
Edito da GDS nel 5 Marzo 2018 • Pagine: 220 • Compra su Amazon
A ridosso delle Alpi, vi è Passo del Lupo. Di là dal nome aggressivo, esso è un paesino socialmente avanzato. Non vi è cittadino che, almeno una volta nella sua esistenza, non abbia partecipano alle cariche direttive: un autentico centro urbano democratico. Paradossalmente, la sicurezza economica e sociale non riesce a rendere felici gli abitanti. Un giorno nella piccola stazione scende un individuo. Prima dell'arrivo di Vlad Tepes non c'erano morti ammazzati. Il maresciallo del posto pensa che siano vittime di un vampiro. Quando Vlad è stanato, fugge in volo: lui non sapeva nemmeno di esserne capace. Così come gli abitanti del piccolo ma emancipato centro non sospettavano di essere, a dispetto del loro modernismo, ancora mentalmente medievali. E di credere nei vampiri.

Da lontano, nella valle circondata dai monti assopiti, il paese sembrava un nido d’api abbandonato. Tutte le sere, sul fondale di stelle acuminate e dietro i vetri delle case dai tetti aguzzi, cinquecento ombre si muovevano come in un presepe eterno.
Perlomeno fino a quando Giorgio, il figlio della tabaccaia, non si sganciò per inseguire i suoi sogni di gloria in qualche guerra lontana.
Qualcuno avanzò l’ipotesi che il ragazzo fosse diventato un foreign fighter, e che avesse individuato nell’Isis una ideologia capace di dare un senso alla sua esistenza. Comunque, non vi era niente di preciso. Nelle rade telefonate ai genitori lui spiegava solo che, lontano dal posto isolato che gli aveva dato i natali, aveva raggiunto finalmente un suo equilibrio.
A quel punto, quindi, le ombre si erano ridotte a quattrocentonovantanove. La segnalazione non è una sottigliezza marginale perché, in quel luogo, i suoi abitanti erano così coesi e importanti l’un per l’altro che anche l’allontanamento di uno solo di loro, acquisiva valore di emorragia la quale, per quanto limitata, indeboliva l’organismo sociale.
Il fatto era che a Passo del Lupo non offriva tante opportunità per compiere grandi cose e così, ogni tanto, qualche “testa calda” (come dicevano gli abitanti più anziani tentennando la testa) cercava fuori dal nido ciò che sentiva mancargli fortemente.
Come Giorgio.
Comunque, esclusi coloro che volevano fare gli eroi a tutti i costi, i cittadini potevano contare su un sistema sociale egalitario: qualsiasi occupazione o ruolo ricoprissero, erano apprezzate allo stesso identico modo. Infatti, a dispetto dell’apparenza intorpidita e compatibilmente con quello che offriva il territorio, quel paese dava ad ognuno la possibilità di svolgere l’occupazione e lo stile di vita per i quali si sentiva tagliato.
Perfino le varie cariche politiche erano alla portata di tutti e non c’era nessuno che, almeno per una volta, non avesse fatto il sindaco o l’assessore di qualcosa. Innegabilmente – come in tutti i Comuni del resto – questo significava essere, per il tempo del mandato, alla mercé della particolare volontà, innovatrice o reazionaria che fosse, del notabile di turno. Ma, visto che lì le cariche – per dare appunto a tutti la possibilità di sperimentare le proprie capacità di Ufficiali del Comune – duravano solo pochi mesi, nessuno ne soffriva particolarmente.
Così, lo scoglionamento stuzzicato dal sindaco Vivaicani che permetteva di riempire di simpatiche eiezioni ornamentali il territorio cittadino, si allontanava abbastanza in fretta quando gli succedeva il nuovo sindaco Nonsiamomicanelfarwest che, pur amando gli animali cercava di non far diventare il ridente luogo urbano, letteralmente, una cittadina di merda.
