Edito da Ginevra Bentivoglio Editoria nel 2019 • Pagine: 136 • Compra su Amazon
Exitus, la svolta, la virata degli eventi verso una direzione imprevista. Un rapido riassestarsi della condizione dei personaggi, un mutare del loro controllo sulla propria vita. Secondo un tenace ordine sotteso, si sovrappongono gli intrecci di una trilogia in cui emergono chiaroscuri che si fanno elementi unificatori delle vicende tratteggiate. Ne sono protagonisti uomini grandi e miseri – alle prese con la loro gracilità etica, i loro conflitti interiori, le macerazioni del cuore – le cui storie sono accomunate da un exitus, da un epilogo che diviene anche spiraglio e viatico per un repentino, non annunciato, approdo.
Francesco Olgiati
I giorni della peste
Era ancora freddo a Roma sebbene la primavera fosse alle porte. A Ripetta si respirava un’atmosfera elettrica, gli studenti dell’ultimo anno cominciavano a prepararsi con netto anticipo agli esami di fine corso con la stessa esaltazione dei martiri destinati alla croce o alla mannaia. Prima delle lezioni nelle latterie del quartiere si accampavano in cerca di un pasto nutriente e a buon mercato, spesso da scroccare all’amico non ancora in bolletta o a qualche figlio di papà che aveva sempre qualche lira in più. Ce n’era una in particolare, piccola con le pareti di maiolica chiara e il bancone alto sulla sinistra, quattro tavolini di marmo e poche sedie spaiate, dove Federico andava spesso insieme agli amici, e altrettanto spesso consumava la cena nei periodi di magra. Federico Proietti stava per diplomarsi. Si riteneva fortunato per questo, di padre morto quando era bambino e di madre domestica a ore, s’era dovuto arrangiare da subito: garzone dal carbonaro Settimi, poi dal sediaro Cardana, addetto al cordame dal giuncaro Terenzio. Si era mantenuto agli studi con qualche quadretto a buon mercato ma soprattutto disegnando i manifesti per gli spettacoli dei teatrini e le pubblicità dei medicinali; aveva venduto illustrazioni per le collane economiche stampate da un amico editore. Aveva realizzato anche il frontespizio per qualche libretto d’opera: Verdi, Mascagni, Puccini, due serie intere per I promessi sposi, e per un’edizione di lusso de Il Piacere di D’Annunzio. L’amico editore gli aveva allungato sottocosto anche qualche seicentina scompleta che non si riusciva a piazzare e Federico se l’era rivenduta a pezzi, quasi esclusivamente le pagine con le incisioni. La prima che era riuscito a cedere a un prezzo ragionevole era stato Il Lazio, dall’edizione illustrata dell’Iconologia del Ripa, poi l’Abbondanza, l’Invidia, la Liguria, e tutte le altre fino alla Felicità pubblica.
Dopo aver chiuso gli occhi alla madre, che gli aveva lasciato pochi risparmi divisi col fratello, scomparso subito dopo per andare a lavorare in una fonderia del nord, viveva in un appartamentino vicino San Pietro. Stava all’ultimo piano, stufa tisica e fumigante che riscaldava poco, niente ghiacciaia, solo la possibilità di preparare i pasti, dalle 12,30 alle 13,15e dalle 19,30 alle 20,15 dai vicini, una famiglia di veneti che gli aveva subaffittato il quartierino; tutti e sei vivevano a Roma da pochi anni, dopo aver tentato senza fortuna «ladisavventura Pontina» come la chiamavano.
