
Edito da Regina Bee nel 2020 • Pagine: 511 • Compra su Amazon
Giordana De Lucia potrebbe essere chiunque di noi: una ragazzina della Napoli bene sul principio degli anni novanta, carina, inconsapevolmente sensuale, con una vita tranquilla. Ciò che la renderà diversa da tutte le altre è trovarsi nel posto giusto al momento sbagliato: una festa. Il posto giusto, perché non c’è niente di più usuale che andare a una festa a diciotto anni, al momento sbagliato perché a quell’età non si è ancora capaci di riconoscere il pericolo e allontanarsene in tempo. Qui Giordana conosce F, un ragazzo undici anni più grande che la trascina in una spirale di abusi, perversioni ed eccessi che cambierà la sua vita per sempre. Con il soprannome “Chicca”, Giordana si piega ai capricci di F, restando intrappolata in una strana relazione di cui, per vergogna e per paura, non riesce a liberarsi per oltre due anni. Quando però finalmente trova la forza di troncare quel rapporto malato, Giordana scopre di essere ormai schiava di Chicca, la sua metà oscura, che viene fuori prepotentemente a ricordarle ciò che F l’ha convinta di essere, un bellissimo corpo che non vale niente. La storia, narrata dal punto di vista di Giordana/Chicca, si snoda lungo gli anni della sua giovinezza alimentata dalla contraddizione tra il desiderio struggente di una vita normale, “essere una ragazza da aranciata” e l’accettazione rassegnata della sua realtà che l’ha resa “una ragazza da champagne”. Nel corso della storia, Giordana/Chicca guarda sé stessa attraverso il confronto con amicizie importanti: Incontriamo per prima Danila, la sua migliore amica degli anni del liceo e poi Stefano, un vicino di casa con cui la ragazza instaura un rapporto fraterno, riuscendo però a mostrargli soltanto la parte presentabile di sé e continuando a nascondere in modo sofferto il suo lato oscuro. È poi la volta Marion, un’anziana signora cui si lega profondamente quando si trasferisce in America per studi e Mel, una club-dancer del Red Roses Club di Chicago dove Giordana/Chicca comincia a lavorare qualche tempo dopo il suo trasferimento. A Chicago, Giordana sfiora il suo sogno di normalità quando incontra Philip Sanders un giovane architetto di successo che, per la prima volta, le fa provare un’emozione improvvisa che non ha nulla a che fare con le sensazioni puramente fisiche cui è abituata. Giordana è colta dal panico nell’accorgersi di provare qualcosa che assomiglia a un sentimento e si trova a fare i conti con il suo senso di inadeguatezza e con la paura che la sua vita oscura possa incrociare la sua vita normale, mostrando a Philip Chicca, di cui si vergogna e di cui Philip è ignaro. Presa dal panico, Giordana lascia l’America ma, non essendo pronta a tornare a casa, trova lavoro come animatrice in un villaggio turistico grazie all’agenzia Dimensione Vacanze per cui ha lavorato ogni estate, prima di trasferirsi in America. Qui incontra Jean Jaques, un ragazzo gay che diventerà il suo migliore amico, e inizia una relazione con S, affascinante ragazzo francese di cui, a un certo punto, sente di poter perfino innamorarsi. Obnubilata dalla passione esplosa tra loro, Giordana ha voglia di raccontarsi a S, di dargli tutto ciò che è, così da essere veramente sé stessa con qualcuno, per la prima volta. Purtroppo però, la magia si rompe nel momento in cui scopre che S ha un serissimo problema nel gestire la rabbia, che lo rende protagonista di episodi di violenza incontrollata ed è proprio questo il motivo per il quale S perde il suo “posto speciale” nella vita della ragazza e torna a essere soltanto uno dei tanti fino a quando anche l’attrazione e il desiderio, che sembravano resistere a dispetto di ogni pretesa di razionalità, in Giordana si spengono definitivamente. S però non si rassegna a uscire dalla sua vita e, messo di fronte al rifiuto definitivo, viene sopraffatto dalla rabbia e abusa di lei in un episodio di inaudita violenza. Quel drammatico evento cambia per sempre la vita di Giordana che da quel momento rifuggirà ogni attrazione per qualcuno, non riuscirà più a fare sesso, vivrà un’esistenza tranquilla di giorno e agitata dagli incubi ogni notte. Chicca è sepolta per sempre.
