
Edito da Valeria Laudi nel 2019 • Pagine: 201 • Compra su Amazon
Erano gli anni '80, i tempi della Milano da bere. Un momento storico unico, in cui guardavamo il mondo e il futuro con gli occhiali dalle lenti rosa. La mente era sgombra di preoccupazioni, e tutto ci sembrava possibile.
Sullo sfondo di quegli anni felici e spensierati, "Erano bei tempi" narra l'estate del 1984 di un affiatato gruppo di giovani amici in vacanza a Forte dei Marmi. Allora le giornate scorrevano lente, tra spiaggia, mare, sere d'estate, Capannina, cinema all'aperto, mercato, Versiliana, Ferragosto, fuochi di fine estate, e tanto altro ancora.
Realtà e finzione si intrecciano, fino a confondersi fra loro, in un romanzo divertente e a tratti esilarante, spaccato di un'epoca allegra ed euforica che, purtroppo, non c'è più. Proprio come la nostra gioventù.
Un libro per chi c'era, e vuole ricordarsi come eravamo, cosa facevamo, come ci vestivamo, cosa mangiavamo, cosa ascoltavamo, noi giovani degli anni '80, ma anche per chi non era ancora nato, e vuole fare un tuffo nel passato per conoscere quel periodo grandioso.
"Erano bei tempi" è il libro dell'estate 2019. Una storia di costume, vacanze, cibo, amicizia e amore, da leggere sotto l'ombrellone.

10. Cinema all’aperto
«Buzz buzz, buzz buzz.»
Mi svegliai di soprassalto, senza riuscire a realizzare che ora fosse. Alzai il ricevitore, biascicando a malapena un: «Sì», sebbene ancora molto assonnato.
«Oh Valé, lo sai che sono le sette passate? Hai dormito più di tre ore» era Jacopo.
Continuò a parlare a raffica, dicendomi frasi che ascoltai poco e capii ancora meno, tipo: «Rientrato… spiaggia… vista… giardino… tardi».
Ecco, quello lo capii. Voleva forse dirmi, che se non mi fossi data una mossa, si sarebbe fatto tardi per la serata? Tutti i torti di certo non li aveva. Avrei dovuto ancora farmi la doccia, vestirmi, scendere a cena, e l’appuntamento era fissato per le otto e mezza in centro.
Mentre cercavo di organizzarmi mentalmente, riuscii in qualche modo a rispondergli: «Hai fatto bene a chiamarmi. Faccio in un baleno».
Ciò detto, mi trascinai giù dal letto, mi spogliai e girai i rubinetti della doccia. Di sicuro la pioggia battente di acqua calda mi avrebbe aiutata a riprendere contatto con la realtà. E infatti così fu.
Aprii poi l’armadio. Il primo pensiero fu che non avevo tutto questo tempo per stare a fare la solita sfilata per scegliere l’abito perfetto, tanto andavamo al cinema tra amici. Mi infilai così un jeans di Armani a vita alta e taglio a carota, una camicia bianca di cotone e le Timberland da barca. Considerato che il cinema era all’aperto, presi saggiamente anche un maglioncino di lana color rosa corallo.
Guardai l’orologio, erano venti alle otto. Avevo recuperato bene sulla tabella di marcia, ma non significava di certo che avrei potuto dedicarmi con tutta calma a una cena luculliana.
Aprii lo stesso il menu del giorno dell’albergo. Era decisamente appetitoso. Come sempre.
Antipasti misti al carrello
Primi piatti
Penne all’arrabbiata
Risotto alla milanese
Lasagne al forno
Gnocchi alla parigina
Potage Parmentier
Secondi piatti
Salmone in bellavista
Arista di maiale al forno
Chateaubriand
Manzo alla Stroganoff
Filetto al pepe verde
Omelette ai funghi
Contorni
Ratatouille
Patatine fritte fiammifero
Dessert
Budino alla vaniglia
Budino al cioccolato
Pavlova
Torta Saint Honoré
Macedonia di frutta fresca
Dopo una rapida lettura, decisi però di prendere subito un antipasto misto al carrello, giusto per portarmi avanti con i lavori, e a seguire una penna all’arrabbiata. Niente dolce, tanto avremmo preso il gelato prima del cinema.
Insieme agli spaghetti alla puttanesca, i bucatini all’amatriciana, le farfalle al salmone e vodka, i fusilli al tonno, i tortellini panna, prosciutto e piselli, e gli spaghetti aglio, olio e peperoncino (che ancora chiamavamo per esteso, e non con l’acronimo AOP), le penne all’arrabbiata erano uno dei primi piatti che andavano forte negli anni ’80, nonché uno dei cavalli di battaglia dello chef dell’Alcione.
A tempo di record ingurgitai il mio pasto. Tanto che alle otto e venti mi presentai fuori sotto il patio. Jacopo e Marco mi stavano già aspettando in sella alle loro bici, reggendo per il manubrio anche la mia. Il tempo di mettermi il golfino sulle spalle ed ero già in sella anch’io. Percorremmo viale Morin, rallentando e facendo lo slalom tra la gente assiepata per l’appuntamento serale davanti al Caffè Morin e al Caffè Milano. Dopo dieci minuti, alle otto e mezza precise, eravamo puntualissimi davanti alla gelateria. Gli altri erano già tutti lì e stavano leggendo i gusti dei gelati, giusto per ingannare l’attesa.
Nei colorati e ridondanti anni ’80, era ovvio che anche i gusti e i colori del gelato non potessero che essere allegri ed eccessivi. In quegli anni ci fu anche la moltiplicazione dei pani e dei pesci. E fu così che, accanto a panna, crema, vaniglia, pistacchio, nocciola, cioccolato, stracciatella, limone e fragola, i pochi gusti classici della nostra solida tradizione gelatiera, che fino ad allora si contavano sulle dita di due mani, si potevano trovare ora i nuovi gusti, zuppa inglese, torroncino, cassata, noce, pesca, albicocca, melone, marron glacé, e altre delizie che prendevano spunto soprattutto dal colorato banco della frutta.
Ovviamente la vaniglia era semplicemente vaniglia, e non vaniglia del Madagascar, e il cacao, cacao, non cacao al 70%, cacao dell’Ecuador, e via dicendo. Nel linguaggio dell’arte gelatiera il complemento di specificazione non era ancora contemplato.
La vera svolta furono però le idee, per così dire, più innovative. Qualcuna riuscì anche a resistere nel tempo, come il bacio e, in fondo, anche l’After Eight. Mentre dei gusti Variegato all’amarena, Malaga, Puffo e Puffetta se ne sono perse le tracce. E nel caso di questi ultimi due, verrebbe proprio da dire “per fortuna”. Come è facilmente intuibile, questi due gusti originali furono ispirati dai cartoni animati dei Puffi che impazzavano in TV in quegli anni. Di un improbabile colore azzurro acceso l’uno, e rosa confetto l’altro, erano però accomunati entrambi dallo stesso sapore indefinito. In realtà non sapevano di niente in particolare, ma quel niente era, tuttavia, piuttosto dolce e stucchevole.