L’ufficiale giudiziario già una volta gli aveva fatto l’onore di una sua visita e aveva stilato l’inventario dei beni da pignorare. Non ci aveva impiegato molto tempo: un letto di ferro con la testata dipinta, un tavolino con due sedie impagliate, un pitaletto smaltato, una brocca, un bacile fesso di terraglia dozzinale, tele, colori e due tavolozze, un lume a petrolio, qualche libro, una poltrona di velluto liso e untuoso nelle zone di assiduo strofinio e contatto col corpo, un cuscino di colore indefinibile, che forse un tempo doveva essere stato decorato avistosi fioroni applicati. Ogni volta che lo guardava gli venivano in mente le poltrone ricamate con gli animali delle favole di La Fontaine che Maupassant descriveva in Una vita, oforse era Pierre e Jean? Per quella volta se l’era cavata in extremis, ma da allora Federico aveva già aperto conti non ancora saldati e disseminato debiti un po’ con tutti. Si riprometteva di fare soldi e un’esistenza più agiata, perché no? Anche un buon successo come pittore. Ma non sapeva ancora come avrebbe fatto.
Aveva un solo vestito con giacca, gilet e pantaloni, di una lana grossa e pungente che passava attraverso le calze e gli torturava le gambe, tre camicie di cui una malridotta, una sciarpa fatta ai ferri dalla vicina, la signora Visentin, un paio di scarpe risuolate più volte e un paletot rivoltato, paia di calze tre, buchi da alluce inquieto, quattro.
Ma era la sera che davvero si viveva. Dopo un pasto – che poteva andare dal carmelitano pane e orzo a casa, alla frugale seconda colazione in latteria, alla sempre più rara sosta nella trattoria del sor Michele, blasonato della mezza porzione – si faceva il giro degli studi, delle soffitte marcite di umidità, delle fraschette che qualche volta facevano credito e qualche volta finiva che l’oste si tirava su le maniche e svuotava il locale a calci e ruzzoloni della miglior clientela non pagante.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’intuizione che sta all’origine del testo risiede nell’intento di costruire una sorta di cornice entro la quale collocare la vicenda dei protagonisti secondo un criterio diacronico, secondo il dipanarsi di una trilogia di ‘sezioni’, autonome e interdipendenti nel contempo. Collante delle storie – La stagione agra, Bovary, Sebastien prima di Valmont – è l’exitus, il cambiamento repentino, la virata che determina inaspettati rivolgimenti. Ogni vicenda subisce le conseguenze di una scelta, di un accadimento ineluttabile, del voler fare evolvere la propria vita e il rapporto con il contesto circostante in una direzione definita e segnante. L’intera architettura narrativa del libro s’incentra intorno a questo fuoco, a questo fulcro fondamentale. Da qui la scelta del titolo. L’altro nucleo risiede nell’aver voluto attribuire un ruolo primario al tema della creazione artistica, letteraria, pittorica. Non a caso in quanto la mia formazione e attività lavorativa di storico e critico d’arte hanno costituito una sorta di voluto e cosciente condizionamento nell’individuare iconografie, ambientazioni e contesti. Il protagonista de La stagione agra è un pittore che tenta di recuperare il proprio rapporto col figlio, scrittore e saggista. Sebastien Valmont, nobile libertino, che nel terzo capitolo opera nella Francia del XVIII secolo, è un erudito collezionista, amante dell’arte italiana della quale si serve per affermare la sua superiorità di casta. Sebastien, che incarna il prototipo del ribaldo senza scrupoli, è a sua volta l’alter ego dell’architetto Piero Asgrò che è figura nodale del secondo capitolo. La narrazione nella narrazione e l’impiego di diverse tipologie, come il romanzo epistolare, di formazione e di carattere introspettivo, rappresentano l’ulteriore elemento proprio di Exitus.