
Edito da BookSprint nel 2018 • Pagine: 438 • Compra su Amazon
La giovane Commissario di polizia, Giorgia Garbato, affascinante siciliana trapiantata a Torino, investiga sull’omicidio di una prostituta russa, Alina, uccisa brutalmente di fronte alla figlia di soli 5 anni che, forse, ha visto in volto l’assassino. Le indagini conducono a un sedicente centro estetico che, oltre a sfruttare giovani ragazze dell’est, pare coinvolto in una serie d’ inquietanti esperimenti con le cellule staminali, commissionati da una multinazionale farmaceutica francese, la Genetique. Alla multinazionale appartiene anche Philippe Adorno, un misterioso uomo innamorato della vittima. Sulle tracce del manager, la commissaria parte per Parigi dove, collaborando con la Prefecture de Police, scopre che la Genetique effettua pericolose sperimentazioni finalizzate a testare pionieristici metodi per la medicina estetica. Ha così inizio un’intricata trama che vede un variegato susseguirsi di omicidi (oltre ad Alina, Adorno e la sua amante Suha, bellissima e inquieta top-model) e di intrecci che si manifestano nel contesto di una coralità di personaggi (la giornalista d’assalto Michelle, arrivata a Parigi per un’inchiesta su quegli esperimenti, il ricercatore Bernard, diventato barbone per paura delle rappresaglie della Genetique, il musicista dannato Maxime, principale sospettato della polizia, il medico e criminologo Marcel, antico amore di Giorgia e l’autista André, affascinante impiegato della Genetique) e che approderà ad un finale del tutto inaspettato che vedrà, inoltre, sfilare le immagini misteriose e affascinanti di due città affini, Torino e Parigi, come in un incantevole book fotografico.

1 Parigi
11 agosto 2011, ore 04:00 (a.m.)
Era ancora notte fonda, buio pesto e Risin si era bruscamente svegliato da un sonno inquieto, superficiale, un alternarsi di dormiveglia incessante. Quella notte gli incubi erano stati l’unica sua compagnia e quel picchiettare insistente della pioggia gli sembrò insopportabile. Guardò oltre la finestra la luna coperta di nuvole, con lo sguardo distante, perso in chissà quali pensieri: «Oggi anche il tempo sembra avercela con me… merd! Non potrebbe essere diversamente, soltanto nubi scure e pioggia!» mormorò in modo quasi impercettibile, ma consapevole che quella era ormai la bonne decision da prendere… aspettare non aveva più senso! Il letto era terribilmente sfatto, quasi violentato, le lenzuola eccessivamente stropicciate per accogliere una sola persona, come se portassero i segni di ferite dolorose! Quella era stata una notte molto, molto agitata, era evidente! Dal letto, puntò gli occhi verso una pila di dischi in vinile, su un piccolo comò a tre cassetti, accanto alla finestra, per lui un reliquiario preziosissimo. «La fin est arriveè!» ripeteva ossessivamente! Si alzò e si avvicinò al comò, sollevò uno di quei vecchi dischi da collezione, ne fissò la copertina pieno di emozione, come si fissa la fotografia di una persona cara che non c’è più e con l’indice destro iniziò a seguire il contorno dell’immagine maschile sua gemella che campeggiava quella copertina. Procedeva lentamente, come se ogni tratto di quella figura gli richiamasse alla mente precisi istanti della sua vita, soprattutto quelli delle ultime settimane; a volte sembrava indugiare un poco, poi riprendeva a muoversi più sicuro. Inserì il disco sul lettore e assaporò in silenzio quella musica che era stata la ragione di tutto e, per un attimo, tornò con la mente a quando era un ragazzo… il ragazzo da lei tanto amato… poi: “Avevi ragione, Jim, la Morte è l’unica nostra amica! È arrivato il momento di mettere tutto in chiaro, soprattutto con quella poliziotta italienne, ormai ha capito tutto!” Intanto si muoveva nella stanza nervosamente, tenendo tra le mani la copertina dei Doors, dove il volto efebico di Jim Morrison, dai capelli morbidi che scendevano sulle spalle, sembrava un Gesù laico a cui dare la spiegazione ultima, definitiva ai suoi gesti estremi. “Perché?” Era la domanda che lo angosciava e alla quale seguitava a replicare “Perché ognuno di noi dovrebbe avere un imperativo forte, senza compromessi, un principio per cui tutto va sacrificato, che guidi ogni nostra azione nel corso della vita! Io…io il mio l’ho trovato… lo so, non tutti potranno capirmi, a volte sembra solo crudele e spietato ma è giusto! Giusto!
