I gatti vedono meglio al buio
Edito da Robin Edizioni nel 2020 • Pagine: 296 • Compra su Amazon
Una sequenza di omicidi ferisce Trieste. Le indagini si scontrano con la spietata normalità delle vittime, così banali da apparire incolpevoli. Sullo sfondo si muovono personaggi variegati eppure umanissimi: un barbone, un mercenario, un cieco che fotografa il mondo senza vederlo, un commissario ossessionato dai dettagli, un pazzo che conta le facce, una pittrice che dipinge la Morte e così via. Guidati dai loro sensi primari, vagano alla ricerca di direzione e di punti di riferimento, in un gioco dove la bellezza viene messa in discussione e la parte femminile e maschile del mondo si confondono e completano. Tra dettagli rumorosi che rubano la visione d’insieme, un manipolo di avatar, nascosto dietro ad uno schermo, tace ma giudica sul social network Ckaos.
Il commissario Bessi, metà dei suoi quarantacinque anni spesi in polizia, è abituato ad usare sguardo, domande e silenzi come coltellate investigative, eppure fatica a risolvere il rebus triestino. Avido solitario, si rimprovera un paio d’occhi troppo tarati sui dettagli e due baffetti sbagliati per la sua faccia. Ordinatissimo in cuore e cervello, riconosce e giudica il disordine d’animo altrui e le infinite commedie recitate da testimoni, indiziati e persino vittime. Detesta il web come moltiplicatore di vite e storie, eppure lo sfrutta come impietoso rivelatore di micro-verità. Per divertirsi, provoca e osserva le reazioni della gente all’inaspettato, per questo guida una vetusta Ford Taunus gialla… anzi, “d’epoca” e color “Sahara beige”. Per trovare indizi, il commissario stavolta dovrà ripudiare i dettagli più sofisticati e inoltrarsi nel luogo più scomodo, grezzo e inospitale che esista: l’animo umano.
Ometti e identikit Bessi frugò nel cassetto, ordinatissimo, della sua scrivania da poliziotto. Non era stato, però, sempre così serio e ligio. In gioventù aveva passato un anno insofferente a indagare con
indole romantica le recondite pieghe del mondo, ricavandone null’altro che piaghe sulle piante dei piedi e delusioni come aghi infilati sottopelle. Viaggiava per monotonia, partiva alle prime luci dell’alba, arrivava sempre e comunque tardi, e quando arrivava a destinazione non sapeva più perché era lì. Era un uomo solitario, sì, ma non un uomo solo. Sfuggiva i vampiri affettivi, ecco tutto.
Spesso lavorava sino a tardi. Due minuti in più non potevano cambiare la sua vita, quella di qualcun altro forse sì. Perciò non si lamentava. L’abito da vittima gli era sempre sembrato fuori moda e poi a lui, con i suoi fianchi allargati dall’esperienza, sarebbe comunque sempre andato stretto. La sua dedizione al lavoro faceva sì che attribuisse particolare importanza al mestiere degli assassinati. Perché, e lui l’aveva provato sulla propria pelle, il lavoro che fai è quello che sei, il lavoro che fai ti cambia.
Rilesse stralci dei suoi appunti e pensò ai quattro casi precedenti all’attuale, tre uomini e una donna ammazzati con un colpo di arma da fuoco. “Schema per schema, non abbiamo
raggiunto nemmeno la parità di genere” rifletté tra sé e sé, con mesto sarcasmo. Anzi, se ne erano ancor di più allontanati con l’ultimo omicidio. Chissà se il killer se ne era accorto e
avrebbe aggiustato il tiro. La lista era agghiacciante nella sua singolare normalità:
1) un uomo di sessant’anni, celibe, invalido civile;
2) una donna di quaranta, sposata, casalinga, madre di due figli;
3) un uomo di cinquantotto, negoziante, sposato e padre di un figlio;
4) un giovane di trent’anni, magazziniere, fidanzato.
