La foresta di Sandor – Dragonblood è un romanzo epic fantasy di Marzio Favognano ispirato alle regole e alle meccaniche dei più famosi giochi di ruolo internazionali, che segue stile narrativo e regole del sistema D20 OGL, ben noto agli appassionati di giochi di ruolo. La foresta di Sandor – Dragonblood è il primo volume della saga fantasy I giorni del Maelstrom, composta anche da La torre di Selenia. Celestialsoul, in uscita il prossimo gennaio 2016, e da La cupola di Exter – Darkspawn, previsto per il 2018. Di seguito la sinossi del volume.
La foresta di Sandor di Marzio Favognano: la trama
Il romanzo è ambientato in un mondo intriso di magia e misticismo, in un’epoca storica che potremmo definire un alto medioevo se questa definizione avesse senso per i protagonisti del racconto. Un mondo dove gli umani sono solo una parte delle innumerevoli razze intelligenti che hanno fondato civiltà e culti religiosi; dove decine di creature ibride, nate dall’unione di entità magiche e razze intelligenti, vivono e lottano per il loro credo.
In queste terre, un gruppo di avventurieri intraprende una missione ignota, guidati solamente da presagi e dalla incrollabile fede di un sacerdote verso i segni mandati dalla sua divinità.
Ogni personaggio incarna un’idea, un’emozione, un simbolo. Come la fede nel proprio dio, ma anche la fede in se stesso e la fiducia senza riserve verso i propri compagni anche quando tutto sembra crollare a picco. La rabbia; la sete di vendetta verso un nemico che non si conosce e il furore verso la propria impotenza, verso i propri limiti che non permettono di salvare i propri cari. L’onore; la consapevolezza di combattere seguendo le regole cercando di rimanere nel giusto anche quando la situazione è disperata e non c’è altro modo di sopravvivere se non quello di giocare sporco. La superbia; quella che nasce dal proprio potere, dalla conoscenza e dalla propria discendenza. Un sentimento che offusca la visione dell’umiltà e fa nascere nella mente, l’errata consapevolezza di non avere né limiti né rivali. Infine la speranza; l’idea di affrontare ogni dolore e avversità per uno scopo nobile e giusto. La convinzione che ogni sacrificio verrà ripagato con ciò che più si anela, come un felice ritorno a casa e la possibilità di stringere al petto, ancora una volta, chi si ama.
Compagni di avventura, costantemente in balia del fato. Un destino che sembra giocare con loro, sottoponendoli a prove sempre più difficili e disperate. Una strada da percorrere che diventa un crescendo di pericoli e situazioni che spingono al limite la fede e la speranza dei cinque amici, costretti ad affrontare forze oltre la loro portata e verità di cui non avrebbero mai sospettato l’esistenza.
La foresta di Sandor – Dragonblood, un estratto dal prologo del romanzo
Il sudario pietrificante lo avvolgeva fino alla cinta ormai, quarzi rossi, gemme e basalto si attorcigliavano e fondevano costringendolo in una morsa immobilizzante. Intorno a lui vi era solo il caos, la distruzione e il male. Quanta ironia c’era in quel momento. Proprio lui, che era chiamato l’Araldo del Caos, il Distruttore, il Drago di Ferro, si trovava lì a combattere contro la materializzazione stessa delle forze che lo avevano reso famoso.
L’altra faccia della medaglia, lui era questo? Forse, sì. Forse era questo il motivo per cui era stato scelto per quella missione, per quel viaggio dove nessun altro oltre a lui era sopravvissuto. Ripensava ora ai suoi amici e compagni. Elden di Supiria, l’elfo nero che con tanta difficoltà era stato accettato nella congrega druidica dell’Isola delle nebbie, giaceva lì, a pochi metri da lui. Il suo corpo era stato pietrificato mentre cambiava forma, a metà fra elfo e aquila.
Tamara era sull’altare, trafitta da orribili lance di ossidiana, e aveva ancora quell’espressione fiera sul volto. La sacerdotessa umana non aveva ceduto al dolore né al terrore, era morta invocando la sua divinità, la Dea Madre, ma le preghiere non le avevano salvato la vita.
Gideon e Tantra erano già scomparsi da tempo ormai. Loro non erano arrivati fino all’ultima meta.