Per questo l’ho servito, l’ho servito fino in fondooo!!! E chi meglio di te, Jim, può capirmi!?” Chiii!!! Era visibilmente alterato ed era come se ricercasse, in quella copertina, un’approvazione che non poteva arrivare, come un allievo devoto che di fronte ad un’azione importante, decisiva, abbia bisogno del conforto del suo maestro. Guardò nuovamente dalla finestra la pioggia che insistente, continuava a bagnare la città, avvolgendola in un velo scuro e grigio; non lo disturbava più, anzi, forse era proprio la cornice più adatta alla situazione che da lì a poco avrebbe vissuto. Poi tornò a fissare gli oggetti e i mobili di quella stanza, come se quello fosse un commiato muto al suo passato… alla sua vita. In quel momento si ricordò che, da qualche minuto, l’acqua calda in bagno scrosciava, creando vapori soffusi simili a quelli che la pioggia, fredda, creava fuori. S’infilò nella vasca da bagno per cercare il sollievo dell’acqua. Chiuse gli occhi, mentre sentiva gli spruzzi rimbalzare sulle spalle; si accarezzò collo, spalle e petto, poi proseguì quel massaggio al pube, gambe e piedi. Riaprendo gli occhi, si osservò e poi ancora, torcendosi prima da un lato e poi dall’altro, come per verificare la tonicità di quel corpo che era lo splendido risultato di tanto tempo, forse troppo, trascorso a scolpirsi sino ai muscoli più anonimi e minuti, perché soltanto in questo modo, lui sentiva di essere più forte del tempo. Uscì dalla vasca coprendosi con un elegante accappatoio beige. Aprì la porta del bagno e diresse lo sguardo verso il corridoio che conduceva alla stanza da letto aperta, dalla quale si scorgeva la luce stanca e velata della finestra, una grande finestra panoramica. Vi corse incontro, lasciando cadere l’accappatoio: l’aprì, vi si affacciò: voleva sentirsi libero da tutto, sentire solo l’aria onesta e fresca che da quella apertura proveniva. Dalla strada si notava il suo bianco e nudo mezzo busto bagnato che rifletteva le luci artificiali e piovose di Parigi. Continuò a bagnarsi… e… pianse! “C’è chi dice che la pioggia è brutta, ma non sa che permette di girare a testa alta con il viso coperto di lacrime (JM)” pensò. Poi si rivolse allo specchio, uno specchio antico, dalla lamina d’argento consumata, posto accanto al letto, su cui i suoi occhi riflettevano una calma curiosa, profonda ma che gridava silenzio, nel silenzio ormai quasi esaurito dagli ultimi bagliori della notte: d’un tratto, rivolse le mani ai capelli, quasi volesse strapparli e una voce isterica, ruppe quella strana, fragile, armonia: “Mio Dio che cosa hai fatto!” Tre figure sfilarono sullo specchio: tre scene di morte, tre colpi di pistola, tre sguardi di terrore, tre volti insanguinati che lo guardavano con aria seria, imperturbabile, non sembravano provare pietà per lui che soffriva tanto! E lui, vedeva o sognava? Era un mistero ciò che nella sua mente stava accadendo: realtà e immaginazione danzavano sfrenatamente. Qualche istante dopo, ancora soggiogato, ipnotizzato dalla visione spettrale di quelle anime svuotate, impunemente proiettate, sbattute su quello specchio, si riebbe inaspettatamente e con voce roca, rabbiosa, liberatoria, per una collera implosa da tempo, cominciò a ripetere come fosse un mantra: “Vi ho fatto un favore, mi ringrazierete tutti, tutti, sì tutti… Mister Mojo mi ringrazierai anche tu!” Poi, finalmente, giunse l’alba, con la rasserenante luce del sole e il momento di vestirsi di tutto punto, come sempre del resto: non poteva presentarsi all’appuntamento più importante in disordine! Già, sarebbe stato un altro imperdonabile errore…
32 Dopo la sfilata
14 giugno, Hotel San Regis 12, rue Jean Goujon, ore 01:00 (a.m.)
