Edito da EDIZIONI MONTAG nel 2020 • Pagine: 270 • Compra su Amazon
Roma, Milano, Zurigo: le terre di mafia ormai sono ovunque, ma è in Sicilia che attingono dalle loro radici più profonde. E in Sicilia, a Trapani, si trovano Nicola, Angela, Antonio, Tevez, Alba, il padrino don Luigi Manganaro, la vice commissario Alice Berti: soldati di eserciti contrapposti, che si scontrano seguendo principi inconciliabili.
Il giovane Nicola è costretto alla manovalanza criminale da un padrino che vuole salire nella scala del crimine: ma è un ragazzo di buon cuore, che crede ostinatamente in un futuro diverso. Nicola aspira alla redenzione e a un amore impossibile: i suoi gesti di rivolta mettono in moto qualcosa di più grande e permettono all'energica Alice, esperta vice commissario, di scoprire un commercio tra i più turpi: quello di persone, di migranti, di bambini da fare a pezzi.
Un racconto di formazione e deformazione, in un mondo contemporaneo dai tratti arcaici. Una storia criminale dura, amara e insieme delicata, per raccontare i più giovani, i più indifesi, e coloro che lottano per salvarli.
Estratto dal capitolo 12 -“Parte prima: le famiglie”.
CAPITOLO 12
Quando Angela se ne andò, fuori era già buio. Nicola aveva le membra intorpidite e una sensazione di profondo appagamento, mai provata prima, permeava tutto il suo corpo. Gli sembrava di camminare a dieci centimetri da terra, lieve come mai lo era stato.
Angela aveva insistito per prendere un taxi che la accompagnasse a recuperare l’auto, così ora Nicola passeggiava solo, lungo gli antichi muraglioni del bastione Conca. Di tanto in tanto si appoggiava al parapetto a fumarsi una sigaretta, lo sguardo rivolto in lontananza verso l’oscurità del mare. Una sottile falce di luna illuminava l’acqua e creava un gioco di riflessi con la luce proiettata dal faro del porto.
Se fosse stato ricco, l’avrebbe portata lontano da lì, su una di quelle barche a vela ormeggiate poco lontano. Avrebbero solcato tutti i mari del pianeta, l’avrebbe fatta viaggiare, come piaceva a lei. Senza fretta, padroni del tempo. E invece, cosa poteva offrirle? Un velo di malinconia calò sul suo volto, ma fu un attimo. Poi il ricordo delle linee rotonde del corpo di lei, il sapore che ancora sentiva in bocca, l’eccitazione che sentiva crescere ancora dentro di sé, lasciarono in un angolo quella domanda da adulto.
Era innamorato. Del resto non gli importava. Non quella sera. Aveva già voglia di rivederla, ma lei era stata chiara: non voleva vederlo mentre era in servizio. Nicola sperava non fosse perché si vergognava di lui. Forse semplicemente non voleva mischiare vita privata e lavoro, pensò.
Sul lungomare i ristoranti e le pizzerie erano affollati di turisti, di ragazzi, di coppie, di famiglie. Il vociare della gente sovrastava le note della musica che usciva dagli altoparlanti dei locali. A Nicola era sempre piaciuta la musica, avrebbe tanto voluto imparare a suonare qualche strumento, ma inutile tentare: suo padre si sarebbe opposto anche a quello. La batteria era lo strumento che preferiva e giunto nei pressi di una birreria si bloccò affascinato dal ritmo di una canzone. Erano sonorità africane, mischiate a una voce roca che cantava in un dialetto che non capiva.
Si sedette su una panchina e cominciò a battere il tempo con le mani picchiandole sulle ginocchia. Fuori i giovani fumavano e parlavano, le birre ghiacciate in mano. Ne comprò una anche lui e scambiò quattro chiacchiere con alcuni ragazzi un po’ più vecchi di lui.
«Sapete chi canta?»
«Enzo Avitabile, uno forte, la sua musica spacca!»
«Di dov’è?»
«Di Napoli.»
«É un grande, mi piace proprio!» esclamò Nicola.
«Fa un concerto a Erice quest’estate», disse un ragazzo con i capelli rasta e lo sguardo annebbiato dalla marijuana.
«Allora ci porto la mia ragazza!»
Gli era uscito spontaneo: per lui ormai Angela era la sua ragazza.
«Grande. Le piacerà.»
«Sicuro.»
Rimase ancora un po’ lì, ad ascoltare altre canzoni e a scambiare battute con il gruppo di giovani che di tanto in tanto gli passavano uno spinello. Non aveva voglia di tornare alla favela, non voleva lasciare la città che lo aveva fatto diventare un uomo. Si godette la brezza del mare, la vita delle strade, il profumo dei gelsomini che proveniva dai balconi dei vicoli.
Congedatosi dal gruppetto di ragazzi, si comprò un paio di hot dog e una lattina di birra da un venditore ambulante che aveva allestito la sua bancarella sul retro di una ape car. Poi si mangiò un cannolo e un gelato. Aveva fame, una fame nuova: Angela aveva consumato tutte le sue energie.
Si accese l’ennesima sigaretta seduto sullo schienale di una panchina del lungomare. I marciapiedi erano ampi, lì i motorini non potevano girare, ma a un tratto sentì il rombo di una potente moto. Vide la gente scostarsi. La moto procedeva spedita, a bordo due giovani che indossavano il casco. Nicola saltò in piedi gettando la sigaretta: sapeva cosa stava per accadere.