Tutte vite ordinarie. Il delitto in quelle vite sembrava fuori posto e lui ormai detestava il disordine.
– Commissario, c’è un signore che desidera parlare con lei… Solo con lei.
Prevedeva già una qualche perdita di tempo che gli avrebbe fatto venire l’emicrania, ma acconsentì.
Un ometto qualsiasi entrò nel suo ufficio e si presentò.
Nome ordinarissimo, giacca pezzata, cravatta e pantaloni scuri. Vestito a festa, a quanto sembrava. Per alcuni andare alla Polizia era un evento di primo piano nel grigiore apatico delle loro giornate. Quel piccolo uomo insignificante, per giunta, pareva la caricatura zoppicante di qualcun altro. Occhi impercettibili dietro un paio di occhiali pesanti e dalle lenti spesse, sopracciglia massicce, mani minute, braccia grassocce, espressione indefinita.
– Debbo riportare un crimine – partì subito, dopo essersi accomodato, la voce un po’ in falsetto.
“Un habitué della testimonianza” penso lui.
– Un crimine?
– Come si dice quando uno muore e qualcun altro lo fa morire?
– Omicidio? – esitò Bessi nel chiedere.
Gli occhietti extra-small si erano allargati di una taglia. O almeno così a lui parve.
– Giuseppe, vieni un attimo! – e invitò un collega a raggiungerlo, per condividere la stranezza di quei momenti. Un uomo biondiccio sulla trentina, altissimo, con occhiali leggeri, bardati di nero fece la sua comparsa e si posizionò di lato, accanto alla scrivania del commissario. Rimase in piedi, perché Giuseppe Furlan, triestino e allampanato da generazioni, era così, non si sedeva mai, forse sperava di crescere ancora un po’.
– Sì, sì, non le conosco io le vostre terminologie, eppure i gialli li guardo, in tv…
– Va bene, va bene. Torniamo a noi… Questo omicidio…dove è accaduto? Lei come lo ha scoperto?
– In un palazzo di periferia…
– A quale indirizzo?
Giuseppe era diretto, come al solito, la voce baritonale e ferma mentre interveniva. Bessi guardò quasi con commiserazione il collega che aveva trascinato lui in quella conversazione allucinata e che ora si illudeva di ottenere la risposta giusta da un testimone già manifestamente sbagliato. Chissà se l’averlo coinvolto poteva valergli un’accusa di crudeltà verso i subordinati.
– Non lo so di preciso…
Aveva detto o no che sarebbe stata una perdita di tempo? Quanto all’emicrania, già la sentiva grattare il suo cervello.
– Vabbè… La vittima? Chi è la vittima?
– Un uomo di mezza età…
– Lei ha assistito all’omicidio?
– No, non ancora.
– Che vuol dire non ancora?
Il sempre pacato e razionale Giuseppe arrancava in quel marasma illogico, ma teneva duro. Dal canto suo, il commissario riusciva ancora ad imporsi una postura in tensione, come
se realmente teso nell’ascolto delle parole dai risvolti minuscoli di quell’uomo piccolo. Se ne sentì orgoglioso.
– Non c’è ancora stato…
– Ahhhhhh… – Il commissario finse di abbandonarsi sulla sedia mentre riguadagnava nuovamente il comando dell’interrogatorio. – Quindi, non parliamo di un omicidio avvenuto,
ma di un sospetto che lei ha…
– Mah, un sospetto… No, non è un sospetto, è una certezza…
Si sentì sconfitto.
– Come sa che avverrà questo omicidio? Lei è in contatto con il presunto assassino? – Giuseppe non demordeva e Bessi era ben contento di lasciarlo fare.
– In contatto… No…
– Ma sa chi è?
– Certo, è ovvio, è per questo che sono qui, no?
– Bene, allora ci dica chi è.
– Ma sono io!
