
Edito da La Rondine nel 2020 • Pagine: 202 • Compra su Amazon
All’alba del Novecento «qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché, senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato». Com’è noto, nel volgere di un anno una giustizia folle e inafferrabile condurrà gli eventi al tragico epilogo della pena capitale e di una raccapricciante esecuzione sommaria. «Giuseppe» è la trasposizione di quella storia nell’epoca in cui l’imponente processo della morte di Dio, che il nietzschiano epitaffio data a oltre un secolo addietro, è giunto alla dissoluzione dell’autorità e della giustizia. Narra il salto dal mondo della drammatica «Lettera al padre» a quello in cui i padri portano i jeans strappati e le scarpe da ginnastica e si muovono, ragionano e vivono come i loro figli. Nel ventunesimo secolo la tragedia dell’alter ego di Franz Kafka si capovolge: non più un innocente assassinato da una giustizia onnipotente, ma un colpevole sopraffatto dalla colpa, causa l’impotenza della giustizia e la sua impossibilità ad attendere alla propria funzione sociale: imporre all’imputato una pena, salvandolo e risparmiando alla collettività violenze e sofferenza.

L’avvocato è un tipo robusto, sui sessanta, completamente calvo, poggiati sul grosso naso degli occhiali grandi di metallo con le lenti brunite. Dà un’idea di forza, pare di vederlo nel corpo a corpo dell’arringa, ce lo s’immagina ammutolire l’accusa, ammaliare la giuria popolare, dare del filo da torcere anche al giudice togato. Però alla sua età ancora sgomita coi colleghi di trent’anni anni per un cliente, questo dà da pensare. E nonostante tutto non deve avere un grande giro, se gli appuntamenti li fissa dalla mattina al pomeriggio.
«Sono stato in tribunale» ha detto Giuseppe dopo un momento che lo scrutava.
«Nel tribunale digitale» l’ha corretto l’avvocato, anche lui assorto a osservarlo.
«Come lo sa?»
«Sono i primi ad arrivare: con le provvigioni che prendono…»
«Io la paura che ho è che la colpa non la levi, solo perché pago? Forse è solo l’abitudine, ma ho in testa il processo, la condanna, il carcere. È terribile il senso di colpa, ho bisogno di aiuto, non ce la faccio più, dopo il fatto ho smesso di vivere, le pare possibile? La pena di morte il nostro ordinamento non la esclude?»
«Sì, certo.»
«Anche se ho ucciso un uomo?»
«Ucciso nel senso che è morto?»
«Quale altro senso ci può essere?»
«Il linguaggio è fuori controllo, non ci sono più regole, ognuno si esprime secondo il proprio mondo interiore. Le riformulo la domanda: la controparte è deceduta precisamente a causa sua? Cioè a causa di un’azione concreta che lei ha oggettivamente compiuto?»
«Io… Gli ho sparato.»
«Con un’arma da fuoco?»
«Con cos’altro si può sparare?»
«Non posso dare nulla per scontato, a lei è tutto chiaro perché era presente.»
«Era una pistola.»
«La controparte è deceduta esclusivamente a causa della sua condotta?»
«Quale condotta?»
«L’aver esploso uno o più colpi di arma da fuoco.»
«Ma per carità! Solo uno ne ho sparato, uno solo, è perfino strano che sia morto.»
«Il decesso potrebbe essersi verificato per un’altra ragione; magari un infarto, succede, lo spavento.»
«Sarebbe una coincidenza incredibile.»
«Il nesso causale passerebbe da diretto a indiretto, la differenza è sostanziale. Un’altra possibilità da perlustrare è che l’abbia colpito di rimbalzo.»
«Mi pare che si arrampichi sugli specchi, scusi.»
«Devo vagliare tutte le possibilità, se devo farla assolvere.»
«Ma no, io ho bisogno di essere condannato, al telefono gliel’ho detto, devo capire qual è la condanna giusta, quella più efficace per la colpa. Penso in continuazione a quello che ho fatto, vedo quell’uomo steso per terra, immobile. Lo vedo un istante prima, vivo, che mi fissa…» Emilio! Giuseppe ce l’ha davanti, gli corre incontro, è di nuovo fuori della banca quella mattina, nella strettoia del tiglio; però non lo guarda in modo minaccioso, non è come se lo ricordava, come l’aveva visto in quel momento, è diverso. Sembra offeso, sembra un bambino, ha gli occhi di un bambino disperato, ma perché lo guarda così? Giuseppe per lo spavento si era bloccato, a Emilio sarà sembrato che volesse sbarrargli la strada. Si sarà sentito in trappola, stava scappando, aveva il mondo contro.
«Mi sta seguendo?» ha detto l’avvocato.
«Scusi.»
«Stavo dicendo che il sentimento di colpa in linea generale è normale, ma se la fa soffrire troppo diventa un problema. Il problema vero però è che lei è colpevole.»
«Grazie tante, lo sapevo da me.»
«Non in quel senso. Tecnicamente gli imputati si dividono in due categorie: innocenti e colpevoli. Gli innocenti sono soggetti convinti di esserlo: si sentono più innocenti ancora che se lo fossero davvero, sono innocenti in modo assoluto, mentre i giudici di quello che fanno sono convinti solo fino a un certo punto, un punto normale, quotidiano diciamo, sicché contro questo tipo di imputati non hanno energie sufficienti e finisce immancabilmente che li assolvano. E poi ci siete voi, i colpevoli, cioè i soggetti convinti di esserlo: ne siete così convinti che quando capitate in un procedimento il giudice ha da fare i salti mortali per cercare di assolvervi. Voi sembra che collaboriate, che davvero vogliate difendervi, voi stessi ne siete convinti, ma sotto sotto remate contro, neanche ve ne rendete conto, fate di tutto perché vi condannino, e naturalmente ci riuscite.»

Come è nata l’idea di questo libro?
Vagando nei miei pensieri riflettevo sui tempi odierni, contemporaneamente avevo in mente Franz Kafka, i suoi rovelli, le sue storie, e ho pensato: quello che è accaduto a Josef K. oggi non potrebbe ripetersi, e mi sono chiesto come sarebbe quella storia oggi. Al contrario, ho pensato: oggi Josef K. sarebbe un colpevole a cui la giustizia non sarebbe in grado di dare una condanna, omettendo di sgravarlo dal peso della colpa e in questo “condannandolo”.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Difficile non direi, parlerei di tantissimo, tantissimo, tantissimo lavoro, per tre anni tutto il tempo libero, ogni istante, tutti i pensieri. E di momenti di terribile scoramento.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Oltre a Kafka, Cervantes, Joyce, Proust e De André.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
In Trentino in riva al lago di Garda; in passato in Trentino non in riva al lago di Garda.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Un romanzo sul tempo, uno sulla potenza degli oggetti, uno sulla città come luogo che racchiude tutto il mondo e una serie simil poliziesca in cui i casi si incasinano talmente da non poter mai essere risolti.
Interessante
Mi pare encomiabile l’intento di conversare con la grande letteratura, l’idea è intrigante, lo leggerò
:-)