I ragazzi andavano a scuola con gioia perché le loro richieste venivano prontamente accolte: in Comune avevano aperto un ufficio che si occupava espressamente delle loro necessità e perfino dei loro dubbi sulla vita! I Promessi Sposi e I Malavoglia erano tenuti in grande considerazione, ma il testo più rispettato a scuola (non perché Passo del Lupo fosse malato di esterofilia ma per una naturale emulazione), era l’invenzione sociale scritta da Thomas Moore: “Utopia”.
Tutto sommato, anche se di dimensioni minimali e passibile di aggiustamenti, quel consorzio umano aveva trovato la soluzione giusta per ognuno dei suoi partecipanti. Così, in quella valle isolata ma socialmente progredita, il fiume della vita scorreva rassicurante.
Rassicurante e palloso.
Questo, a dirla tutta, lo sentivano anche i più reazionari di coloro che amavano quell’esistenza priva di scossoni. La sera nel bar di Fabrizio, l’unico di quel posto, si parlava di donne e motori, e sport. Tanto sport. Come in tutti i bar che si rispettino. Si parlava, si discuteva, ma sottovoce. A volte, ma raramente, magari per le partite della Nazionale, si urlava anche. Il fatto era che i temi trattati erano lontani, senza alcun legame con la loro vita, e quindi incapaci di infiammare gli animi.
Certo, parlare di Penelope Cruz o discutere dei gol di Totti riempiva la serata, ma in fondo quando cazzo mai avrebbero incontrato la prima o in che occasione Totti sarebbe passato da lì a salutarli? Forse per un abitante di Roma, ma perfino di Cologno Monzese, una remota possibilità di contatto con quei personaggi poteva esistere, ma per i cittadini di quel paese ordinato ma sonnacchioso, non esisteva alcuna speranza: quegli argomenti erano solo un pretesto per dire qualcosa prima di darsi la buonanotte. Tutto sommato, alla fine sarebbe andata bene anche una discussione sulle guerre puniche, ammesso che qualcuno se le ricordasse!
A Passo del Lupo nessuno era manchevole di nulla, non succedeva nulla e non c’era nulla di cui parlare.
Nulla!
Mese dopo mese, le stagioni si dileguavano. Il caldo che succedeva al freddo e il suo contrario, come del resto in tutte le altre parti del pianeta, erano di una banalità terribile. Così come il vento che spazzava la polvere delle sue stradine linde. Quest’ultimo sarebbe potuto risultare di una certa utilità per smuovere l’ambiente paesano ma, per quanto fosse energico, tuttavia non riusciva a scacciare il tedio che rimaneva attaccato al suolo come un chewing gum testardo sotto una scarpa.
Il massimo che i passodelupesi potessero permettersi di raccontare con entusiasmo, come resoconto di un’epica personale, poteva riguardare temi vacui come la loro “straordinaria” vacanza dell’ultima estate. Roba pessima fatta da tipi pessimi. Ma simpatici. Sono quei fatti che “succedono” a quei giovanotti che si annidano in tutti i bar di tutti i paesi di tutti i Mondi! Perché, è sicuro, in tutto l’Universo ci sono migliaia di bar con migliaia di quei cialtroni. È scientifico. Li conoscono tutti, e quelli di Passo del Lupo sono uguali ai tanti minchioni degli altri bar.

Come è nata l’idea di questo libro?
Il libro nasce sulla scorta di un (millenario?) e inutile tentativo di convincere le persone – che siano millenials o gente che ha combattuto con le crociate è lo stesso – che la democrazia sia possibile: il tentativo di ergersi più in alto degli altri, è connaturato all’uomo e, va da se, questo non ha niente di democratico.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
È stato difficile solo trovare una metafora giusta per veicolare quanto su detto. Il testo è arrivato al termine con naturalezza, è come dipingere: quando si è data l’ultima pennellata si mostra la tela dipinta, sperando di aver fatto tutto il possibile.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Ken Follett, Edgar Allan Poe, De Carlo, Foster Wallace, etc.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Bologna. In passato, in Puglia.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Pubblicare i prossimi romanzi.
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