Equilibrio- Le Due Chiese
Edito da Anna Mantovani nel 2019 • Pagine: 360 •
Nella città di Torino, famosa per la sua storia magica, prende vita il più grande conflitto tra forze esoteriche: da un lato la Chiesa, rafforzata dal potere rigido ed inesorabile degli Angeli, dall’altro i Satanisti, in grado di evocare demoni spaventosi.
In questa guerra millenaria, una terza parte si adopera per mantenere la fragile tregua che permette la sopravvivenza del nostro mondo: il Dipartimento dell’Equilibrio Interno. I suoi membri, però, sono ormai anziani e incapaci di trovare forze fresche.Dopo molti anni senza nuove reclute, il dono viene inaspettatamente individuato in Laura, una ragazza completamente all’oscuro delle proprie capacità e del loro significato: il suo arrivo vedrà l’opposizione di Giovanni, sessantenne deluso dal mondo e membro di spicco del Dipartimento.
Torino e tutti i suoi misteri fanno da sfondo all’eterno conflitto tra Angeli e Demoni, mentre lo scontro più importante, tra bene e male, resta celato in una serie di omicidi che solo lavorando insieme i due protagonisti potranno risolvere.

«Un marocchino con la Nutella.»
«Un caffè decaffeinato.»
«Un caffè normale, macchiato caldo. Anzi, no, freddo.»
«Ok..»
Laura Fissore annuì, cercando di tenere a mente i vari ordini, e caricò il caffè nella macchina dietro di lei. Contemporaneamente, tirò fuori il latte dal frigo accanto al lavello e si accinse a riempire le piccole lattiere sul bancone.
Era un lunedì mattina e tutti avevano l’aria ancora vagamente assonnata, ma il loro numero e l’impazienza di quelli che non avevano ancora attivato i filtri delle buone maniere rendevano per Laura quel momento uno dei più frenetici della giornata, come d’altra parte per qualsiasi barista.
«Laura, sono finiti i croissant, valli a prendere di là», ordinò Matteo, il figlio del proprietario del bar, che sedeva annoiato alla cassa sfogliando distrattamente un quotidiano.
“Grazie mille per l’aiuto”, pensò Laura, scoccandogli un’occhiata di traverso.
Purtroppo aveva già imparato che era più facile far muovere una mummia del Museo Egizio piuttosto che Matteo; tanto valeva andare lei stessa a prendere i croissant.
Fece da sola, mentre i clienti del bar chiacchieravano distrattamente tra loro.
«Sembra che La Voisin l’abbiano ammazzato i mafiosi», disse uno, un tizio con degli occhiali che facevano sembrare i suoi occhi a palla ancora più sporgenti.
Una signora alzò le spalle: «Ma figuriamoci! Manco fossimo a Napoli.»
«Guardi che ormai quelli lì non sono mica solo giù nel Meridione. Sono dappertutto, pure in Val di Susa, pure a Bolzano.»
La donna continuava a non sembrare convinta: «Mah, se mi dice che hanno truccato gli appalti o preso qualche bustarella ci credo, ma che siano andati ad ammazzare un grande dirigente nel suo ufficio…»
«Certo che queste famiglie sono proprio sfortunate», aggiunse un altro, pensoso.
«Alla fine neanche tutti i loro soldi possono comprare la sicurezza. Pensa pure agli Agnelli e perfino a quelli lì, gli americani… i Getty» rispose il primo con aria soddisfatta, come se in qualche modo il potere democratico della sfortuna fungesse da livellatore sociale, poi si voltò verso Laura: «Allora, questo marocchino?»
Questa fece un salto: «Arriva subito.»
Iniziava a perdere colpi già di prima mattina!
Laura vide Matteo che la guardava in cagnesco e le venne la tentazione di tirargli in faccia la Nutella che stava spalmando nella tazzina trasparente.
