Edito da Guida Editori nel 2020 • Pagine: 253 • Compra su Amazon
L’opera parla di una migrazione al contrario. Dall’America a Napoli. Racconta la vita della famiglia De Sio dagli anni 70 fino agli anni 90. Un percorso affrontato con ironia ed un pizzico di amarezza, raccontando la storia di Napoli e dell’Italia di quegli anni, in tutte le sue peculiarità, attraverso quattro chiavi di lettura. Dalla buona musica, all’arte, dal buon cibo fino alla passione di una famiglia orgogliosamente meridionale. Dal sogno e dalle note dello storico concerto di Woodstock che aveva contraddistinto l’America di fine anni 60, al ritorno a Napoli, affrontando gioie e dolori di una città sempre in continua evoluzione. La piaga del colera, il terremoto ma anche la rinascita, la gioia per la vittoria degli scudetti e quella vitalità che ha sempre reso Napoli una città unica e appassionata. Una città che porterà i De Sio alla realizzazione di un sogno, attraverso quel ristorante di famiglia in cui musica, buon cibo, arte e passione saranno gli ingredienti principali.
Prima di partire per New York la vita di Roberto era sempre stata segnata da un unico filo conduttore, la musica e non appena mise piede nella sua Napoli, capì subito il perchè. Spesso tornava indietro con la memoria, a quando era ragazzino, alla maturità, ai giorni prima della partenza. Fu durante le scuole superiori che la sua passione crebbe in modo esponenziale. Aveva frequentato Ragioneria, l’Istituto Armando Diaz nel centro storico di Napoli, in via dei Tribunali e da li aveva ampliato anche il suo giro di amicizie, soprattutto tra via Santa Maria la Nova e via Sedile di Porto, meta di bettole e taverne dove si poteva ascoltare della grande musica dal vivo. All’epoca non era di certo un ragazzo ingenuo, ma come tutti i ragazzi della sua età era facilmente influenzabile e le vie del centro storico di Napoli potevano essere ricche di insidie e pericoli in quegli anni, soprattutto per ragazzi per bene come lui. Luisella non aveva mai approvato infatti che il figlio trascorresse le sue serate tra quegli infratti sudici e ricchi di tentazioni. Avrebbe preferito frequentazioni più altolocate, magari tra la Riviera di Chiaia ed il Vomero ma non se la era mai sentita di imporre luoghi e persone da frequentare al figlio. All’epoca, cercava la complicità di Antonio ma quella non c’era quasi mai ed era un aspetto del loro rapporto che la mandava su tutte le furie. Antonio era cresciuto in quelle vie. Ai suoi tempi erano costellate di guappi, criminali, ma anche da tanta, tantissima gente per bene. Gente che sa esserti veramente amica per quello che sei e non per biechi interessi o opportunità. Era convinto che anche ai tempi di suo figlio lo scenario non fosse cambiato. “Non è dove ti frequenti che ti rovina la vita”, le ripeteva sempre, “ma chi frequenti…”. Aveva fiducia in suo figlio e sapeva che non si sarebbe mai messo nei casini. A Roberto piacevano gli amici che aveva incontrato negli anni delle superiori. Erano sognatori, interessati alla vita e ai piaceri che sapeva dare. Non avevano né arte, né parte ad esclusione di un grande talento per la musica. Da quando era partito per gli States, aveva praticamente perso tutti i rapporti con le vecchie amicizie. In alcuni casi ne era contento, in altri mostrava un po’ di dispiacere ma il coraggio di fare il primo passo, magari una telefonata o semplicemente prendere un caffè non c’era e allora lasciò che fosse il destino a decidere se avrebbe mai rivisto alcuni di loro. I luoghi dove ascoltare buona musica, invece, erano sempre gli stessi e tutti dislocati nelle viuzze del centro, dalla zona universitaria fino alla Posta Centrale. Piazza Santa Maria la Nova era uno dei punti nevralgici, dove tutti i ragazzi si radunavano la sera. L’altra era piazzetta Orientale, denominata in questo modo perchè sede della storica Università degli Studi Orientali. Santa Maria la Nova la ritrovò uguale a quando l’aveva lasciata, nei suoi pregi artistici e architettonici e nei suoi “difetti” di caos e vita vissuta. Una sera ci passò. Era uscito tardi dal ristorante e decise di allungare il tragitto verso casa, facendo una capatina in quelle vie che avevano contraddistinto la sua gioventù. Si rese conto che era rimasta la solita caotica piazza. Un