La storia si chiude con Giordana che, cinque anni dopo lo stupro, si trova a Bologna per lavoro con un grosso plico di carte tra le mani che le cade quando inciampa sulla strada sconnessa. Si inginocchia per raccoglierle e due mani le porgono una delle planimetrie che dovrà consegnare. Alza gli occhi e vede davanti a sé un uomo….
Un finale aperto, che prelude al sequel della storia

QUALCOSA DI OSCURO
Quando si è molto giovani ci si sente in dovere di soffrire, di farsi affliggere da quella malinconia che vaga nel subconscio, sommersa, trasformandosi in noia di tanto in tanto. E di essere arrabbiati. Con qualcuno, con qualcosa, con il mondo. Ci si sente in diritto di essere soli, incompresi e poi improvvisamente felici, senza una ragione precisa. Ma io non ero così, prima che ogni cosa cambiasse rivoluzionando completamente l’idea che avevo della vita e di ciò che sarei diventata. La vita per me era la tranquillità della mia casa e le riunioni di famiglia per decidere di cose importanti come le vacanze estive o l’organizzazione delle feste di compleanno. E poi c’era Danila, la mia migliore amica, lo shopping ai grandi magazzini di sabato pomeriggio, le feste, gli amici… e danzare. Non sapevo esattamente cosa sarei diventata da grande, indecisa tra il veterinario, l’architetto e l’attrice di teatro, ma di una cosa ero sicura: qualunque cosa avessi fatto, qualunque persona fossi diventata, non avrei mai smesso di ballare. Frequentavo da anni un corso di danza jazz che mi occupava quattro pomeriggi a settimana e la passione che mettevo in quella cosa era la somma di tutte le passioni del mondo, al culmine della sua espressione durante gli spettacoli periodici che la scuola di danza organizzava a Natale e a fine corso di ogni anno: quando ero sul palco, con le luci dei fari puntati addosso, il costume di scena e il buio intorno, diventavo io stessa musica e tutto il resto scompariva. Il mio corpo volteggiava che pareva divenire aria e io sapevo di aver trovato il mio posto nel mondo, un luogo immateriale, fatto di ritmo e movimento. Un luogo libero, solo mio.
Non so dire se fossi felice, ma tranquilla sì, lo ero decisamente. Mi sentivo al sicuro da tutto, protetta dalla serenità della mia casa. Ma un giorno, nel mezzo di questa limpida ordinarietà, si era aperto un varco, un piccolo spazio in cui avevo intravisto ogni cosa diventare accecante e pericolosa. Sarebbe bastato un istante, un repentino cambio di rotta, per lasciare che il varco si richiudesse restando congelato per sempre in un tempo indefinibile, appena sfiorato. Invece ci ero entrata dentro. L’avevo attraversato. E poi camminato oltre, nei miei stessi luoghi, in mezzo alla mia gente, eppure altrove. In un mondo spaventoso e lontano dove ogni cosa avrebbe cambiato forma.
Cominciò tutto a una festa, esattamente dove inizia la maggior parte delle cose a quell’età; l’aveva organizzata un amico di mio fratello Marco, già al secondo anno di Università. Marco sapeva quanto mi piacesse uscire con lui e i suoi amici perché mi faceva sentire più grande ma allo stesso tempo al sicuro, grazie al suo atteggiamento da fratello maggiore un po’ complice e discretamente protettivo, senza cioè che questo naturale istinto di difesa diventasse mai soffocante. E, ogni tanto, mi portava fuori con lui.
A quella festa c’erano solo ragazzi dell’ultimo anno di liceo e parecchi universitari, per lo più gente della facoltà di architettura, politicamente impegnati e prevalentemente di sinistra. Un ragazzo spiccava in mezzo agli altri per la sua corporatura imponente e l’aria da artista bohemienne, con i capelli lunghi e scuri, completamente vestito di nero, un bicchiere di cognac in una mano e la sigaretta accesa appoggiata nel posacenere; aveva un aspetto attraente e un’espressione particolare negli occhi, una specie di luce magnetica e lattiginosa dentro cui si agitava qualcosa di indefinibilmente sinistro. Mi guardò per buona parte della serata in modo invadente, imbarazzante, ma da lontano. Ero seduta in salotto con due amiche di mio fratello che frequentavano abitualmente casa mia e due universitari dall’aspetto di ragazzi per bene, quando si avvicinò, accoccolandosi accanto alla mia poltrona, le braccia poggiate sul bracciolo, il bicchiere di cognac in una mano e un bel sorriso che gli addolciva lo sguardo.
