
Edito da Maria Lucia Furnari - Martina Spalluto nel 2020 • Pagine: 131 • Compra su Amazon
Questo libro è la biografia di Lenci De Santis, esule fiumana che giunge nei campi profughi di Termini Imerese. Si innamora e si sposa con il monrealese Pippo Furnari. E' lei che racconta alla figlia Marilù e alla nipote Martina, tutte le vicissitudini trascorse a Fiume durante il periodo post-bellico e durante l'invasione dei partigiani titini, l'esodo da Fiume e la definitiva sistemazione in Sicilia.
La vita da adulta le regalerà le gioie di una famiglia "normale" ma inesorabilmente il ricordo delle vicende vissute la accompagnerà fino a sfociare proprio come un “fiume” nel desiderio di racconto affinchè il passato non venga dimenticato e sia chiave di lettura per il presente. Il ricordo delle foibe accompagnerà la vicenda umana della protagonista la cui vita è stata caratterizzata dalla riservatezza. Nell'età avanzata decide di raccontare per tramandare questi ricordi .
Questa è una storia, poco nota a tutti; vi è stato un disinteresse da parte dell’opinione pubblica ma che è venuta alla ribalta dal 2004 anno in cui si è stabilito di celebrare il “Giorno del Ricordo”.
La storia dell'esilio giuliano-dalmata presenta diversi punti in comune con l'attuale esodo dall'Africa sub-sahariana. In questo libro inoltre viene evidenziata la generosa accoglienza da parte del popolo siciliano. Nel primo capitolo è descritta tutta la storia di Fiume dalla fine della prima Guerra Mondiale fino al 1948 anno dell’esodo.
Questa storia deve essere conservata e trasmessa alle nuove generazioni e l’autrice ama definire questo libro: UNA MEMORIA PER IL FUTURO.

3. LA VITA E L’ESODO DA FIUME
Istriani, dalmati, fiumani e giuliani cominciarono a lasciare le loro terre per sfuggire alla morte nelle foibe; il loro obiettivo era quello di fuggire da morte e terrore delle violenze dei titini che uccidevano, occultavano cadaveri e bruciavano villaggi. Gli esuli scappavano per continuare a mantenere la loro identità nazionale. L’intento di Tito mirava in parte alla integrazione solo di alcuni invece altri erano da espellere in quanto non integrabili nello Stato jugoslavo.
Questi ultimi rappresentavano in realtà la maggioranza, per la quale iniziava un tragico esodo innescato sicuramente dalla speranza di allontanarsi dal clima di terrore ma anche nello stesso tempo dalla voglia di dimostrare a tutti i connazionali la ferma volontà di affermare i loro ideali senza cullarsi nel vittimismo.
Gli esuli partirono dal 1945 al 1949 ma anche in anni successivi e partirono in diversi gruppi, in diversi momenti e con diversi mezzi. La cifra totale si avvicinò a circa 350.000: uomini, donne e bambini che lasciarono le loro terre in cerca di un futuro migliore. L’importante era comunque partire.
Fuggirono via mare e via terra e spesso in modo fortunoso. Furono costretti ad abbandonare tutto. Uno dei treni che ospitò questi profughi fu chiamato “treno della vergogna” o “treno dei fascisti”; ciò dimostra come in realtà la storia non fosse conosciuta o non fosse compresa; di certo non erano conosciuti i motivi reali dell’esodo. Sui treni infatti vi erano tutte le classi sociali; partirono tutti, dai contadini agli alti dirigenti e quindi indipendentemente dal ceto sociale ma anche dal colore politico.
Scelsero la via dell’esilio oltre che per non perdere la propria identità, anche per non vedere compromessi quegli ideali che davano senso alle loro vite.
Il 18 febbraio 1947 un convoglio, nei pressi di Bologna, fu preso a sassate da giovani che sventolavano bandiere con falce e martello e non riuscì a fermarsi quindi si fermò successivamente a Parma dove la Croce Rossa Italiana con i suoi volontari distribuì generi di prima necessità, coperte e fornì aiuti a tutti.
Nel 1948 anche la piccola Lenci di circa 13 anni partì da Fiume con la famiglia. L’esodo fu organizzato e regolato dal personale di un ufficio ubicato nell’edificio della Cassa di Risparmio.
Elenchi interminabili di nomi di profughi erano appesi alle pareti, i negozi chiusi, le finestre delle case spalancate e la città lentamente stava per morire.
La loro vita stava per essere stravolta ed il panorama era quasi apocalittico.
Lenci racconta di avere lasciato la sua città e la sua casa in Via Alessandro Volta, 6; i ricordi riaffiorano sempre chiari nella sua mente.
Le marachelle con il fratellino Raoul con il quale condivideva molte monellerie. Il cinema, la scuola, la chiesa, il mare. Il cinema era proprio in un locale adiacente alla loro casa e spesso vi entravano nelle prime ore del pomeriggio e rientravano a casa solo la sera. A volte marinavano pure la scuola andando a casa di Anita, la loro ex bambinaia, che li continuava a proteggere non accusandoli mai alla mamma.
Addirittura una volta Raoul, si ritirò con una mitragliatrice carica ritrovata per strada. A casa successe il finimondo!
Nelle strade di Fiume si sentiva sempre un suono soave: musiche di Bach, Beethoven e Liszt risuonavano per le strade. Anche Lenci, Raoul e Betty, la primogenita, studiavano uno strumento musicale.
La loro insegnante, una concertista, quando era soddisfatta dei loro studi, li premiava facendogli ascoltare i notturni di Chopin. Tutti e tre i ragazzi hanno avuto una versatilità ed una cultura musicale che Lenci, l’unica rimasta dei tre, ancora mantiene viva andando ai concerti ed alle opere del Teatro Massimo di Palermo. Lenci e Betty hanno tramandato questa passione anche ai figli che hanno studiato anch’essi pianoforte.
Lenci racconta che quando attraversavano il ponte aldilà del fiume ed andavano a Sussak, periferia della città, venivano appellati come “prokleti talianski” che vuol dire “maledetti italiani”.
Ma ricorda anche quando felici il sabato, giorno di riposo degli ebrei, andavano dagli amichetti per accendere la luce delle loro case, cosa che loro non potevano fare perché giorno di preghiera; poi, venivano ricompensati dai loro genitori con dolciumi ed altri regalini.
Un giorno, a gennaio 1943 ufficiali nazisti, durante la ricerca di ebrei da portare ai campi di concentramento, entrarono in casa ma, sentendo la mamma di Lenci e la nonna che parlavano il tedesco fluentemente, immaginarono che non potevano esserci ebrei nascosti e che fosse una casa sicura.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea è nata da mia figlia che è riuscita ad aprire con chiave il cassetto dei ricordi di mia madre che fino ad ora non aveva raccontato nulla forse perchè inconsciamente il passato così triste era dimenticato.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato molto difficile . È stato necessario rivedere tutta la storia, poco nota a molti, per inserire il racconto nel contesto storico.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Non ci sono autori di riferimento.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho vissuto sempre a Palermo.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Spero di continuare a scrivere qualcos’altro ma sempre di questo genere.
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