Suha, con un isterico automatismo, pigiò il tasto del cellulare, per chiudere la conversazione con un tipo… un musicista, col quale aveva avuto un flirt, una cosa da poco… “troppo ragazzino!” Si convinse però che in quel momento, l’appuntamento con quel ragazzino era necessario: niente più che una ripicca, uno sfogo… voleva fargliela pagare! Annusò le tuberose: era stata una serata da urlo, un superlativo successo in passerella ma, per lei, era solo una serata triste. Era finito tutto, tutta la sua felicità: il sogno d’amore si stava trasformando in un incubo. Lui le aveva detto addio, proprio mentre lei voleva dirgli resta, resta per sempre! Accese ancora una multifilter e bevve un sorso del suo champagne… poi, mentre gingillava tra le dita il calice nervosamente, con lo sguardo perso nel vuoto, assaggiò distratta un’ostrica, poi un’altra – la prima passò l’esame, la seconda no – e la sputò nel water. «Puhhh!!! Che schifooo!!! Puttane e maiali lavorano in questo albergo e non sanno neppure scegliere le ostriche migliori!» Subito chiamò la reception e…: «Stanza 6, che cavolo ci state a fare nel vostro ristorante a scaldarvi il culooo? Vi chiedo le ostriche migliori e mi portate la cacca! Mangiatele voi queste! Ho fame!» «Subito madmoiselle, le portiamo subito altre ostriche… scusi, due minuti e siamo da lei!» Suha sciolse i capelli… neri, lucidi, setosi e li pettinò con una spazzola d’oro, ornata di pietre viola che le aveva regalato un sultano, desolato per l’inadeguato dono: quelle pietre preziose, erano solo un vano tentativo di assomigliare al colore dei suoi occhi, così era scritto sul biglietto che accompagnava il regalo. Era bella, incomparabilmente bella davanti allo specchio e, quella sera, lo era di più, se mai potesse essere possibile; tutti gli occhi in delirio ai bordi della passerella, poco prima, erano stati una delle tante conferme forti del suo fascino indiscusso che però, ora quasi la soffocava non percependone più il valore. L’abito che aveva dato l’incipit alla sfilata, chissà quante lo avrebbero voluto indossare, ma nessuna, nessuna, lo avrebbe saputo portare così! Intanto, dopo un leggero, titubante “toc, toc!”, si presentò alla porta, una cameriera del bar dell’Hotel, con un vassoio d’argento, impreziosito da un centrino bianco sul quale, un piatto in Lalique, conteneva vari e deliziosi tipi di ostriche che depose sul piano della specchiera, come Suha le disse di fare. La modella era ancora inferocita per il gusto di marcio in bocca che quell’ostrica le aveva procurato e, con un gesto inconsulto, senza speranza di errore sulla traiettoria, mentre l’innocua ragazza stava uscendo dalla stanza, le lanciò addosso la spazzola che la colpì alla fronte; la poverina, corse via piangendo e Suha, senza provare alcuna compassione, tornò allo specchio e iniziò a maltrattarsi la chioma, pettinandola bruscamente, mentre assaggiava soddisfatta e con un sorriso isterico, le freschissime e tanto agognate ostriche, forse per compensare il pensiero distruttivo che continuava ad angosciarla. Tentò di allontanarlo, rivivendo la gloria di quella serata, nel ricordo degli ormai virtuali suoni, rumori, voci, sguardi insistenti, curiosi, maliziosi, invidiosi, adoranti della folla in delirio. Ne ebbe, poco dopo, nausea e un pensiero, un’immagine, s’insinuò di nuovo prepotente: un uomo dagli occhi nocciola che, pochi minuti prima, le aveva fatto compagnia: divenne di nuovo triste. Le aveva detto che non l’amava che pensava di amarla, di poterla guarire dalle ferite della sua anima con l’amore, liberandola dai fantasmi del passato ma aveva fallito, lui era ancora innamorato di un’altra e glielo aveva detto con un cuore così