Lo gnomo illusionista e la ranger elfica erano caduti insieme per mano di Ultraghar, l’odiato gigante dei ghiacci che custodiva gelosamente il Martello degli Strali. Quello stesso martello che ora Zoras, a metà fra la vita e la morte, stringeva in mano. Quel magnifico martello magico gli ricordava tantissimo il Maglio di Ozmar, l’arma che il suo Patrono gli aveva donato ai tempi del mito. Quante cose erano cambiate da allora, così tante.
Ne era davvero valsa la pena? Valeva la pena che tutti i suoi compagni morissero perché lui imbracciasse il martello e fermasse il Caos? Ma può il Caos fermare se stesso? Cosa aveva dovuto affrontare per arrivare fin laggiù, in un antro mistico sperduto su isole lontanissime dalla sua patria. Lì, nella Grotta di Madreperla si stava consumando l’ultimo atto di una battaglia che decideva le sorti di un intero mondo.
E nulla rimaneva più in quel luogo. I suoi amici erano stati sconfitti.
Gli adepti di quella mostruosa divinità, incarnatasi davanti a lui, erano stati spazzati via da quel gruppo di avventurieri e dalla furia del loro stesso Dio. Era rimasto solo lui. Lui, e ciò che quei demoniaci sacerdoti avevano evocato: l’Avatar di Goraxis.
A guardare quell’abominio ergersi di fronte a lui, Zoras si meravigliava di quanto fosse diverso da com’era descritto nel Libro di Odin. Quel dannato libro l’aveva fatto tribolare ai quattro angoli del mondo per decifrare i segni e le profezie in esso contenuti. Ma ora era tutto chiaro, era un evento destinato, e lui aveva due sole opzioni, vincere o morire.
Goraxis era lì, un immenso gigante di ossidiana. Occhi di cristallo viola che sembravano bruciare come tizzoni ardenti e ondate di caos nero, come anelli di fumo, lo avvolgevano e stravolgevano la natura stessa della realtà intorno a lui. Se quel mostro avesse calpestato le terre delle razze libere, nulla sarebbe rimasto in piedi.
Tutto sarebbe diventato desolazione, morte, sofferenza e oblio. Questo era ciò che sarebbe stato del mondo. Caos, distruzione, male. Lui era l’ultimo baluardo rimasto a fermare tutto questo, lui che era caos, distruzione e… bene.
Non poteva cedere, non ancora. Zoras ruggì e fece esplodere dentro di sé la rabbia del Caos. Il sudario di basalto e rubino era arrivato fino al petto ormai. Non c’era più tempo. Raccolse nel profondo ciò per cui era stato mandato in quel luogo, il potere dell’entropia. Le onde di forza che avvolgevano Goraxis cominciarono a fluttuare e a vorticare attirati dalla rabbia del guerriero dal sangue di drago.
Goraxis ruggì di rimando, un suono orripilante simile ad una valanga di rocce che s’infrange in un mare di magma. Il Caos si alimentava fra quelle furie senza fine. Anche Zoras, ora, era avvolto dalle spirali nere di quella forza primordiale. La natura stessa della Grotta di Madreperla si andava alterando, le rocce diventavano fango e polvere, il tessuto della realtà si stava spezzando.
Fu lì che Zoras il mezzo-drago riuscì dove nessun altro avrebbe potuto. Animato dalla pura forza del Caos, liberò il Martello degli Strali dalla morsa di pietra che lo attanagliava. Con forza sovrumana il guerriero fece mulinare l’arma nella sua mano, raccogliendo attorno ad essa le spirali di entropia e la forza del fulmine.
Poi lo scagliò.
Lucente e veloce come una cometa, il martello volò dritto contro il mostruoso Avatar di Goraxis. Il Dio della Distruzione tentò di fermare quel devastante proiettile con la sua enorme mano di ossidiana ma l’impatto gliela distrusse in migliaia di frammenti senza minimamente ostacolare il suo percorso.
Il martello colpì il bersaglio, così com’era stato scritto. L’arma magica s’infranse in mezzo agli occhi del mostro, spazzando via Caos, Distruzione e Male. L’Avatar del Dio cominciò a frantumarsi e a diventare cenere di fronte al volto fiero di Zoras.Il mezzo-drago sorrideva mentre il sudario magico si chiudeva intorno a lui imprigionandolo per l’eternità.
Vincere o morire? All’Araldo del Caos non era mai piaciuto scegliere, quindi decise che era giusto che andasse così.
Vincere e morire.
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