alveare umano che andava riempendosi di ora in ora. Orde di ragazzi assiepati sui gradoni, per terra che chiacchieravano, bevevano, ma soprattutto suonavano insieme. Sembrava di stare ad un falò sulla spiaggia, ma senza spiaggia e mare. Forte, molto forte era l’odore dell’hashish che si diradava nell’aria in maniera così visibile ed intensa da sembrare quasi nebbia. Una piazza che di giorno aveva tutto un altro aspetto, ma anche questo, come molte cose a Napoli, appartiene ai quei classici controsensi che rendono questa città unica. Tutta l’area comprendente via Donnalbina, Santa Maria la Nova, S.Maria dell’Aiuto, largo e via Ecce Homo, piazzetta Monticelli è inclusa nella mura ducali che danno vita al nucleo storico della città. Un’area che si andò urbanizzando soprattutto grazie alla presenza di grandi insule conventuali (Donnalbina, S.Maria la Nova, Santa Chiara), ma che con il tempo, vista la vicinanza al mare, assunse anche una forte connotazione commerciale, dando vita alla cosiddetta nuova zona dei Banchi Nuovi. Proprio piazza S. Maria la Nova nacque come area di rispetto e tutela del meraviglioso complesso conventuale e della chiesa che furono costruiti a partire dal 1279 su un terreno donato da Carlo d’Angiò ai frati francescani in sostituzione della chiesa di S. Maria ad Palatium. Chiesa che dovette essere demolita per la costruzione del Maschio Angioino. Ed ora era paradossale, che proprio difronte ad una della massime espressioni religiose e storiche della città, si celebrassero ogni sera, riti quasi pagani, fatti di alcool, fumo e tanta musica nuova, diversa da quella classica napoletana. Una musica che traeva origine dal blues, dal jazz e con profonde sonorità anche africane, scandite da quelle percussioni che tutta la notte non smettevano di far sentire il loro suono con buona pace di chi abitava in zona. Roberto fece un rapido giro a piedi. Si guardava intorno come un turista pur conoscendo a memoria ogni metro quadrato di quell’area. Senza volerlo era come se cercasse qualche faccia conosciuta, di quelle che in passato era solito trovare li a qualunque ora della sera. Molte comitive di Napoli, infatti, erano solite radunarsi li verso le dieci di sera e prima di un paio d’ore non riuscivano mai a decidere dove concludere la serata, in quale locale andare, con chi andare e che musica ascoltare. Roberto a Santa Maria la Nova ci andava con Genny, ma soprattutto con Clemmy, una delle ragazze che più gli fece battere il cuore prima della partenza per l’America e l’incontro con Linda. Genny era un vero fenomeno. Conosceva tutto e tutti e la sera non si andava da nessuna parte se non era Genny ad organizzare. Le porte di qualunque locale per lui erano sempre aperte. Aveva un fascino del tutto particolare. Non era propriamente un bel ragazzo ma ci sapeva fare eccome con le ragazze. Era soprannominato Genny O’Russ per via di quella sua folta chioma color rosso con riflessi biondi, quasi arancioni. Vestiva in modo diverso dagli altri ragazzi della scuola e dallo stesso Roberto, ma erano comunque buoni amici. Ai pantaloni con la piega, alle giacche o alle scarpe classiche, Genny preferiva maglioni con colli alti, jeans, eskimo e mocassini. Anche le camicie erano tutte rigorosamente in perfetto stile Genny, dai colori sgargianti e dalle fantasie che spesso potevano sembrare un vero e proprio pugno in un occhio. Non aveva un negozio di riferimento, ma il suo abbigliamento era completamente trovato, creato e assemblato a Resina. Un grande e variopinto mercato di abiti usati, quasi tutti provenienti dall’America che sorgeva nel cuore di Ercolano. Una vera e propria istituzione in quegli anni. A Resina potevi trovare di tutto, dalle tute militari fino a capi in stile cowboy. Un mercato frequentato da gente di ogni ceto sociale, anche perchè la caratteristica principale non era solo il prezzo, mai fisso e sempre da contrattare al ribasso, quanto l’eccentricità. Se volevi un abbigliamento stravagante, alla moda e non avevi alcun timore o vergogna ad indossarlo, Resina era la tua Mecca. E Genny la parola vergogna non sapeva neanche dove stesse di casa. Anche Clemmy in quanto a look non se la passava male ma a differenza di Genny, la sua non era solo voglia di apparire e divertirsi ma dentro di se mostrava anche