Come se lui non dimenticasse mai niente. Anzi, con tutte le volte in cui i soldi nella cassa non collimavano con il totale degli scontrini…
«E persino il papa!» rincarò la dose la signora col caffè macchiato freddo «Sa che mia figlia è andata a Roma per il funerale? Ha detto che è stato bellissimo, così commovente…»
«Be’, ma il papa era vecchio», obiettò l’altro ragionevole. «È morto di malattia, nel suo letto.»
«Lui sì», concesse quello con gli occhi a palla, «ma quell’altro cardinale che hanno fatto fuori?»
Gli altri lo guardarono incerti.
«Perché voi non vi informate! Sui giornali hanno messo tutto a tacere, si capisce, ma ho trovato un articolo su internet che diceva che l’avevano trovato morto in una posizione strana, con le candele nere tutto intorno…»
La signora gli scoccò un’occhiata indulgente: «Ah, internet! Se uno crede a tutte le bufale che pubblicano lì sopra…»
«Me l’ha condiviso mio cugino, che è uno che di queste cose ci capisce. Ha lavorato anche per Telecupole», rispose quello, piccato.
Gli altri due si scambiarono un’occhiata complice, come se avessero sentito quel discorso mille volte e non avessero più voglia di discuterne.
Il tizio con gli occhiali che aspettava il marocchino osservò i muri sgranando i suoi occhi da gufo.
«Mi scusi se mi permetto, ma come mai avete appeso queste fotografie così brutte?» domandò. «Mi dica lei se sono dei soggetti: lì c’è solo una finestra, lì un muro… ma chi è questo cane di fotografo, si può sapere?»
«Sono io», rispose lei asciutta, con le orecchie che le bruciavano per l’imbarazzo.
Il tizio sbiancò: «Ah, ehm, non volevo dire…»
Laura si strinse nelle spalle: «Non fa niente. Divergenze artistiche», minimizzò, mettendogli il marocchino sul bancone un po’ troppo bruscamente.
«Ecco… ehm… insomma, sei tanto giovane, forse devi solo fare un bel corso», cercò di correggere il tiro, incoraggiante. «Sai, quelli dove ti insegnano dove mettere a fuoco, come fare le inquadrature…»
«Veramente sono laureata al DAMS», replicò lei, senza riuscire a trattenersi.
Questi la guardò senza capire: «E quindi?»
«Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo…»
«E quindi?»
Nell’angolo della cassa, Laura vide con la coda dell’occhio Matteo che si spanciava dalle risate.
Ci volle tutto il suo autocontrollo per non mandarlo a quel paese.
«Niente, non importa», rispose semplicemente al tizio occhialuto.
Questi, imbarazzato, scolò il suo marocchino in un colpo solo, come uno shot di vodka, poi si precipitò a pagare e fuori dalla porta insieme agli altri due.
Ormai il momento della ressa era passato e il bar era nuovamente deserto.
«Non ho ancora capito perché i miei ti hanno lasciato fare questa specie di “mostra”», disse Matteo, con voce flautata, mimando le virgolette con le dita. «Le tue foto fanno scappare i clienti.»
Laura passò il panno sul bancone, cercando di non rispondergli.
«Se proprio vuoi saperlo, ne ho venduta una proprio ieri!» sbottò.
«Oh, una su… quante sono?» domandò lui, facendo scorrere perfidamente lo sguardo sulla ventina di immagini esposte alle pareti. «Chi è quel pazzo che ha deciso di buttare così dieci euro? Tua madre?»
«No», ribatté lei, pensando tra sé e sé che se c’era una persona che avrebbe fatto di tutto per scoraggiare la sua “carriera” artistica, quella era proprio sua madre. «Un signore anziano. Sai, quello col papillon e il cappello, è venuto qui qualche volta.»
Era difficile dimenticarlo: oltre al fatto che lei non l’avrebbe mai scordato perché era stato l’unica persona ad acquistare una sua foto, aveva un aspetto abbastanza caratteristico, da gentiluomo dei film anni cinquanta.
