Edito da TraccePerLaMeta nel 2020 • Pagine: 372 • Compra su Amazon
Due donne, le loro voci e i loro pensieri si alternano in questa storia che si svolge in una cittadina lombarda dei nostri giorni. Giulia è un’elegante signora bene, attiva presidentessa di un’associazione culturale e moglie dell’ingegner Ricci, delle industrie Ricci 1909. Madre attenta e moglie amorevole è l’emblema dell’efficienza: determinata e precisa ha sempre un piano A da seguire, pronta però all’imprevisto, con un piano B o addirittura un piano C. Camilla è una ragazza di quasi diciassette anni, una liceale con buone capacità ma non sempre concentrata sullo studio, distratta da pensieri amorosi e impegnata con le amiche. Giulia e Camilla non sono due estranee ma si conoscono perfettamente perché sono madre e figlia. Un rapporto non sempre facile, talvolta conflittuale, dove accese sfuriate si alternano a lunghi silenzi. Per fortuna a fare da paciere tra queste donne c’è Edoardo, marito ironico di Giulia, padre comprensivo di Camilla, imprenditore stimato. Ad attendere entrambe c’è però un destino comune e avverso: una curva imprevista che fa svoltare completamente il corso delle loro vite e segna il passaggio definitivo da un “prima” a un “dopo”. Per Giulia inizia un calvario in salita, nella perdita di se stessa e del suo ruolo di moglie e di madre. Per Camilla invece si apre un’impegnativa salita, un percorso di crescita che la porta, a tratti, a diventare “la madre di sua madre”. In questo scambio di parti si intrecciano anche altri personaggi che spingeranno Giulia e Camilla ad aprire gli occhi su quello che sta accadendo all’interno dell’azienda di famiglia. Entrambe si accorgeranno che la realtà non è così chiara come sembra e che qualcosa è stato volutamente nascosto. E sarà proprio la ricerca di questa verità che le aiuterà a ritrovarsi e a lottare insieme per un obiettivo comune, quello di andare “fino in fondo”.
Mia figlia mi stupisce sempre! In senso positivo, ovviamente. Mi sorprende e mi riempie di gioia. E’cambiata, è diventata più matura, più grande. La ragazzina con poca voglia di studiare e interessata sola al divertimento o al suo cavallo Ercole sembra scomparsa e come per incanto, dal bozzolo del bruco, stanno spuntando le ali di una nuova farfalla, di una nuova donna che ragiona con determinazione e guarda al futuro con fiducia. Ieri per la prima volta ho visto questa Camilla e mi è piaciuta. Molto. E avere una figlia come lei mi riempie d’ orgoglio. Nel pomeriggio siamo tornate a casa e davanti al camino, mentre sistemavo qualche ciocco, Camy mi ha detto che aveva bisogno di parlarmi. Mi sono seduta sulla poltrona di mia mamma e l’ho ascoltata. E’ partita diretta, come una velocista al colpo di pistola, senza giri di parole, senza bisogno di premesse o di spiegazioni. Aveva la sua gara da fare e sapeva quale era la sua meta. Mi ha raccontato quello che era successo alla Ricci la sera dello scambio di auguri, prima di Natale. Mi ha riferito i discorsi dello zio e del suo amico, le parole spregevoli che ha dovuto ascoltare, la delusione per chi credeva una persona per bene, la rabbia provata in quella situazione. “Per giorni mi sono tenuta dentro tutto questo, indecisa se dirtelo oppure no. Ho taciuto solo per non darti ulteriori preoccupazioni. Ma poi ho capito che occorre essere sinceri se si vogliono risolvere le cose E io voglio risolverle. Ecco io ti ho raccontato tutto, sono stata franca con te. Ora è il tuo turno. Ti prego, sii onesta con me. Non nascondermi la verità. Dimmi tutto quello che ti sta capitando. Non lasciarmi in balia dei miei dubbi. Non lasciare che sia di nuovo costretta ad interpretare il tuo volto, come ho fatto nei mesi passati, quando tornavo da scuola e ti guardavo in cerca di un indizio, qualcosa a cui appigliarmi per capire come stavi, se eri uscita, se stavi bene. In attesa di un tuo sorriso che non arrivava mai o di una tua parola, per