– E chi vuole uccidere? – incalzò ancora il collega del commissario, una striatura di sudore sulla fronte, la statura ora menomata da una curvatura innaturale della schiena. Bessi
pensò che, di certo, come lui del resto, stava tentando di dare un senso a quell’ometto soporifero, che parlava piano, ma con irritante prosopopea.
– Non lo so, per questo sono venuto. Spero che con quei disegni che sapete fare voi si veda meglio la faccia…
– Un identikit della vittima?!
– Sì, ecco, un identico, un identico.
Bessi sospirò. Non bastava la nebbia scesa sui suoi pensieri, ci si mettevano anche tipi come quell’ometto. Il mitomane mesto della porta accanto con qualche rotella andata di traverso nottetempo, l’ennesimo aspirante colpevole rigurgitato dalle pagine meno lette e meno rilevanti di una storia di cronaca nera. Che strano, la gente era intrigata dal perpetratore più che dal persecutore, come se fosse l’assassino l’eroe del delitto e non chi lo risolve…
Vero, era affamato di indizi. Era arrivato persino a sperare che, come in un film, il killer arrivasse a tempestarlo di messaggi scritti con un normografo o con lettere ritagliate da
un giornale, sfidandolo a prenderlo. Ma aveva dovuto rassegnarsi: nell’era di Internet la gente ormai da anni non scriveva più, figuriamoci se lo avrebbe fatto l’assassino! Il web, però,
non aveva avuto alcun effetto su personaggi come quello seduto davanti a lui, che continuavano imperterriti a inquinare il mondo rendendosi ridicoli.
Scambiò una rapida occhiata con il collega. Erano sfiniti entrambi dalla pochezza di quell’interazione.
– Va bene, senta, abbiamo i suoi dati, la contatteremo quanto prima per parlarne meglio.
***
Rientrato a casa, quello che la gente, con leggerezza e superficialità, avrebbe definito ometto si chiese cosa avessero nel cervello i poliziotti di oggi. Chiedergli se era in contatto
con l’assassino… Ma chi mai avrebbe desiderato esserlo? Non si può essere in contatto con un assassino… Un assassino è un assassino. Tutti gli altri sono tutti gli altri. Che domande!
Il punto era ben più serio: se tu, investigatore, non sai chi è il prossimo a morire, brancoli nel buio, ma puoi ancora cercare la luce; però, se nemmeno il killer sa chi è la prossima vittima,
allora sei fregato. Come poteva la Polizia non capirlo?
Con la rapidità e la sicurezza dati dalla pratica, si tolse di dosso la giacca pezzata, gli occhiali pesanti, l’espressione tonta dalla faccia e quella lentezza verbale e di movimento che tanto aveva tediato quei due servitori dello Stato.
Poi rise, rise di gusto. E non rideva affatto spesso.
***
– Magari l’assassino è proprio lui. Sarebbe il male minore, commissario… – scherzò il collega più tardi, davanti ad un caffè.
“Il male minore… Sciocchezze. Il Male non è mai minore” pensò il commissario. “Altrimenti non si chiamerebbe Male.”
Il buon Giuseppe non aveva tutti i torti, però. Da quando tutta quella maledetta storia era iniziata si era spesso soffermato lui stesso a guardare la gente per strada, chiedendosi se
il colpevole di tutto quel casino fosse lì, a passeggio in quelle strade, magari il tizio ordinario a spasso con il barboncino sul molo o la signora con le buste della spesa che annaspava
inerpicandosi su una delle tante e suggestive strade in salita della città.
Internet gli dava un motivo in più per pensarlo. Bessi aveva un profilo social, sul network di punta, non lo usava per scrivere ma per osservare. In particolare, gli piaceva studiare
le pagine delle persone con le quali il suo lavoro di investigatore lo metteva in contatto. Vittime, perpetratori, testimoni o sospetti, poco importava, perché da quei profili aveva imparato come la gente fosse capace di fingersi ciò che non era e di farlo con assoluta disinvoltura.