cristallino che lei non riuscì a replicare, a sostenere la difesa del suo amore, il suo amore per lui. Ora sentiva che le mancava il respiro, le girava tutto intorno, voleva morire! Le venne voglia di toccarsi… poco a poco, sentì il liquido che scorreva tra le dita e il profumo sessuale che emanava quella prospettiva. Ne provò un godimento crudo e dolce: immaginò che lui la stessa abbracciando, toccando, baciando ancora una volta… l’ultima e disse: «Chissà se ti rivedrò, se cambierai idea: di giorno tenterò di sopravvivere, ma la sera ritornerai e mi torturerai.» Suha si fece venire in mente una poesia che, qualche tempo prima, quell’uomo le aveva sussurrato durante una notte d’amore; era stata scritta proprio da lui, insieme ad altre, racchiuse in un piccolo libro che poi le aveva donato. Corse a cercarlo, lo trovò, decise di leggerla e, per un attimo, si sentì confortata al pensiero che quell’amore non sarebbe potuto finire così: Con occhi silenziosi, vedo una bianca figura, miraggio dei sensi che, come un’onda schiumosa, mi travolge con il suo odore marino forte. Sei tu, che in questo gioco senza partita, inconsapevole vinci, sull’infinito mistero del tempo! E ti lasci cullare dal giocondo senso e gusti il nettare dell’incoscienza, in un piatto speziato e raffinato, e ti leghi alla grazia speciale della mia meraviglia! Il sogno mi viene incontro e si mescola al calore dell’amore, al sapore della passione e e come un alchemico richiamo, si ripete nelle sere… ma poi piange perché sei lontano!
Subito dopo, comprese che non c’era più nulla da fare…era finito, l’amore era finito davvero e lui non lo avrebbe più rivisto, così, cominciò ad odiarlo; la poesia era di certo stata scritta per quella donna! Si sentì sola, usata, manipolata, ormai derubata di tutto, anche dei sentimenti. Suha, quella vera, si rivelava a sé stessa, ai suoi occhi, guardandosi allo specchio e leggendosi con tutta la disperazione che poteva, per un amore ormai abortito: disperazione che nessuno avrebbe mai scoperto, dal momento che a quella parte di lei, aveva sempre blindato l’accesso e buttato via la chiave… giù, più giù, nel profondo viola dei suoi occhi che, ora, finalmente, stavano piangendo. Quelle gocce saline, percorrendo il viso liscio e forzatamente inespressivo, erano gonfie ma silenziose, non potevano esporsi a giudizi altrui, come se la pietà per sé stessa, nella consapevolezza delle passate sofferenze, non le concedesse altro che… il silenzio. Poi, di nuovo la porta che Suha aveva dimenticato di chiudere a chiave si aprì e lei indispettita, per essere stata ancora una volta violata, anche se solo nei pensieri, si voltò e gridò: «Puttanellaaa, ancora tu? Che vuoi…?» Un colpo di pistola silenziato s’indirizzò senza scampo sulla sua testa: un colpo di precisione che si conficcò sulla fronte, come un terzo occhio. Suha, ebbe solo il tempo di fissare sgomenta la figura malvagia che le stava di fronte e la sua vita, con una potente accelerazione, si spense, con la nebbia e subito il buio negli occhi, reclinando il capo insanguinato sulla specchiera. Voleva morire e c’era riuscita ma, di certo, non avrebbe immaginato così! Poi il visitatore crudele le toccò il polso, era inerme, sembrava morta… era morta! Diede uno sguardo d’insieme alla stanza, rituale automatismo degli assassini, per non fare errori, per non disseminare alcuna sua traccia e lasciare la stanza perfetta, nell’oscena armonia che, da macabro regista, aveva creato. Fu allora che soddisfatto e soggiogato da quel teatrale realismo di morte, si accorse di essersi macchiato di sangue la giacca e, con una mossa disinvolta, ispirata da potente desiderio di perfezione narcisistica, posò la pistola