avere un po’ speranza”. Mi sono ritrovata con gli occhi umidi, pieni di lacrime. Ma non le ho asciugate. Ho lasciato che mi bagnassero il volto e che Camilla, con un gesto naturale e dolce mi passasse un fazzoletto. Finalmente, senza nascondermi. Senza coprirmi con l’inutile maschera della mamma forte, che non sono. Perché mia figlia sa e mi conosce più di me stessa. E me lo ha appena dimostrato: ha saputo leggere ed interpretare l’alfabeto muto dei miei sentimenti. E forse, da donna matura quale sta diventando, ha imparato pure ad affrontare la realtà, senza bisogno di travestimenti. Che stupida sono stata! Possibile che io, rinchiusa nella mia idea di madre attenta e premurosa, non mi sia accorta di come Camilla mi stesse guardando? Possibile che non abbia fatto caso ai suoi occhi indagatori? Come mi stesse esaminando, giorno dopo giorno, alla ricerca di un segnale a cui aggrapparsi per credere che sua madre stava meglio? Mia figlia oggi mi ha dato una lezione di vita. E che lezione! “Scusami, Camy. Scusami per come mi sono comportata in questi mesi, da egoista, indifferente a tutto e a tutti. Disinteressata a quello che mi succedeva attorno. Insensibile anche a te”. Camy si è alzata dal divano ed è venuta affianco alla poltrona, sedendosi sul bracciolo e mi ha abbracciato forte. “Ti voglio bene” mi ha sussurrato in un orecchio. “Sei la mia mamma speciale”. Siamo rimaste così, abbracciate, con i visi nascosti nei capelli l’una dell’altra. Mi sono sentita avvolgere dal volume della sua chioma. Poi Camy si è scostata ed è tornata a sedersi sul divano. Quando ha visto che stavo meglio e che mi ero ripresa è tornata a parlarmi, con un tono pacato e deciso: “Zia mia ha detto che ci sono delle cose che devo sapere. Voglio che tu mi dica tutto. Non lasciarmi frugare ancora nei tuoi occhi. Ti prego, dimmi che cosa sta succedendo.”.
“Hai ragione”. Ho fatto un lungo sospiro. “Aspetta ti mostro una cosa”. Mi sono alzata e sono andata a recuperare nella mia agenda il foglietto scritto da papà. E da lì, da quel foglietto ormai consumato per quanto l’ho tenuto in mano, ho iniziato a raccontarle tutti i vari tasselli di questo puzzle senza nome e senza immagine che mi sono ritrovata tra le mani, coinvolta a mia insaputa, e di cui forse, io stessa, sono un semplice pezzo da sistemare, in qualche modo. Ma finora nessuna delle parti che ho davanti agli occhi sembra incastrarsi: né il foglietto con i nomi, né quello che è avvenuto dal notaio, né i dubbi di mio marito e nemmeno le pillole che ho ingenuamente assunto. E a questa serie di indizi che non portano da nessuna parte, ora si è aggiunto anche quello che è successo la sera dell’aperitivo alla Ricci. Camilla ha ascoltato tutto in religioso silenzio, senza interrompermi, attenta a non perdersi una pausa, una sfumatura della voce, un movimento della mano. Per un momento mi è venuta in mente l’immagine di mia figlia, bambina, seduta sulla sua poltroncina rossa, vigile e concentrata mentre le raccontavo le favole. Anche allora non le sfuggiva nulla e se per caso cambiavo anche una sola parola della storia lei interveniva e mi diceva quella giusta, quella che aveva ascoltato più volte. Ma i tempi adesso sono cambiati: ora in questa fiaba ci siamo noi e non il povero Pollicino. Noi e non il povero Pollicino siamo in questo bosco senza nessuna strada di casa.
Poi Camilla si è alzata e si è messa davanti al camino, seduta sulla pietra, a pochi passi da me.
“Mamma, ma non capisci? Proviamo a mettere assieme tutti gli elementi che ci siamo dette finora. Non vedi che c’è un minimo comune denominatore?”
Lo sguardo vivo e risoluto di Camilla mi ha scosso. E’ vero. E’ stato un pensiero che ha sfiorato anche me. Cerco di anticiparla, sapendo però di bluffare.
“Tuo padre?”
“No mamma, non papà. C’è sempre lo zio Enrico. Lui ti ha dato le pillole, lui ti ha portato dal notaio, lui faceva quelle battute stupide e lui è su quel foglietto”.
