto forniti dall’ente erano un po’ datati. Il cane sbuffò ancora e abbandonò la speranza di un’uscita appoggiando la testa sul pavimento e chiudendo gli occhi.
«Se vuoi saperlo, non nutro molta simpatia per quei ragazzi. Le loro famiglie poi… sono tutto un programma. Una madre apprensiva che si raccomanda al sottoscritto di stare attento a ogni curva del percorso. Un padre che mi guarda in cagnesco per motivi sconosciuti. Una sorella pettegola che vuol sapere come trattano il fratellino all’interno dell’istituto e via dicendo. Sapessi che palle!»
Leo fece uno sbuffo prolungato a cui seguì un sospiro intenso che significava una sola cosa: noia.
«Per non parlare di quello che mi pagano. Una miseria!»
Cane-Jo non rispose a questa affermazione, anzi cercò di acchiappare al volo una mosca in grado di compiere acrobazie nei pressi del suo naso, ma senza successo. La sua bocca tornò a chiudersi, evidentemente insoddisfatta.
«Una miseria. Ah, ma vedrai, caro amico mio, come saprò riscattarmi. Ho in mente grandi cose nel prossimo futuro… grandi cose»
Mentre Leo continuava a lamentarsi del suo impiego, palesando la pallida intenzione di dare una svolta alla propria vita, il climatizzatore smise di emettere il solito ronzio e divenne silenzioso come un gigante che si fosse appena addormentato.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea è nata mentre riguardavo delle vecchie foto che mi ritraevano sorridente insieme ai ragazzi di un istituto per disabiità mentali, ente in cui avevo svolto il servizio civile, nel lontano 1992-1993. Quell’anno passato con loro è stata una esperienza formativa e meravigliosa, al punto che ho deciso di inventare una storia che avesse come protagonisti alcuni ragazzi con difficoltà comunicative, raccontarne la vita, le problematiche, le abitudini, le emozioni e le qualità che a prima vista sono precluse a noi che ci illudiamo di essere normali, ma che vengono alla luce, se sapute cercare abbassandoci alla loro altezza.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato difficile, ho stilato una timeline, come faccio sempre, ho creato i personaggi e li ho fatti danzare sulla scena. Le parole sono sgorgate come acqua da una sorgente di montagna, sentivo di essere ispirato dalla storia che stavo raccontando e dai personaggi, al punto che mi pareva di averli a fianco, mentre ne scrivevo le gesta.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Stephen King per la sua genialità. Niccolò Ammanniti per la sua ironia.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Chiesina Uzzanese, un paesino di quattromila anime, situato in provincia di Pistoia, terra di Toscana. In passato, prima di sposarmi, abitavo con i miei genitori in altro paesello a dieci chilometri di distanza.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Progetti, beh… Continuare a scrivere romanzi e, di conseguenza, a leggere, sia autori famosi che autori emergenti.
“Mi considera un diverso solo chi tra di voi normali vede il mio universo” Leo “ho ascoltato la quinta sinfonia di Beethoven” da qui parte la mia recensione. Sin dalle prime pagine trovo il personaggio “strano” quasi burbero, a volte sembra che giudichi con crudezza quelli che provengono da un mondo, tra virgolette “diverso”. Ma si sa spesso le apparenze ingannano è proprio così. Come ho già detto un mondo sconosciuto ai più quello dei disabili, la loro vita è parecchio complicata, affrontano ogni giorno mille difficoltà. Amo questo racconto, mi ha fatto conoscere più da vicino il mondo degli “speciali”. Descritto sin dalle prime pagine in maniera perfetta, dal carattere del protagonista ad ogni singolo personaggio. Nulla è stato tralasciato dallo scrittore nel descrivere questa straordinaria storia basata in gran parte sulla realtà. Asialuna, una piuma sulle spalle… questa frase mi è piaciuta tanto, ho trovato il cane Jo dagli occhi castani come castagne mature molto simpatico. Sono i dettagli a fare la differenza in uno scritto. I limiti esistono solo negli occhi di chi guarda le cose con superficialità. Da questo viaggio torno con la consapevolezza che la disabilità non è altro che un modo ingegnoso di vivere la vita. Dopo varie vicissitudini il nostro Leo giurò di non chiamarli più disabili. Un libro che fa riflettere molto è che farà cambiare parecchio opinione alle persone che hanno pregiudizi nei confronti di chi lotta ogni giorno perla vita, persone speciali che spesso si trovano ad affrontare anche insulti e derisioni, chi lo fa insulta la vita. Ringrazio anch’io questi meravigliosi ragazzi per la lezione di vita che mi hanno dato, per avermi permesso di conoscerli e di amarli, Nicolas, Lisandro, Margherita, Asialuna grazie, grazie anche a Leo e Giulia, ma chi è Giulia? Lo scoprirete solo leggendo chi è Giulia. Un libro adatto ad ognuno di noi e li chiamano “disabili!” Gianluca complimenti per il tuo racconto.