
Edito da Zoraide Editore nel 2018 • Pagine: 112 • Compra su Amazon
Quello che succede in una valle dove il tempo sembra essersi fermato ad un passo dal progresso, è qualcosa di speciale per chi in questo racconto ne è protagonista. Insegnamenti che arrivano dal passato e che vengono trasmessi incoraggiando ad essere rielaborati ed interpretati, perché possano essere plasmati di volta in volta in modo diverso, mutando se stessi per il cavallo che si ha di fronte. Imparare a riflettere prima di agire.
Applicare un metodo è sicuramente la parte più importante e difficile avvicinandosi ad un cavallo, ma quanti pensano che la chiave ad ogni risposta sia contenuta nel metodo stesso? E quanti rielaborano il metodo adattandolo a se stessi, alle proprie possibilità e capacità e a quelle del cavallo con cui si sta interagendo?
Un libro da leggere tra le righe, che esorta alla ricerca di una maggiore consapevolezza nel nostro essere più interiore e nel profondo essere del cavallo, senza lasciare nulla al caso fino al più piccolo dettaglio.
Un ragazzo che tramite i cavalli scoprirà se stesso, affronterà la sua rabbia e le sue incertezze, trovando nei cavalli analogie con la vita. Un uomo che donando la sua conoscenza, si arricchirà delle esperienze vissute con il ragazzo trovando la forza di affrontare il suo passato.
Le storie nascono da vecchi insegnamenti ricevuti, episodi vissuti, persone e cavalli incontrati; narrati su una linea temporale non coincidente alla realtà. Lasciare spazio alla propria immaginazione e immedesimarsi nei ruoli dei personaggi sarà stimolo per ricavare qualcosa di personale dall’intero scritto.

I mille volti dell’anima
Mi rialzai e mi allontanai, ancora una spolverata a tutta la polvere che Bandolero mi aveva fatto mangiare. Il morello continuava a correre per i prati, a rispondere e a lanciare sfide al nuovo arrivato, che sembrava ben convinto a non tirarsi indietro, ma quel giorno tutti tornammo nei nostri spazi.
Ricordo il peso sulle gambe, la stanchezza e ancora la rabbia aumentare. La rabbia per non aver raggiunto nulla e per aver commesso quegli errori. La rabbia perché sentivo scivolare via di dosso qualcosa in cui credevo e in cui mi nascondevo. In cui avevo speso tanto. Ma la rabbia era mista alla curiosità di capire quanto, Bandolero, era convinto di portare avanti così il suo percorso. Se era davvero tanto dominante da non accettare nulla, o se era solo mia la colpa di non vedere quale era la reale strada da percorrere con lui.
I cavalli sono di tanti tipi, ogni cavallo ha il suo carattere. E come per le persone, ogni carattere va affrontato e gestito nella giusta maniera, e Bandolero me lo dimostrò.
Ancora nessun mattone depositato, niente, nessun passo in avanti, nessuna speranza. Forse era il caso di mollare? O solo la scossa per non lasciare la presa? C’era quel nodo da stringere, ma per ora, non c’erano corde da annodare. Io ero l’uomo e lui il cavallo, e per quanto gli riguardava non avevamo niente in comune.
La mattina successiva, come al solito, arrivai presto in scuderia. Il silenzio intorno alla casa che sputava fumo dal camino era il solito e penetrante. I cavalli erano lontani dallo steccato che divideva i paddock dalla strada, e il morello non si sentiva ancora. L’umidità della notte rigava lo scenario con striature di vapore che risalivano dai fossi creando ombre con strani riflessi.
Mi diressi subito al Box di Bandolero che stava affacciato a controllare cosa stava succedendo. Mi fermai davanti a lui e ci fissammo. Mi persi per un attimo in quello sguardo vigile, ma non curante.
Che strano mondo quello dei cavalli. Dove in un attimo ogni prerogativa viene cancellata, ogni schema perso e ogni sicurezza abbattuta. In quel istante ritornai a pensare alle parole di J, “Mente libera, cuore sereno, la calma e la semplicità”. Già! Pregi, e condizioni, che Bandolero aveva per sua natura, ed io no. L’avrei dovuta trovare, cercarla scavando dentro di me, trovandola con il coraggio. Ma ancora non era tempo per capire, non era tempo per sapere dove si era nascosta. Perché la rabbia rende ciechi e ottusi. Rende severi e intransigenti. Rende deboli e soli. Semplicemente vulnerabili, perché ti spinge ad attaccare prima di essere attaccato e ti spinge a colpire per non essere colpito.
Girai la bicicletta e tornai verso i paddock, mi piaceva girare per i sentieri che li costeggiava fino ad arrivare al bosco. Si poteva respirare aria pulita e soprattutto trasudare serenità. Superai il ponte di legno sopra al fosso, lo risalii fino al confine del bosco e mi fermai. Un rumore dal sottobosco, e il morello si presentò davanti a me, imponente, con quel buco bianco in mezzo alla fronte. Si immobilizzò, probabilmente sorpreso dalla mia presenza. Restai immobile a fissarlo, quel cavallo restituiva armonia e sicurezza. Seduto sulla bicicletta appoggiato con i gomiti alla staccionata, lo guardai e nella semplicità del gesto mi uscì un sorriso, mi tornò un cupo vuoto dentro, che echeggiava un senso di pace. Abbassai lo sguardo, fissai i suoi piedi immobili e mi uscì un semplice “Eccoti, che fai qui campione?”. Il morello sbuffò aria dai polmoni e lentamente nel suo atteggiamento fiero si avvicinò con il muso alle mie braccia, immobili sulla staccionata. Annusò la mia giacca e si scostò due passi indietro. Alzai lo sguardo, occhi dentro agli occhi: “Che devo fare campione, che devo fare?”. Agitò la testa un paio di volte dal basso verso l’alto roteandola, girò sui posteriori e se ne andò lasciandomi lì.
