Fermo! Che la scimmia spara
Edito da Porto Seguro Editore nel 2018 • Pagine: 209 •
Cosa succederebbe se la notte di due ragazze sotto allucinogeni si trasformasse improvvisamente in un set di un film horror, con zombi assassini e cantanti che si tramutano in bestie cannibali? Se un ragazzo, senza arte né parte, fosse tormentato dalla sua pornostar preferita? E se tua moglie ti stesse osservando di nascosto da delle telecamere, e la tua sorte dipendesse da un dipinto di Banksy? E se la notte di due ladri strampalati, durante l’ultimo colpo prima di cambiare vita, fosse minacciata da un serial killer che taglia i piedi alle sue vittime?
Dieci racconti che mescolano tutti i generi: grottesco, commedia, pulp, horror, thriller, noir ma, che trovano in una vena ironica, il loro punto in comune.
Fermo! Che la scimmia spara!
1
In un monolocale di Via Canacci, alle spalle della Basilica di Santa Maria Novella, un lunedì di fine gennaio Saverio Bolla e Carlo Fa¬villi decisero che la sceneggiatura del film Il fe¬ticista era finita. Pronta per essere consegnata a Otta¬vio Ottaviani, produttore della «Ottaviani Cinematografi¬ca Group», dopo un ritardo di un mese e mezzo.
«Smettetela di scrivere, portatemi quel cazzo di film Deus! Sia¬mo in ritardo, siamo in ritardo!» li aveva am¬moniti più di una vol¬ta.
Saverio e Carlo sorrisero come due vecchi amici dopo una par¬tita a bi¬liardino, uniti da una folle ma sincera amicizia che li legav¬a da vent’anni; dai tempi del Cineforum, in cui passa¬vano le ore a divorare film come barrette di cioccolata.
Non erano soltanto la coppia che aveva riempito a fior di mi¬lioni le casse del loro produttore durante i mitici anni novanta con film come Yuri spaccatutto o Johnny il ban¬dito, ma anche coloro che avevano riportato in auge il vecchio Spaghetti Western alla Sergio Leone con un Co¬lossal come Tra le sabbie grigie del West, un impe¬gnativo e costoso western Made in Italy che aveva richie¬sto una lavorazione di tre anni e continue interruzioni, a causa dei pes¬simi rapporti con la produzione e il cast.
Adesso però, avevano deciso di azzardare e scrivere un horror all’italiana in stile Dario Argento.
Anzi, in stile Bolla e Favilli.
«Con questo facciamo il botto, Carletto» aveva pronosticato Saverio.
Dopo aver messo la parola fine alla sceneggiatura, Sa¬verio guardò l’orologio e scattò in piedi.
«Cazzo è tardissimo, Laura mi starà aspettando, devo scappa¬re».
«Che cosa ti attende stasera? La solita lasagnina al pe¬sto con pomodorini bio?» ironizzò Carlo, un gommone senza remi con un gatto morto in testa. Seduto con le mani in¬crociate sulla sedia davanti al pc.
«Stai zitto, oggi è lunedì, il giorno peggiore. Pollo ar¬rosto con patate e Woody Allen in chiusura, ho detto tut¬to».
E poi all’unisono cantarono: «Due palle!».
Risero, dopodiché Saverio si infilò la giacca di lino blu, si legò la coda di cavallo e uscì.
Fuori pioveva, e con difficoltà, nella sua Mini Cooper nera, Sa¬verio cercò di fare più in fretta possibile mandan¬do il contagiri in tilt e bucando tutti i rossi.
Era felice. Si sentiva un uomo realizzato. Stava andando tutto per il verso giusto.
Aveva un lavoro che gli piaceva?
Il migliore. Con tutto quello che ho fatto per guadagnarmelo.
Aveva una donna che lo amava?
Anche questo, certo. Si ucciderebbe per me.
Aveva un’amante come nelle migliori coppie moderne?
Eccome se ce l’aveva. Alla grande. Un’artista coi contro fiocchi. Che non si faceva problemi e a cui piacevano anche le cose zozze. Forse un po’ rozza è vero, ma come amante andava benissimo.
Laura invece? Era la moglie perfetta, ma di una noia mortale. Mai un cinemino. Mai una cenetta fuori casa perché nel piatto dove ci hanno mangiato gli altri io non ci mangio. Mai una vacanza fuori Toscana perché casomai succedesse qualcosa non si fa in tempo a tornare indietro. Mai una botta di vita insomma.
«Perché la Toscana non va bene? Pagherebbero l’oro del mondo per avere le nostre bellezze» diceva lei. «Che motivo c’è di andare da qualche altra parte?».
E poi in tutta franchezza, negli ultimi tempi si era impigrita ancora di più. Era invecchiata prima del tempo. Saverio pensava si fosse trasformata in un essere metà donna metà divano. Si alzava solo per cucinare.
Le stesse cose, perché squadra che vince non si cambia.
E cosa peggiore non lo voleva mai fare. Era sempre stanca. Sfibrata. Sempre alle prese con quei bambocci dell’università in cui insegnava.