sulla specchiera per recarsi in fretta in bagno. Mentre l’acqua scorreva, sentì un rumore. Il ragazzino era lì, davanti al corpo inerme, ma ancora caldo, guardava lo specchio ridotto in piccoli frammenti insanguinati che parevano moltiplicare mille e mille volte quel fatto tragico, osservava il suo volto perplesso, riflesso e spezzettato su quelle schegge di cristallo, scorgeva un’immagine imprevista e passeggera. Era tutto assurdo, confuso, surreale, pazzesco e, nella sequenza lenta dei suoi movimenti, scanditi in immagini malferme, sfuocate che sembravano ripetersi all’infinito… il ragazzino era ancora lì, dissociato dall’orrore a cui, però, sentiva di appartenere. Dr. Jekyll e Mister Hyde a confronto? “Era stato lui?! Sì era stato proprio lui!” pensò. Prese l’arma e corse via col cuore in gola.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea è nata improvvisamente, non ho mai avuto ispirazioni di scrittura, anche se ho sempre avuto tendenze artistiche. La scelta del giallo era comunque prevedibile, ispirata dal mio lavoro nella Polizia di Stato, per questo il giallo ha scelto me! Quando scrivo, da investigatrice quale sono, è come se stessi realmente indagando, partendo da un omicidio e facendo confluire le linee narrative che compongono gli episodi, connessi tra di loro, in un unico punto che svelerà l’enigma. Il giallo ha la sua perfezione, tutto deve coincidere, indizi, nomi. Quando scrivo, proprio perché mi comporto come se stessi investigando, non uso la mappa ma la bussola. Non conosco ancora cosa accadrà, per questo non ho in mente tutta la trama (mappa) ma con una bussola pensante vado avanti, momento dopo momento e così i miei personaggi, che si muovono in una storia, diventano tridimensionali, li lascio agire come vogliono, non posso costringerli a fare nulla, sono loro, con il loro temperamento, con le loro potenzialità di vita a esprimersi in assoluta libertà: io cerco solo di coinvolgerli, di creare delle ambientazioni con piste che invento, vere o false, con colpi di scena, con depistaggi. Non mi piace schiacciare l‘occhiolino al lettore svelando alcune anticipazioni sulla trama che conducono alla risoluzione del giallo: in questo sono democratica, tutti, lettori e personaggi, hanno lo stesso trattamento, non ci sono privilegi.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Confucio diceva: ‘Scegli un lavoro che ami e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua’. Scrivere un libro è un’espressione artistica piacevolissima, è un’attività che si sceglie spontaneamente non si impone, per questo non è un vero lavoro. Non è facile comunque scrivere, occorre immaginazione per inventare gli intrecci che compongono il plot e rigore logico per organizzare il percorso di una storia, cercando di mantenere un buon tempo narrativo e così evitare che il lettore si annoi.Essendo però una passione, scrivere diventa facile, perché non si smette di pensare e si comincia a scrivere d’impulso, continuando all’infinito anche se si consumano tutte le energie fisiche e mentali. Il tempo passa senza che ce ne si accorga e così ci si ritrova ancora a scrivere a tarda notte.Si fatica ma non ci si accorge di faticare.