Si rannicchiò dietro al muretto che conduceva in spiaggia e attese. Non voleva guardare, non voleva essere testimone, ma quando gli urli della gente si levarono alti non resistette e allungò il collo.
Il passeggero della moto aveva estratto una pistola e il braccio teso stava prendendo la mira. Per questo le urla, per questo la gente correva sul marciapiede travolgendo sedie e tavolini. Quando la moto arrivò a pochi metri da un uomo brizzolato il sicario sparò tre colpi. La fiammata avvolse il braccio del killer e il rumore dello revolverata echeggiò nelle orecchie di Nicola, che non aveva mai sentito sparare da così vicino.
La moto scese dal marciapiede, proseguì la sua corsa in strada e scomparve in pochi istanti. Lasciò l’uomo accasciato a terra, una chiazza di sangue si stava già riversando sul marciapiede. Una donna si gettò al suo fianco e tentò di rianimarlo piangendo, scuotendolo, abbracciandolo. Il suo vestito bianco si era macchiato di sangue, così come le sue mani e il suo viso.
Qualcuno gridò: «Chiamate un’ambulanza! C’è un medico? Qualcuno è medico?»
Ma la gente sembrava pietrificata. Forse avevano paura che i sicari tornassero.
«Aiuto, aiutatemi!» strillò la donna disperata. E finalmente qualcuno reagì. Molti misero mano ai cellulari e chiamarono il 118, altri si avvicinarono alla donna cercando di consolarla.
L’ambulanza arrivò dopo pochi minuti. Scesero due volontari della croce rossa accompagnati da un medico.
Il dottore si chinò sul corpo dell’uomo. Gli aprì la camicia con forza facendo saltare i bottoni e gli premette una garza emostatica sulla ferita al petto. Poi gli tastò il polso e la giugulare, auscultò il torace con lo stetoscopio, i suoi gesti attentamente seguiti dalla donna ancora in ginocchio a fianco della vittima. Ma alla fine non gli rimase che scuotere il capo, abbassando lo sguardo. La donna scoppiò allora in un pianto straziante, un pianto che sembrava racchiudere tutto il dolore delle fiere donne siciliane, le vere vittime delle faide mafiose che insanguinavano l’isola da generazioni.
Arrivò sgommando una macchina della polizia, con i lampeggianti blu accesi e il suono della sirena che sovrastava le urla e il pianto della donna.
«Nessuno si allontani!» gridarono gli agenti. «Fermi! Abbiamo bisogno di testimoni»
Invece la gente iniziò a disperdersi. I tre agenti cercarono di bloccare almeno le persone più vicine al cadavere. Per rintracciare le altre si sarebbero affidati ai filmati delle telecamere di sicurezza presenti nella zona. Iniziarono a prendere i documenti di qualcuno e ad annotare le deposizioni. Poco dopo arrivò una seconda volante e poi una terza.
Nicola uscì dal suo nascondiglio e con le mani in tasca e il capo chino si allontanò lentamente. Nella sua testa l’immagine della moto: una Kawasaki verde con una striscia laterale rossa, che tante volte aveva visto parcheggiata nel quartiere di fronte alla casa di Tevez. E poi quelle scarpe da ginnastica nere, inconfondibili con le loro bande laterali giallo fosforescente, che solo una persona sfoggiava tutti i giorni alla favela.
Come è nata l’idea di questo libro?
Durante un viaggio a Napoli sono rimasta colpita dalla quantità di bambini per strada, in una mattina di un giorno feriale. Bambini che non andavano a scuola e che lavoravano. Ho visto la stessa scena anche a Palermo, a Bari, in tante città del sud. Volevo scrivere una storia che scuotesse gli animi, che sensibilizzasse le persone su quello che non si fa in Italia per fare uscire i minori dal degrado sociale, perchè i bambini non hanno mai colpa. A questi “nostri” minori da qualche anno si sono aggiunti i minori non accompagnati che sbarcano sulle nostre coste. Mi sono documentata su dove vanno a finire. E da lì è nata la storia.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Ho dovuto fare molte ricerche. Essendo lombarda ho dovuto farmi aiutare da amici siciliani per il dialetto e per farmi raccontare come si vive in una periferia siciliana. Ho letto reportage di giornalisti e alcuni libri di sociologi sul tema. Conosco la Sicilia, ma solo come turista e non è la stessa cosa. Per la parte investigativa mi sono fatta aiutare da un paio di amici poliziotti, e poi anche qui ho dovuto studiare un po’ di giurisprudenza.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Andrea de Carlo, Andrea Manzini, Lorenzo Marone, Maurizio de Giovanni tra gli italiani. Salinger, Hesse, Dan Brown, Elisabeth George tra gli stranieri.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Parma. Ho studiato, lavorato e vissuto a Milano. Un paio di anni a Roma, qualche mese in Inghilterra e qualche anno in Spagna.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho già finito il mio terzo romanzo, attualmente in revisione presso la mia agenzia letteraria di fiducia. Un genere diverso. La storia di una ragazza ribelle nella Puglia dei latifondi tra il 1939 e il 1950.
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