Aveva osservato le foto a lungo, con attenzione, scegliendo infine il ritratto di un uomo sulla metropolitana.
Laura lo ricordava bene: quando l’aveva visto, in metro, intento a leggere, avvolto in una nebbiolina grigio-azzurrina, le era sembrato il soggetto perfetto per una foto: l’espressione concentrata, la posa, ma soprattutto i colori, il modo in cui la luce si rifletteva sul suo viso, sul giubbotto, tutto intorno a lui…
Dopo lo scatto, però, non era apparso nient’altro che un tizio dall’aria annoiata che leggeva il giornale in metro. La foto di per sé non era male comunque, perciò aveva appeso anche quella.
L’anziano l’aveva pagata e infilata con cura nella tasca interna del loden, come se fosse stata un tesoro prezioso.
Matteo ci pensò su, poi si illuminò: «Ah, sì. L’elegantone», annuì. «Be’, direi che è chiaro, è innamorato di te. Ti guarda sempre tutto intento.»
«Ma smettila. Avrà cent’anni.»
«Sì, è l’unica spiegazione che riesco a darmi per un acquisto così poco azzeccato», si fermò a riflettere. «Ora che ci penso, però, non so se dimostrerebbe più cattivo gusto ad apprezzare te o le tue foto.»
Laura si morse la lingua per non farsi scappare un insulto.
Per quanto il suo rapporto con Matteo fosse informale, in fin dei conti era sempre il figlio dei suoi datori di lavoro e non poteva mandarlo affanculo. Almeno, non troppo spesso.
Quando si era iscritta al DAMS non aveva pensato davvero che avrebbe finito col guadagnarsi da vivere facendo la cameriera in un bar, pensò amaramente.
Era sicura che sarebbe diventata una grande fotografa: era certa che nessuno riuscisse a rappresentare il mondo così come lo vedeva lei. Sarebbe stata innovativa, originale, una vera artista.
Purtroppo però, non appena terminati gli studi si era dovuta scontrare con la dura realtà: apparentemente c’era una ragione per cui nessuno tentava di fotografare le cose come le vedeva lei. Non interessavano a nessuno.
Avrebbe voluto poter dare la colpa al cattivo gusto degli acquirenti o alla mancanza di comprensione del suo talento o qualcosa del genere, e l’aveva fatto, per un po’.
Ma forse era giunto il momento di venire a patti col fatto che, per la fotografia, proprio non era portata.
Le sue foto erano… be’, non brutte, non proprio, pensò, facendo scorrere lo sguardo sulla serie di immagini appese ai muri del bar.
Sicuramente la tecnica l’aveva imparata: sapeva usare l’esposimetro, fare delle belle inquadrature, riusciva persino a far apparire fotogeniche le persone nei ritratti.
Però sembravano così banali, piatte, senza personalità.
Come aveva detto il tizio con gli occhi a palla, veniva da chiedersi perché qualcuno avesse deciso di immortalare quei soggetti.
Le capitava spesso, girando per la città con la macchina fotografica, di incantarsi davanti a qualche scorcio di paesaggio, davanti alla finestra di un edificio illuminata di una luce particolare, oppure di ammirare la bizzarra luminescenza che delineava la silhouette di qualcuno incontrato per strada; eppure, quando rivedeva le immagini sullo schermo del suo computer, non era mai la stessa cosa.
Forse avrebbe dovuto semplicemente rassegnarsi al fatto che la fotografia non era la sua strada.
Probabilmente avrebbe dovuto dare ascolto ai suoi genitori, che avevano cercato di convincerla a intraprendere un corso di studi più serio come Economia, o Medicina.
Nelle loro intenzioni, lei avrebbe dovuto avere un curriculum accattivante, anzi, curricula, uno diverso per ogni azienda a cui lo mandava; e poi i colloqui, la concorrenza, la competitività…
Forse era davvero meglio trovarsi dov’era, nonostante l’occhio le fosse caduto su Matteo che si grattava le chiappe con circospezione.
