
Edito da Editrice Aracne nel 2016 • Pagine: 272 • Compra su Amazon
Si può parlare di follia negli animali? È possibile farlo in etologia? Lo studio del comportamento patologico degli animali non ha forse ricevuto sin ora sufficiente attenzione da parte dell'etologia: a partire da Michael W. Fox, l'evoluzione delle conoscenze in fatto di comportamenti anormali la dobbiamo principalmente al lavoro svolto dalla medicina veterinaria. Tuttavia, un approccio euristico strutturato sugli assunti dettati dall'etologia è oggi necessario per promuovere una discussione non soltanto basata sull'analisi dei sintomi e dei possibili approcci terapeutici, ma anche su un tentativo di esplicazione teorico, in un'ottica evolutiva, finalizzato alla discussione dei meccanismi a cui tali anomalie del comportamento potrebbero rispondere. In Etologia patologica il lettore troverà una proposta di interpretazione, articolata su una descrizione dei fenomeni con riflessioni e ipotesi dal carattere spiccatamente interdisciplinare.

Com’è noto gli animali superiori racchiudono all’interno del loro sistema nervoso (e più in particolare nel loro encefalo) tutta una serie di meccanismi che consentono loro in parte di ricordare le esperienze vantaggiose vissute individualmente, in parte di possedere comportamenti prestabiliti e filogeneticamente ereditati per una risposta immediata alle stimolazioni percepite che, anch’essi, talvolta, necessitano di qualche apprendimento per affinare la tecnica. Questi meccanismi di apprendimento sono autoremunerativi e consentono al comportamento innato di espletare la funzione per cui si è originato. Quando un animale vive nel suo ambiente naturale e ha la possibilità di intraprendere uno stile di vita identico a quello dei propri avi, utilizza pienamente tutte queste peculiarità comportamentali al fine di un tentativo finalizzato a migliorare l’adattamento perpetuo verso l’ambiente in cui è ospitato, o in ogni caso, per lo meno a viverci. Un’etologia patologica svilupperebbe le proprie asserzioni e considerazioni partendo dal presupposto metodologico che le patologie del comportamento -e il modo stesso di evolversi nei viventi- rispecchiano la storia evolutiva e le caratteristiche degli animali che ne soffrono, o meglio, ne rappresentano le necessità: una sorta di rivisitazione della teoria della ricapitolazione di Haeckel. Secondo questo approccio, in altre parole, la patologia del comportamento si tradurrebbe in una manifestazione osservabile tesa a suggerire le necessità comportamentali degli animali in stretta relazione con la propria storia evolutiva e l’ambiente in cui essi vivono, o dovrebbero vivere. Sono convinto che migliaia di anni di evoluzione delle specie abbiano plasmato le potenzialità psichiche in questione per poter consentire ai viventi di essere sufficientemente pronti a fuggire, pronti a moltiplicarsi, pronti ad adattarsi, ma soprattutto pronti a rispondere a tutte le sollecitazioni che l’ambiente in cui essi sono ospitati trasmette, cercando perpetuamente di adattarsi nel migliore dei modi. In talune condizioni però, come quelle create dall’uomo, l’organismo animale subisce un’inserzione involontaria in ambienti molto diversi da quelli in cui la propria specie si è evoluta e spesso questi sono molto diversi in fatto di stimoli. Ogni predisposizione comportamentale dei viventi è presente per avere l’occasione anche soltanto una volta nella vita di manifestarsi: la capacità di apprendere è anch’essa una predisposizione filogeneticamente presente in misura tale da consentirne un utilizzo proporzionale alle proprie potenzialità e necessità. In ambienti poveri di stimoli, ad esempio, può succedere che l’organizzazione comportamentale cada in una sorta di apatia funzionale che si traduce in un ridotto utilizzo delle proprie virtù. Questa è la stasi comportamentale, termine utilizzabile per indicare quella determinata situazione in cui l’animale è impedito a manifestare i comportamenti propri della specie d’appartenenza. La condizione statica della sua organizzazione, per tanto, esordisce in una certa frenesia psico-fisica che causa spesso reindirizzamenti errati delle attività desiderate.
I comportamenti patologici posseggono tutti una importante caratteristica in comune che si rivela essere la chiave di lettura più importante in etologia patologica. Se Konrad Lorenz ci ha insegnato ad applicare allo studio del comportamento quei metodi divenuti d’uso corrente e naturale in tutti gli altri campi della biologia dopo Charles Darwin, quindi un’analisi delle manifestazioni comportamentali come qualsiasi altro carattere evolutivo, ciò che potrebbe contraddistinguere il metodo dell’etologia patologica potrebbe essere, all’opposto, proprio la ricerca del carattere antievolutivo che qualunque disturbo comportamentale dimostra di possedere. Infatti, come si avrà modo di apprendere nel corso della lettura di questo libro (soprattutto nel capitolo «metodologia»), ciò che differenzia un comportamento non normale da uno normale, o dicasi un comportamento patologico da uno salubre, è proprio il carattere completamente in discordanza con le esigenze evolute dalla specie oggetto dallo studio (pur riponendo particolare attenzione alla non sempre netta distinzione dei due stati comportamentali). Si parta dunque dal presupposto metodologico che un comportamento patologico è sempre in piena conflittualità con le regole evolutive; si potrebbe addirittura definirlo soltanto come antievolutivo, anziché patologico, non si commetterebbe uno sbaglio, proprio perché la sua insorgenza comunica una profonda difficoltà di espressione nell’animale e quindi di una propria evoluzione, sia in senso ontogenetico che filogenetico e, d’altronde, l’attribuzione del concetto di antievolutività ci solleverebbe dall’incombenza di dover stabilire un confine tra normalità e anormalità, confine non facile da definire, come si vedrà oltre.

Come è nata l’idea di questo libro?
1) Questo libro nasce dall’esigenza di raccogliere in un unico testo le conoscenze attualmente fruibili sulla natura della patologia del comportamento negli altri animali. L’obiettivo principale di questo lavoro è quello di promuovere una costruttiva discussione attorno ai vari approcci utilizzabili per la comprensione dei meccanismi etologici e psicologici che possono essere responsabili delle patologie del comportamento degli animali che osserviamo e con i quali conviviamo.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Etologia patologica è il frutto di un lavoro durato sette anni, dove si sono alternate diverse fasi che hanno permesso di giungere a questa proposta di interpretazione della patologia del comportamento nella restante parte del mondo zoologico.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Certamente, i miei mentori sono Konrad Lorenz e tutti gli altri padri fondatori dell’etologia classica. Tuttavia, mi hanno donato ispirazione anche autori apparentemente distanti dalle scienze zoologiche, quali Sigmund Freud, Arthur Shopenhauer e Immanuel Kant.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo in una piccola città alle porte di Torino, dove sono nato, cresciuto e dove, lungo le sponde del fiume Po, sono diventato etologo.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Prevedo di ultimare la stesura di un grande trattato sulla psittacoltura, ovverosia la realtà dell’allevamento in ambiente controllato dei pappagalli, con numerosi approfondimenti scientifici e, naturalmente, etologici.
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