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Amo la scrittura, ma amo anche il cinema per cui, oltre agli scrittori, adoro molti sceneggiatori e registi: in fondo i films, a differenza dei libri, che si leggono e si immaginano, hanno molte analogie con la scrittura anche se nel cinema, il veicolo di contatto con lo spettatore è la visualizzazione virtuale di una storia e il suo ascolto, ossia l’impiego dei sensi mancanti nella lettura: quindi, cinema e scrittura si compensano, sono affini, avendo un denominatore comune, una storia da raccontare della quale fare tesoro, esperienze, anche se indirettamente.Per quanto riguarda la lettura mi sento affascinata più dai singoli libri che dagli autori stessi, anche se riconosco che senza di loro i libri non esisterebbero. Comunque non tutti i libri dello stesso autore hanno la stessa bellezza. Mi sono lasciata entusiasmare dalle spy story, dai thriller americani, in particolare da quelli di Ken Follet verso i quali c’è stato amore a prima vista, ad es. ‘La Cruna dell’ago, Il terzo gemello e poi anche verso alcuni thriller di Stephen King, in particolare Shining, conosciuto anche in versione cinematografica nella magistrale regia di Stanley Kubrick e nell’interpretazione, altrettanto magistrale, di Jack Nicholson, e poi ancora sono affascinata da alcuni legal di John Grisham, come il socio e di Scott Turow come ‘Presunto innocente’, associato al bellissimo film del regista Alan J. Pakula, interpretato dalle accattivanti performances di Herrison Ford e di Greta Scacchi. Non dimentico poi di rileggere, quando posso, Agatha Christie, perché nei suoi intrecci, spesso, riconosco delle analogie con il mio stile. Tra le mie preferenze, quindi, non ci sono necessariamente autori di nicchia, perché la bellezza può essere ovunque, anche in un circuito commerciale. Tutto questo non mi impedisce di seguire i festival del cinema, i concorsi letterari, anche di minore portata, per scoprire perle dell’editoria e della cinematografia sommerse nei fondali dell\’oblio, perché opere poco sponsorizzate. Aggiungo la passione per il giornalismo, per questo il tema che ho scelto per il romanzo è un tema d’inchiesta e continuerò, con i prossimi libri, su questo tracciato investigativo-letterario: in questo modo per me scrivere è diventato e diventerà utile due volte, sotto il profilo morale e sociale. Dentro di me, quindi, sento tante vite che, grazie alla scrittura, si conciliano tutte.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo da anni a Torino, una città elegante, piena di risorse culturali ed eventi sociali, artistici di vario genere, anche letterari. Sono una frequentatrice del Circolo dei lettori di Torino che mi ha dato e continua a darmi l’opportunità di conoscere tanti scrittori italiani e stranieri, consentendomi di sentire dalla loro viva voce, idee e percorsi letterari che hanno dato fondo alle loro ispirazioni. Non manco poi di frequentare il grande evento italiano della scrittura, il salone del LIBRO, dove ho modo di conoscere e confrontarmi con le novità letterarie proposte da scrittori di fama mondiale. Palermo, la mia città d’origine che raggiungo spesso quando posso, è rimasta nel mio DNA e mi faccio coccolare ed ispirare dai suoi colori e dalle sue bellezze. Ho ancora il mio studio a casa dei miei, dove scrivo, soprattutto d’estate, guardando il mare dalla finestra che vi si affaccia e ammirando le indimenticabili variazioni di luce del cielo che si avvicendano durante la giornata. Questo stimola molto la mia scrittura anche se, però, non ho una preferenza di habitat quando scrivo. Potrei trovarmi a scrivere ovunque: è il mondo che mi ispira.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Non smetterò di scrivere! Sarebbe un sacrilegio non farlo. Il prossimo libro riguarderà la corruzione e il cinema. Non anticipo nulla di più, sarà una sorpresa. Vi aspetto tra le pagine de ‘L’estetica dell’assassino – Identikit di un’altra vita’ cari investigatori lettori, perché così vi immagino, intenti, investigando nella lettura, a tentare di anticipare la scoperta dell’assassino che vi attende nel finale della storia.
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