una debolezza ed un malessere di vivere che finì per portarla all’autodistruzione. Clemmy sin dai primi anni delle superiori aveva iniziato a far uso di droghe leggere. Cannabis, marijuana ed alcool. La sua era una non-famiglia. Ultima di tre figli, con genitori separati e due fratelli più grandi che di certo non le avevano dato il buon esempio. Fu da loro che imparò a fumare, per poi a passare dalle sigarette ad altro. Eera bella, profondamente bella e Roberto ne era sempre stato affascinato. Quando iniziarono a frequentarsi erano entrambi al quarto anno di Ragioneria. Classi diverse ma amicizie in comune. Fu proprio Genny a farli mettere insieme, durante una seratina a casa di amici. Entrambi avevano bevuto ma Clemmy sembrava reggere l’alcool molto meglio di Roberto. Iniziarono a ballare e quando la canzone finì, continuarono anche senza musica. Gli altri iniziarono a ridere, pensando fossero ubriachi, invece tra i due era scattato qualcosa, una chimica che solo un lungo e profondo bacio seppe celebrare in modo adeguato. Da quel momento, fino a quattro mesi dalla partenza per gli States, Roberto e Clemmy fecero coppia fissa. Ma fu una storia tormentata, fatta di continue litigate, scenate di gelosia da parte di lei e incazzature pesantissime da parte di lui quando la vedeva esagerare con fumo ed alcool. Scoprì della sua dipendenza dopo pochi mesi da quel fatidico primo bacio. All’inizio non gli diede tanto peso, pensava fosse solo una cattiva abitudine, una mania di protagonismo dettata dalla sua condizione familiare, dal menefreghismo dei fratelli e da quella sua voglia di evadere da una città che le stava stretta. Quando si accorse che quel vizio non era solo dettato dalla voglia di apparire ma da un malessere più grandi di lei, il rapporto cambiò inevitabilmente. Non era solo paura la sua, ma anche una totale e giustificata inadeguatezza ad affrontare il problema. Quella piaga non era solo più grande di Clemmy, era soprattutto più grande di lui. Non era pronto ad affrontare quel problema e non sapeva neanche da dove iniziare. All’inizio ci provò, ma ottenne solo false promesse e vuoti tentativi di cambiare davvero. Si lasciarono parecchie volte ma poi finivano sempre con il tornare assieme. Lei faceva la prima mossa, promettendogli di cambiare la sua vita e quella di coppia. Lui finiva con il cascarci ogni volta. Un pò per amore, un pò per debolezza. In cuor suo sapeva che Clemmy non sarebbe mai cambiata e che non avrebbe mai affrontato e sconfitto quei demoni. Tutto d’un tratto capì che tornava con lei non per amore ma per compassione. Fu anche per questo, oltre che per le continue filippiche di sua madre, che sposò l’idea di tagliare tutti i ponti con il suo presente ed il suo passato e di provare quell’esperienza in America che tanto lo affascinava. Vederla distruggersi lo distruggeva ma allo stesso tempo, il ripartire da zero, nella stessa città, frequentare le stesse persone era una condizione che non poteva accettare. Certo, era una fuga ed anche questo in parte lo tormentava. Ma era una fuga non solo dal suo “male” ma anche dalla consapevolezza che lei non era la ragazza giusta per lui e lui non sarebbe mai stato il ragazzo giusto per lei. E quando la ragione prende il sopravvento sui sentimenti, vuol dire che l’unica cosa da fare è quella di mettere un punto a quelle pagine della propria vita e ripartire con un nuovo capitolo. Ora poteva finalmente dire a se stesso che quel nuovo capitolo era decisamente più bello, più intrigante e pieno di quello precedente. Aveva finalmente trovato l’amore e poi c’era Antonio che gli riempiva la vita e gli dava una gioia immensa. Di quelle che solo un figlio sa dare. Ma proprio mentre i pensieri viaggiavano via veloci nella sua mente ecco che finalmente quella faccia conosciuta e inconsciamente tanto cercata apparve a pochi metri da lui. Era proprio Genny. Seduto sul solito vespino 50 grigio chiaro, lo stesso degli anni delle superiori. Era con un gruppo di amici che non conosceva, dietro la grande palma difronte alla chiesa. Non sapeva se avvicinarsi o no, ma quella sua indecisione fu bruscamente interrotta dallo stesso Genny che incrociandolo con lo sguardo, urlò:
– No guagliù non ci credo. Azz ma cè stà Roberto. Marò, e che ce fai qua? Ma nun stive in America?
