
Edito da Marotta&Cafiero Editori nel 2018 • Pagine: 356 • Compra su Amazon
5 settembre ’43. Ciro ha poco più di vent’anni e si trova con il suo plotone vicino al Brennero, quando i comandi dell’esercito sembrano svanire nel nulla. Inizia l’odissea di un soldato sbandato, ignaro di ciò che sta accadendo, in un paese occupato da alleati che improvvisamente diventano nemici. Raggiunge casa, in un paesino vicino alla Spezia, ma nonostante l’armistizio la guerra non è finita. I tedeschi sono ovunque, i fascisti si riorganizzano. Ritrova i suoi coetanei, anch’essi sbandati, ed iniziano ad organizzarsi clandestinamente. I nazifascisti li chiamano banditi, la gente patrioti e Ciro diventa il partigiano Fulmine.
Sabotaggi, fughe, combattimenti, guasconate si intrecciano in vicende riaffiorate dai racconti di un nonno che ha combattuto la lotta partigiana, tra monti e valli della Lunigiana, storie in cui si racconta del popolo e non dei re, dove i fatti realmente accaduti si fondono con il romanzo di chi le ha ascoltate, evocato dalle emozioni suscitare tra paesaggi e ricordi, curate da una ricerca documentale che li ricolloca cronologicamente nel quadro storico in cui si sono svolte. Storie di scelte, compiute con la coscienza di essere dalla parte giusta e cadenzate dai versi di Italo Calvino: “Non è detto che fossimo santi, l’eroismo non è sovrumano. Corri, abbassati, dai balza avanti! ogni passo che fai non è vano”.

Venerdì sera, 20 aprile ‘45. Comando della 1a Compagnia, Brigata partigiana“Val di Vara”, Casa Cucchero.
Il sole sembra che mi stia abbandonando. I suoi raggi tremuli tentano di scaldarmi le spalle, senza troppo successo. Alcune folate di vento si alzano dal fondo valle e salgono fino ai monti; mi sferzano il volto. La vallata si apre ai miei occhi, il cielo è terso, di una limpidezza indescrivibile. Ad occhio nudo vedo il mare. una sensazione di pace mi invade. Sembra impossibile essere in guerra. Sono più di diciotto mesi che la mia vita è qui, tra queste asperità, tra queste valli, in mezzo a questi boschi. probabilmente in tutto questo tempo non ho preso realmente coscienza di quanto sia bello questo posto, di quanto sia meravigliosa questa terra. Quanto tempo. Diciotto mesi sembrano nulla, ma qui, tra i monti, sono un’eternità, anche se la cognizione del tempo sembra cambiare, con gli stati d’animo, con l’incedere degli eventi, e del tempo stesso. mesi che sembrano minuti, minuti che valgono anni, un tempo che pare lungo quanto una vita, un tempo in cui le vite spariscono nel nulla, rivoltate come un calzino, travolte e sconvolte da eventi imprevedibili, nel bene e nel male. un nulla, eterno quanto il sibilo di un proiettile che ti passa accanto, eterno quanto il rumore della sicura di un mitra, che rompe il silenzio del bosco gelandoti il sangue nelle vene, perché il pensiero che ti balena nella testa, in quel nulla, è che chi ha caricato quel mitra sta cercando te. Un nulla lungo quanto il bagliore dell’esplosivo al plastico che illumina la notte dopo aver distrutto un obiettivo, lungo quanto il fragore di un ponte o di un traliccio che ha appena fatto crollare. Qui i sogni si tramutano in profonde paure, desolanti tristezze mutano in vibranti gioie ed ignoti orizzonti appaiono certezze, che svaniscono dal tramonto all’alba per poi rinascere, cullate da speranze che, fortunatamente, non sentono ragione di morire. in fondo, oggi, la vita sembra un bene prezioso quanto effimero, tanto la mia, quanto quella delle persone a cui tengo, sembra qualcosa che vale tanto, ma in un nulla e per nulla puoi perdere, così ti accorgi quanto sia bello un bosco, un fiore, un merlo. L’imbrunire dura un batter d’ali, e la notte non tarda a calare.
L’assenza della luna lo rende ancor più scuro, un buio profondo che aiuta a perdersi nella notte, con il naso all’insù, nel divagarsi in una lenta conta delle stelle. Una ad una, immobili, per farsi guardare e contare, mentre le folate sferzano con maggiore convinzione la piccola spianata alle mie spalle, quassù, in cima ai monti. Il vento raggela, come quelle notizie che giungevano dalla valle, quando ventimila uomini armati fino ai denti salivano su per i sentieri a cercarci, per rastrellarci. Anche se di tanto in tanto sono percosso da qualche brividi, resto seduto a guardare l’orizzonte. Il vento si insinua tra i capelli, accarezza il volto, scende dai profili delle asperità che ci circondano, suona tra le boscaglie, muovendo ed agitando le fronde degli alberi, avvolge e riempie i polmoni, come una liberazione. Quasi sembra cullarmi, come se volesse infondermi tranquillità e speranza, come se sapesse che stiamo preparando l’ennesima partenza, un’altra missione è imminente, e questa volta tutta la Brigata è mobilitata. Non si tratta di un attacco a qualche colonna nemica, o di un sabotaggio. Nessuno di noi immagina cosa ci attenderà domani. In ogni caso, domani sarà domani, ora voglio solo ascoltare questo vento.