A Saverio gli era diventato un mollusco in putrefazione. Gli sarebbe marcito se non avesse incontrato qualcuna che lo rianimasse.
L’infedeltà dovrebbe essere regolamentata dalla Costituzione Civile, pensò mentre guidava.
Dopo qualche inchiodata improvvisa e un incidente evita¬to all’ultimo semaforo, Saverio arrivò davanti a casa, tirò fuori il cel¬lulare dalla tasca dei jeans e chia¬mò.
«Pupazzetta sono io, che stai facendo?» disse, con quella voce da Michael Bublé con cui un giorno aveva partecipato a Castro¬caro classifi¬candosi ultimo, prima di capire che forse doveva cambiare sogno.
«Che vuoi che faccia? Mi annoio. Mi manchi tanto topolone, quando ci vediamo?» rispose la voce dall’altra parte. Da quindi¬cenne che se la fa di nascosto con il prof.
«Presto. Presto. Domani».
«Prometti».
«Prometto» disse Saverio sbirciando le finestre di casa. Le tapparelle abbassate e la tendina tirata giù.
Strano, pensò.
«Mi ci porti all’Abetone domenica? Stiamo insieme cicci cic¬ci sotto le coperte a guardare fuori la neve».
«Se andiamo all’Abetone ti rivolto come un calzino pupazzet¬ta. ARRR!» ringhiò Saverio da maschio allupato.
«Porco!»
«Scherzi a parte, senti… adesso devo salire in casa. Quindi mi raccomando, per stasera niente chiamate. D’accordo?»
«Neanche un messaggino?»
«Neanche un messaggino. Lo sai».
«Va beneee» sbuffò lei. «Allora scri¬vimi appena puoi».
«Sì, ti scrivo io. A più tardi».
Saverio Bolla attaccò, uscì dalla Mini Cooper e salì in casa.
La tavola in salotto era apparecchiata come tutti i lu¬nedì sera. La lunga tovaglia rossa con i bordi bianchi che sua moglie aveva comprato a Trapani, il centrino di zia Fer¬nanda ricamato a mano, i piatti Guzzini uno di fronte all’altro, i bicchieri Bugatti e, sopra al centrino, un vasso¬io con un petto di pollo arrosto con le patate. Era tutto in perfetto ordine. Come da consuetudine. Tranne un particolar¬e: sua moglie non c’era. A quell’ora di so¬lito apparec¬chiava, oppure era già pronta per servire la cena, ma di certo non usciva. Se doveva farlo aspettava che lui tornasse. Ora perché non lo aveva fatto?
Saverio lasciò la giacca sul divano, aprì le tapparelle in salotto, si sbottonò il colletto della camicia azzurra per respirare un po’ dalla stretta della cravatta, e mentre si dirigeva verso la cucina chiamò sua moglie:
«Fragolina ci sei? Sono tornato».
Sul muro, diverse fotografie ritraevano lui e la moglie nel cor¬so dei dieci anni trascorsi insieme; appoggiato su un mobile c’era an¬che il primo Ciak di Johnny il bandito, a cui aveva partecipato con un cameo Franco Nero, immortalato sul set insieme a Save¬rio.
Per il re¬sto numerosi dipinti di artisti emergen¬ti.
«Non immagini che giornata è stata oggi» proseguì Saverio, guardandosi attorno. «Però abbiamo finito. Capito amore? Ab¬biamo finito il film, ci pensi? Questo sarà un capolavoro me lo sento, uno psicopatico così non si è mai visto in Italia, ci puoi giurare».
Tornò in salotto, guardò in camera da letto, in bagno, nel¬la stanza degli ospiti, ma sua mo¬glie non c’era. Allora prese il te¬lefono e la chiamò.
Ora dove cazzo è andata, questa? si chiese.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea del libro è nata da un quadro dello street writer americano Bansky; dal titolo di una sua opera: “Fermo, che la scimmia spara!”. Partendo dal quadro e sviluppando il racconto omonimo, ho iniziato a pensare ad altre trame ponendomi la domanda: “Fino a che punto può spingersi la follia?” I personaggi di questi dieci racconti sono persone normali a cui capitano cose straordinarie, un po’ come accade nei film di Hitchcok, dettate da loro stessi o dagli eventi che capitano loro. Commettono atti violenti preda dei loro istinti o come reazione alle circostanze.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non molto. La gestazione è durata due mesi e mezzo intervallata dagli esami universitari in cui ero occupato. Il lavoro più faticoso e impegnativo è avvenuto dopo, in fase di editing durante il quale molte delle cose iniziali sono state cambiate anche radicalmente.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Niccolò Ammaniti, Joe Lansdale, i minimalisti americani come Bret Easton Ellis, Jay McInerny e David Leavett, Stephen King, Chuk Palahniuk.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato a Firenze, dove ho sempre abitato e abito tutt’ora.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Riuscire a portare a termine il romanzo che sto scrivendo. Prima o poi lo farò.