Dritto, puntò al branco. I cavalli lo salutarono con richiami spezzati e in segno di tregua si misero tutti in disparte e di spalla. Nessuno, fissava nessuno! Soltanto uno fece un passo, il vecchio sauro. Lentamente con un’andatura morbida e scomposta si avvicinò al momentaneo padrone di casa, zigzagando verso di lui, avvicinandosi senza guardare, a collo disteso, fermandosi al minimo sguardo restituito dal morello. Si toccarono, si annusarono. Il morello di pietra dritto davanti a sé, il sauro concesse la spalla e mesto si distanziò.
La pace di quel momento nella serenità di quel gesto tra la semplicità di quel dialogo, mi fece ripensare a tutto quello che era successo. A come ero arrivato fino a quel giorno, a cosa i cavalli mi avevano insegnato a rispettare, da cosa gli uomini mi avevano costretto a difendermi e scappare. Come a volte ci si perde nel nascondersi, e come i dolori possono essere così cupi e pesanti. Mesi prima era Sioux che doveva uscire da un vortice. Un vortice triste e profondo. Fatto di fatiche e di ostacoli. Fatto di tentativi e di arrampicate. Oggi, in quel vortice c’ero io e probabilmente l’aiuto di chi avevo attorno nemmeno lo consideravo. Consideravo solo me stesso, il mio dolore, e combattevo contro la mia rabbia. Quella rabbia che ti rende cieco, ti rende vulnerabile.
Ripensai alle menzogne e alle cose accadute, come mi sentivo per atteggiamenti tenuti. Ripensai a quanto me stesso avevo nascosto pur di non apparire ciò che veramente ero. Ripensai ad un mondo che mi scacciava e a un mondo da cui mi stavo allontanando. A quelle maschere che possono confondere gli occhi stolti e superficiali degli uomini, ma ti rendono stupido e indifeso davanti a quelli di madre natura, a quelli dei cavalli.
Perché un cavallo vede ciò che sei e ti sente come sei. Non considera quello che vuoi far credere che tu sia, ma lentamente ti spoglia di tutte le tue certezze, abbatte le tue convinzioni e ti chiede di esprimerti, per quello che hai dentro e non per quello che il mondo vuole da te. Perché vede ogni gesto con un significato preciso, si fida del proprio istinto e di istinto restituisce quello che sente. Percepisce e conosce la cruda realtà del tuo essere.
Mi sentii tremendamente piccolo e stupido. Mi vergognai di me stesso di tutto quello che avevo sprecato, di tutte le persone che avevo deluso. Di quelle che, in un modo o in un altro, stavo deludendo. Da giorni maturavo questo malessere, e da giorni lo tenevo dentro di me, i cavalli me lo tirarono fuori sbattendomelo in faccia, facendomelo affrontare definitivamente. Me lo imposero, e io, non potei non accettare la sfida.
Una sfida contro me stesso, contro i miei timori. Ed è difficile spezzare i propri schemi perché quando si è abituati a giocare nell’ombra, la luce del sole acceca!

Come è nata l’idea di questo libro?
Nasce dalla volontà di trasmettere esperienze legate ai cavalli e all’equitazione. Esperienze non puramente tecniche ma anche esperienze emozionali e di crescita personale.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Nella scrittura ho sempre trovato una strada per esprimere i miei pensieri. Scritto 10 anni fa circa, ma restato nel cassetto fino al 2018. Più per mia volontà che per problemi legati alla pubblicazione. Conobbi tramite internet Serena Cappello, l’attuale titolare di Zoraide Editore, anni prima che lei aprisse la sua casa editrice per pubblicare un libro che le stava a cuore (I Misteri del Cavallo di R. Miller, un libro che credo ogni cavaliere dovrebbe leggere) le feci leggere il mio scritto e mi disse che avrei potuto pubblicarlo, ma lo avevo scritto principalmente per me stesso, non per farlo leggere a qualcuno, e poi per me non era finito. Passarono anni, alla fine una serie di eventi legati ai cavalli e l’illustratrice Arianna Gardini mi convinsero a riproporlo a Zoraide Editore, che me lo pubblicò. Ad agosto è passato esattamente un anno dalla prima stampa.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Nessun autore in particolare ma apprezzo molto lo scrivere di Larry McMurtry.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono originario di Numana, ma attualmente abito a Recanati.
Dal punto di vista letterario quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto scrivendo un secondo libro, che sarà il continuo di questo appena pubblicato. Come ho detto prima, per me non era concluso e non lo è tutt’ora. Spero di riuscire a terminarlo entro la fine dell’anno prossimo.
Bel libro coinvolgente… Mi sono immedesimata nel protagonista e vissuto con lui le sue emozioni e le sue vicende. Consiglio vivamente a chi sente quel brivido in corpo ogni volta che vede o si avvicina ad un cavallo!