Roberto rise di gusto, poi gli andò in contro e lo abbracciò
– Comm’ stai Genny? Vedo che Santa Maria la Nova è sempre il tuo regno!
Genny non era per niente cambiato. Faceva il contabile per un grosso laboratorio di ottica della zona. Era cresciuto, i capelli erano leggermente più corti degli anni delle superiori, ma il look era sempre sopra le righe, soprattutto quando non era a lavoro e si trovava in giro con gli amici. Il suo soprannome non era più O’Russ, ma semplicemente il Sindaco, o meglio il Sindaco di Santa Maria, sempre per la sua innata abilità e fama di conoscere tutti e frequentare tutti i localini della zona. Si fermarono un po’ a parlare. Ricordi di gioventù, quello che facevano ora e le solite cose dette e raccontate con gioia da due amici che si rincontrano dopo parecchio tempo. Poi Genny, guardò l’orologio e si rivolse agli altri ragazzi che erano con lui
– Uagliù, stasera suonano dei ragazzi in un locale a Via Sedile di Porto. Dobbiamo assolutamente andare. Questi so veramente bravi! Robè, perchè non vieni pure tu? Guarda che ti faccio ascoltare roba seria.
– Genny si fa tardi. Non dovevo neanche stare qui stasera. So passato solo per vedere che aria tirava e se ritrovavo qualcuno.
– Embè, hai ritrovato a me, – rispose Genny – Mo non mi dire che non ti puoi trattenere una mezz’oretta. Vieni con noi. Tanto il locale sta qua vicino. Ti ricordi la zona no? Poi quando vuoi te ne vai. Stai tranquillo, tanto domani mattina devo andare a lavorare pure io.
– Vabbuò Genny, però solo una mezz’oretta. Va a finire che se torno tardi poi Linda giustamente si preoccupa. Ma chi è che suona?
Genny guardò uno dei suoi amici e rispose
– Sono amici del fratello di Nicola. Stanno pure loro al Diaz. Aspè come si chiama Nicò l’amico di tuo fratello, Giglio?
– Si Genny, si chiama Gino Giglio. Ha messo su un gruppo niente male. Fanno musica blues ma con sonorità nuove e molte influenze sia americane che napoletane. Se non sbaglio si chiamano New Jet. A me hanno detto che so veramente bravi. Però dobbiamo muoverci, se no facciamo tardi.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea di scrivere questo libro è nata da diverse passioni. Quella della buona musica, quindi un viaggio musicale che partisse dal mitico concerto di Woodstock e da New York, arrivando alla storica musica napoletana, spaziando da Sergio Bruni a Pino Daniele mi sembrava un’ottima idea, ma anche la passione per la città di Napoli. Una città che da sempre racchiude un mondo, una vitalità che in ogni epoca, in ogni fase storica si presta benissimo ad ogni storia. Un vero e proprio teatro all’aperto dove tutto può diventare magia, suggestione, sogno e passione. Due città, New York e Napoli unite da una famiglia, la famiglia De Sio che, con le loro vicissitudini racconteranno un’epoca fantastica che va dal 68 fino agli inizi degli anni 90.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Portarlo a termine non è stato così difficile. Una volta ordinate le idee, tutte le scene, i dialoghi, le ambientazioni sono venute giù a cascate, come se questa storia mi fosse stata sempre in mente. Aspettavo solo il momento giusto per trasferirla su carta.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Indubbiamente i miei autori di riferimento sono tutti quelli che hanno sempre omaggiato Napoli e la sua cultura, da Ermanno Rea a De Crescenzo fino a Maurizio De Giovanni.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono napoletano verace e appassionato, anche se da diversi anni vivo a Milano.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Non ho progetti specifici per il futuro, anche se qualche altra storia mi ronza già in testa. Spero solo che questo mio romanzo possa piacere e suscitare una riflessione ed un sorriso a tutti coloro che avranno il piacere di leggerlo.
Veramente un bel libro. Scorrevole, piacevole da leggere con storie e personaggi che fanno riflettere e sorridere. Mi è piaciuto