La porta del locale si aprì e una folata di vento la fece rabbrividire.
Tutti dicevano che faceva un caldo innaturale per essere gennaio, ma le mattine erano comunque molto fredde.
Per un attimo le sembrò che il bar fosse invaso da una luce accecante, ma era solo il sole nascente che colpiva il vetro.
Quando la porta si richiuse, Laura vide che era tornato il signore della foto.
Dietro le sue spalle, Matteo disegnò un cuore congiungendo i pollici e gli indici delle mani.
Che imbecille, pensò lei.
«Buongiorno», salutò invece il nuovo arrivato.
«Cerea, tota. Un cappuccino, per favore.»
«Arriva.»
Preparò il cappuccino con attenzione, con un’abbondante spruzzata di cioccolato in polvere (si era resa conto che la quantità di cacao che metteva era direttamente proporzionale a quanto le era simpatico il cliente) e la fogliolina disegnata con la schiuma.
L’anziano si mise di nuovo ad osservare le foto, soffermandosi in particolare su una veduta laterale di Piazza Statuto, uno degli angoli della città che Laura trovava più affascinanti; probabilmente una delle immagini migliori, pensava lei, anche se quando aveva osservato la piazza lo scorcio le era sembrato molto più vivido.
Per un attimo sperò che avrebbe comprato anche quella, invece, quando il suo cappuccino fu pronto, l’uomo si limitò a tornare al bancone per berlo.
«Sceglie dei soggetti molto interessanti», disse dopo un po’.
«Ehm, grazie», rispose lei.
Le sue foto erano strane per chiunque, e non in senso positivo… Quel signore in effetti non sembrava uno con tutte le rotelle a posto, bastava guardare come si vestiva.
«Mi farebbe una cortesia, signorina?» chiese quello alla fine.
«Certo», rispose, un po’ sorpresa.
Poteva vedere che, dal suo angolo, Matteo sembrava protendersi oltre il registratore di cassa per ascoltare la loro conversazione.
L’anziano si mise a cercare qualcosa nella tasca del cappotto: «Ho una cosa che dovrebbe vedere.»
«Come, scusi?»
Si avvicinò, sporgendosi verso il bancone, tanto che lei poté vedere le macchie dell’età sul suo viso e i suoi occhi, azzurri, vagamente acquosi.
«Guardi qui.»
Estrasse qualcosa dalla tasca, molto velocemente: un lampo rosso-arancio, simile in qualche modo a quello di un puntatore laser, che la abbacinò per un istante.
«Ma cosa…?» protestò.
Il tizio però aveva già riposto qualsiasi cosa avesse generato la luce, e si era diretto alla cassa, dove Matteo aspettava, apparendo un po’ più assente del solito.
Quando l’uomo fu uscito dal bar, Laura domandò: «Che cos’è stato quello?»
Matteo parve riscuotersi di colpo: «Quello cosa?» chiese di rimando, guardandola come se fosse un po’ fuori di testa.
Laura aprì la bocca per rispondere, poi decise di lasciar perdere: «No, niente», rispose, sciacquando la tazza del cappuccino.
La stanza le sembrò per qualche istante ammantata di una luce pulsante, ma probabilmente, si disse, era solo il riflesso del sole sul vetro.

Come è nata l’idea di questo libro?
Sono nata a Torino e ho sempre pensato che le leggende e i miti della mia città fossero affascinanti e perfetti per un romanzo fantasy.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La prima stesura è stata abbastanza facile, la parte più complicata è stata il lavoro di editing!
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Joanne Harris, George R.R. Martin, J.K. Rowling, Terry Pratchett, Neil Gaiman…
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Abito a Moncalieri. Ho vissuto a Torino e nella zona di Alba.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto per pubblicare un romanzo di fantascienza, ma questa volta in inglese. Mi piacerebbe continuare a scrivere romanzi nei generi che amo, cioè fantascienza e fantasy.