“Ma papà ha cancellato il suo nome!”
“Però c’è. Cancellato, ma c’è. Forse papà aveva qualche dubbio anche su lui”.
“Può darsi Camy. Ma il punto è un altro. Che cosa stava cercando papà? Perché stava controllando quelle persone? Aveva dei sospetti? Ma a proposito di che cosa?”
“Non lo so, mamma. Però non ho intenzione di fermarmi qui. Mi spiace, ma voglio andare fino in fondo. Costi quel che costi. E tu, mamma, sei con me?”.
L’ho guardata seria. L’ho guardata con orgoglio. In quel momento mi sono sentita una delle milioni di madri al mondo che ad un certo punto della vita capiscono che la loro figlia non è più la bimbetta timorosa che tenevano per mano sulla strada di ritorno da scuola. La figlia è diventata una donna adulta ed è lei ora che tiene la mano della madre, le mostra la strada e la incoraggia a proseguire.
“Sì Camy, sono con te! Sono stanca di sopportare tutto quello che mi sta capitando e nemmeno mi piace che altri si prendano gioco di me. Nella vita alcune cose non le ho cercate ma mi sono venute a cercare loro e le ho dovute subire, non potendo farci nulla, non potendo scegliere. Come la morte di tuo padre: mi è venuta a cercare senza che io l’abbia scelta e l’ho dovuta accettare. Esistono invece altre cose, che mi sono comunque venute a cercare senza che io le abbia chiamate, ma che sono diverse dalle prime. E sai perché sono diverse? Perché io sono in una posizione diversa. Sono nella posizione di poter scegliere: scegliere se accettarle passivamente o scegliere di oppormi ad esse. Scegliere di farmi travolgere e affogare o scegliere di combattere e risalire a galla. Proprio come nel sogno di stanotte. Questa volta non sono chiusa in un angolo del ring, ma sono al centro del quadrato e posso scegliere se avanzare o indietreggiare, se attaccare o difendermi. E sinceramente sono stanca di restare immobile, vedendo la mia vita che mi sfugge di mano senza nemmeno tentare di afferrarla. Voglio riprendermela! Voglio riprendermi la mia vita, andrò fino in fondo”.
Camy si è aperta in un sorriso e anche io mi sono sentita più sollevata.
“Brava mamma. Così mi piaci. Così ti voglio: attiva, anzi combattiva. Allora non perdiamo tempo e mettiamoci al lavoro. Vado a prendere il computer. Tu recupera la chiavetta di Marisa”.
Ed è partita verso la camera, senza lasciarmi il tempo di risponderle.
L’ho seguita con gli occhi, poi mi sono alzata anche io per accendere le luci. Dalla finestra il lago appariva scuro e lontano, avvolto da una sottile foschia. Mi sono fermata a guardarlo, assorta. E poi impettita ad alta voce gli ho detto :“Non mi fai paura”. Ho chiuso gli scuri interni ai vetri e ho tirato le tende con decisione. E ho acceso le luci. Il buio del lago non mi fa paura.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea di questo libro è nata dall’osservazione del rapporto tra genitori e figli: non sempre i genitori si accorgono di quanto i figli siano attenti e fini osservatori del mondo degli adulti. Molto spesso i ragazzi, pur nella loro giovane età o nella loro apparente ribellione, danno dimostrazione di essere persone sagge e talvolta più maturi degli adulti. Le protagoniste del mio libro sono una madre e una figlia adolescente, due generazioni a confronto, che affrontano in modo diverso le comuni prove della vita, ma capaci anche di ritrovarsi e lottare insieme per cercare la verità.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La parte difficile non è stata tanto quella di portarlo a termine, quanto trovare un editore con cui stabilire un rapporto di fiducia reciproca e far prendere la giusta strada a questa storia.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Mi piacciono molto Catherine Dunne, Silvia Avallone, Lorenzo Marone, Andrea Vitali.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nata a Como, e ho vissuto lì fin dopo la laurea. Quando mi sono sposata mi sono trasferita in provincia di Varese, dove vivo attualmente.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
“Fino in fondo” è stato il mio libro d’esordio e sta raccogliendo critiche positive. È rientrato anche tra i Selezionati del Premio Città di Como 2020, sezione opera prima. Attualmente sto lavorando a un secondo romanzo la cui protagonista è ancora una donna, con una storia molto intensa, a tinte forti.
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