Il suo killer era a un passo da lui, accucciato dietro quel brusio quotidiano di donne e uomini? Tutt’altro che impossibile.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea di questo libro non è nata in un momento preciso. Alcuni dei personaggi mi frullavano in testa da anni, stralci delle loro personalità e visione della vita sono stati scritti qua e là nel tempo e aspettavano solo di essere combinati a formare una storia. Pur detestando la violenza e la sua spettacolarizzazione, ho sempre avuto un forte interesse a comprendere le architetture mentali altrui e le sottili dinamiche del male; cimentarmi nel mio primo giallo mi è sembrato il modo migliore per mettere a frutto la mia innata tendenza ad osservare l’umanità nelle sue imperfezioni e barcollamenti. Ho avuto in passato svariate vite professionali che ora, da consulente del settore difesa, ho assemblato nei loro principi cardine per aiutare efficacemente i professionisti del mondo militare internazionale a restare vivi, insegnando loro a gestire la complessità dell’ambiente civile che circonda le operazioni militari. Questa poliedricità lavorativa mi ha permesso di entrare in contatto con una moltitudine di persone e con i loro diversi contesti ambientali, apprezzandone la molteplicità di punti di vista e di opinione. Ad oggi, anche per i miei recenti studi in psicologia e ipnoterapia cognitivo comportamentale, ho a che fare tantissimo con la Vita, negli sforzi che vedo la gente fare quotidianamente per viverla e, in egual modo, con la Morte, attraverso i racconti di chi l’ha incontrata e schivata di poco.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
In un momento per me molto difficile (tarda primavera 2018), quando la mia vita sembrava bloccata, un concorso letterario online è stato l’input che mi ha spinto, dopo anni di procrastinazione, a sedermi e scrivere. Incoraggiata dall’aver superato la prima fase selettiva e pungolata dalla deadline finale, ho terminato la stesura nel giro di circa tre mesi. Un dettaglio simpatico è che non avevo certezza di chi fosse l’assassino sino a quando, a metà scrittura della prima bozza e in aereo per un viaggio di lavoro, il personaggio del killer, prima non presente, mi si è palesato dal nulla. Scrivere “I gatti” è stato come costruire un puzzle senza un disegno madre a fare da guida, con tessere che man mano si sono organizzate in modo quasi autonomo, un’esperienza piacevole che considero figlia della mia abitudine alla resilienza. La recente fase di editing, avvenuta durante la quarantena e quindi nuovamente in un momento di stallo forzato, è stata poi estremamente proficua. Il supporto di una editor professionale e preparata (Giulia Lopopolo) unito al distanziamento temporale dalla prima stesura ha fatto sì che alcuni nuovi passaggi siano emersi in modo naturale, e il testo ne sia uscito rafforzato e arricchito di molto.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sono stata una lettrice precocissima, soprattutto di classici. Per quel che riguarda il genere giallo, pur apprezzando Agatha Christie, Camilleri e Faletti non ho, in realtà, autori di riferimento che influenzino la mia scrittura.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Tranne una parentesi romana di quattro anni, sino a due anni fa ho vissuto stabilmente a Trieste, città rappresentata nel libro con le sue bellezze e punti di forza. Ora, oltre a viaggiare molto per lavoro, divido il mio tempo tra Muggia, in provincia di Trieste ed una cittadina inglese vicino Londra.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Dopo anni in cui mi sono limitata alla poesia (potete scaricare gratis la mia raccolta poetica ed un racconto breve sperimentale sul mio sito www.elisabettabenedetti.com) mi sono ora affezionata alla nuova veste di giallista. Con la nuova trama che ho già in mente, spero di proseguire l’avventura del commissario Bessi e della sua Ford Taunus gialla a Trieste, uscendo con un secondo libro nella collana “I luoghi del delitto”.
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