Il mitra mi penzola su un fianco, forse è stanco anche lui di questa guerra. Chissà se gli oggetti che ci hanno accompagnato sono stanchi quanto i corpi che li hanno usati. Sistemo la tracolla con la mano sinistra, quel tanto che basta per consentirmi di prendere una sigaretta dal taschino della giacca. Con l’altra mano cerco un fiammifero nella tasca laterale dei pantaloni e mi accorgo di avere un buco sul fondo, un foro nella fodera interna, ma non abbastanza grande da perderci qualcosa. Cosa può perdere chi non ha nulla? Ho solo la mia vita, che non trova posto nella tasca bucata di un paio di braghe, stanche e logorate. Intorno a me, in un momento in cui non si vede altro che morte, ho la mia vita e quella delle persone che la vivono con me. non è certo una vita facile, ma la vivo, e per farlo tocca imbracciare questo mitra, e combattere. Afferro la sigaretta tra le labbra e adagio il mitra sulle gambe, mentre con lo sguardo scruto la vallata, quasi rapito. La mano destra continua insistentemente a giocare con il buco nella tasca dei pantaloni, consunti, sfiniti. Anche loro sembrano esausti di questa guerra. Accendo la sigaretta, tiro una boccata, poi lascio che il fumo esca, stancamente, dalla bocca e dal naso. Una voce giunge alle mie spalle:
– Guardi il panorama? – mi volto e dietro di me una figura nella penombra avanza, con il mitra ciondolante su un fianco. Giuliano. Un altro tiro alla sigaretta, ed i miei pensieri prendono voce:
– Non sembra nemmeno di esser ad aprile. Anche se ormai questo vento l’abbiamo sentito talmente tante volte sul viso, nelle ossa, che ormai sembra come un braccio, come una gamba. Fa parte di noi, è dentro di noi. –
Mentre parlo, giochicchio con la sigaretta tra le mani, si avvicina, si siede accanto e mi domanda.
– Sei pensieroso? –
Lo guardo e gli sorrido. Poi un profondo sospiro anticipa la mia risposta:
– Avrei voglia di fare una bella partita a scopone. –
Contraccambia il sorriso e con un tono scocciato mi replica:
– Smettila di canzonare. Dico seriamente. A che pensi? –
– Sono serio. Avrei voglia matta di fare uno scopone come si deve. Una bella partita a scopone… – la frase resta sospesa nell’aria, forse involontariamente, o forse perché quelle parole attendono l’azzuffarsi dei pensieri: un tavolo dell’osteria, una sala fumosa, Giuliano di fronte a me con le carte in mano, il settebello, la primiera, le carte prese ammucchiate sulla mia destra, contate, tenute a mente, qualche tentativo di sparigliare andato a vuoto, una scopa, le bestemmie. Un’espressione aggrottata gli si forma in volto, come se non fosse per nulla convinto della mia risposta, come se intuisse che i pensieri che mi ruzzola in testa si intreccino l’un con l’altro, senza svelarsi realmente. In quella pausa mi esce dai polmoni un sospiro, accompagnato da un filo di fumo della sigaretta, e poi proseguo – …ti immagini? entrare all’osteria, giù in paese, io e te e farsi un bello scopone, con chi c’è. Senza il timore che dalla porta entri un tedesco, un fascista, o che qualcuno li mandi a chiamare perché ha visto due partigiani. –

Come è nata l’idea di questo libro?
Per non lasciare alla tradizione orale una serie di testimonianze dirette della Resistenza, che narrano la vita di quelle persone con molta semplicità e senza nessuna retorica. Raccontare una storia nella Resistenza per comprendere la scelta morale di chi l’ha animata.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Ho dovuto affrontare due difficoltà. La prima relativa alla ricerca di documentazione in grado di aiutarmi dalla ricostruire la cronologia degli eventi che ho ascoltato alla restituire delle figure più possibili attinenti alla verità. La seconda di ordine emotivo, perché ho affrontato intimamente le esperienze di un uomo che mi ha insegnato tanto.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Affrontando un lavoro di questo genere ho poggiato su spalle di giganti come Calvino e Beppe Fenoglio. Del primo ho cercato di riproporre lo spirito che ha tratto dalla Resistenza (“Non è detto che fossimo santi, l’eroismo non è sovraumano”), dal secondo la necessità di legare alla lotta di Liberazione i sentimenti e le emozioni con i luoghi in cui i partigiani hanno combattuto.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo da sempre nella provincia della Spezia. Prima in un paese della val di Vara (Follo), ora in una borgata marinara della città (Marola).
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
La scrittura mi accompagna fin da quando ero un liceale. Questo è il mio primo vero lavoro letterario e vorrei che questo libro sia uno strumento di memoria e di riflessione non solo sul passato, ma soprattutto sul presente e sul nostro futuro. Non nascondo che mi piacerebbe riproporre, nel genere “romanzo storico”, altre vicende molto entusiasmanti di personaggi particolarmente interessanti della Resistenza.