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Il primo atto fondamentale è stato decidere di fissare il centro ideale del romanzo, quindi il concetto della svolta, dell’esito, e concretizzare l’intuizione della struttura articolandola in tre sezioni indipendenti tuttavia connesse. A fine lettura risulta infatti chiara questa doppia natura, questo carattere ancipite. Di conseguenza l’intento e la difficoltà sono stati mantenere fede alla struttura scelta per costruire, dall’interno, l’intelaiatura che volevo caratterizzata anche dall’adeguamento lessicale e stilistico al contesto, ai periodi e alle situazioni che di fatto attraversano un arco temporale compreso tra XVIII e XXI secolo. L’altro scopo, anche in questo caso dal quale non deflettere, è stato il voler diversificare i registri narrativi a servizio dell’azione e dei personaggi per perseguire la verosimiglianza, sia contemporanea che storica, descrittiva e di indagine, per rendere tridimensionali i protagonisti. Anche la variazione del ritmo di scrittura, che doveva essere adeguato all’evolversi delle vicende, ha costituito l’altra non banale questione da dover affrontare.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Non credo di poter individuare un gruppo di autori di riferimento diretto. I naturalisti francesi dell’Ottocento hanno costituito di certo un patrimonio di letture significative nella mia formazione. Anche in Exitus è possibile riscontrare questa contiguità, forse solo per l’eco di un contesto quale quello di Madame Bovary come analogia ideale liberamente evocata, nel gioco delle parti e dei personaggi nel secondo capitolo, per i quali i nomi dei protagonisti riecheggiano come maschere a indicare generi e comportamenti propri, tipologie umane. Ancora tra gli stranieri, la generazione di Francis Scott Fitzgerald, John Fante, Jack Kerouac, Saul Bellow hanno costituito un bacino di letture significative. Tra gli italiani Vasco Pratolini, Natalia Ginzburg, Alberto Moravia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e su tutti Cesare Pavese e Giorgio Bassani. Chiarezza nitida delle gestione narrativa, unita a una particolare e mai declinante attenzione stilistico-linguistica, sono le caratteristiche che suscitano ammirazione per un autore. Scrivere come esito della riflessione, come raggiungimento assoluto del pensiero sono fondanti. Si può scrivere solo per comunicare, per raccontare i fatti, ma ciò che distingue un autore dal semplice estensore di un testo è la profondità originale di analisi e riflessione. Un atteggiamento sempre meno presente nelle modalità scrittorie contemporanee, uniformate in generale a parametri comuni, di scuola si potrebbe dire. Nel contesto attuale credo siano rare le voci che si diversificano e si distinguono davvero. Il rischio è quello dell’omologazione.
Dal punto di vista letterario quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Attualmente collaboro con alcune riviste letterarie tra le quali “Rapsodia. A magazine of art and literature” e “Critica Impura. Letteratura, filosofia, arte e critica” . Curo la rubrica Marginalia – cascami d’arte e letteratura per “Yawp. giornale di letterature e filosofie”. Pubblico poesie, racconti e attualità culturali sul mio sito – enricoanselmivt.wixsite.com/mysite. Sono in fase di seconda scrittura di un romanzo che s’incentra, ancora una volta, sulla produzione artistica, nella consapevolezza che l’arte possa costituire un motore dell’azione umana destinato a definire la storia.
Dopo la prima segnalazione pubblica dello scorso 26 ottobre, presso la RinascimentiAmo Gallery di Viterbo, che ha riscosso grande affluenza, il romanzo Exitus, dello scrittore e storico dell’arte Salvatore Enrico Anselmi, sarà presentato a Roma, venerdì 6 dicembre 2019, alle ore 17, presso la sede della Ginevra Bentivoglio Editoria in vicolo Savelli, 9.
Interverranno: Daniela Gallavotti Cavallero, storica dell’arte, Istituto Nazionale di Studi Romani, e Francesca Ceci, archeologa, Musei Capitolini. Saranno presenti l’autore e l’editore.
Exitus, segnalato tra gli altri dalla Società Dante Alighieri, sta suscitando consensi unanimi presso la critica e il pubblico. Numerose recensioni sono apparse sulla stampa e sul web. Come spesso accade, in parallelo alla diffusione assicurata dai mezzi d’informazione, il libro sta raggiungendo un numero cospicuo di lettori grazie anche al passaparola e alle segnalazioni spontanee di chi ha apprezzato il testo in ragione dell’originalità delle tematiche affrontate.