«Non sei un po’ troppo giovane per stare in mezzo a questi vecchietti noiosi?» mi disse indicando con il bicchiere il gruppetto con cui sedevo. Arrossii abbassando gli occhi.
«Sono venuta con mio fratello.» risposi. «E non sono così giovane. Ho diciott’anni, sai?»
Lui rise.
Lo guardai voltandomi a sedere su un fianco, tutta spostata dalla sua parte. Il resto del gruppo che continuava a discutere della musica dei Led Zeppelin aveva completamente perso il mio interesse.
«Veramente sembravi più annoiato tu che te ne sei stato da solo in un angolo fino a ora.» gli dissi sorridendo.
«Quindi mi guardavi…» sorrise, piegando la testa da un lato e sollevando un sopracciglio, poi avvicinò le labbra umide di cognac al mio collo scostandomi i capelli e sussurrò:
«Lo sai che sei la più carina qui dentro?»
Abbassai gli occhi sorridendo, ma lui mi sollevò il viso.
«Guardami, hai degli occhi incantevoli.» disse a voce più alta. Poi di nuovo si accostò al mio orecchio. «Bruciano…» aggiunse. «Come fuoco…»
Qualcuno aveva alzato il volume dello stereo e un po’ di gente si era messa a ballare al centro della grande sala da pranzo trasformata in una temporanea di pista da ballo per pochi intimi.
«Qual è il tuo nome?» mi chiese a voce alta.
«Giordana.» risposi forte, per sovrastare la musica.
«Che? Miriana?»
Scossi la testa e avvicinai le labbra al suo orecchio.
«Giordana. Mi chiamo Giordana.» dissi. Lui mi baciò il dorso della mano e mi sussurrò il suo nome all’orecchio. Un nome che non avrei mai pronunciato e che iniziava con F.
«Vieni, andiamo in terrazza.» disse. «Qui non si riesce a parlare.»
Gettai uno sguardo rapido in mezzo alla gente e vidi Marco che mi teneva d’occhio da lontano, come sempre quando uscivo con lui.
«Arrivo tra un minuto.» risposi e raggiunsi mio fratello che faceva ballare una ragazza mora con un caschetto alla Valentina; mi divertiva vedere quanto piacesse alle ragazze, a tutte le ragazze, che lo guardavano sempre con un’espressione estasiata. Mi misi a ballare con loro per un po’ ma ero su di giri, emozionata, mentre guardavo quello strano ragazzo che, appoggiato all’infisso del balcone, non smetteva di fissarmi. Non appena mio fratello si allontanò con la brunetta e fui sicura che non potesse vedermi, raggiunsi F sul balcone. Mi prese la mano e, senza darmi il tempo di parlare, mi spinse al muro e mi baciò con una voracità famelica; avevo già baciato dei ragazzi prima di allora, ma non era mai stato così. C’era qualcosa di irriverente in quella lingua esperta che mi invadeva la bocca, mentre le sue mani percorrevano il mio corpo senza che avessi modo di muovermi o di staccarmi da un abbraccio ostinato e indiscreto che mi toglieva il fiato. Le sue dita tenaci, lente e inesorabili, si facevano strada prepotentemente sotto il mio vestito infilandosi nelle mutandine ed esplorandomi. Sapevano fare cose inimmaginabili e svuotarmi la testa da ogni altro pensiero, tanto che per venti minuti non esisté altro che uno studente fuori corso della facoltà di economia di ventinove anni, le sue mani e il fiato corto che si accompagna al piacere.
Per tutta la settimana dopo quel sabato, mi chiamò ogni sera alle venti. Mi chiudevo in camera e per un’ora buona ascoltavo le parole eccitanti con cui sapeva sedurmi, incuriosita e affascinata dalle reazioni del mio corpo incredibilmente acceso sotto le mie stesse mani, guidate dalla voce profonda di lui, che mi invadeva il cervello. Alle 21.30 andavo a cena raggiante. Mi sentivo incredibilmente diversa e decisamente grande.
Il venerdì successivo, poco prima di salutarmi, sussurrò:
«Voglio fare l’amore con te.»
Rimasi un attimo impietrita, con il cuore che mi batteva in gola come un martello. Riuscii solo a mormorare ok e subito dopo a sentirmi terribilmente stupida per aver risposto in quell’assurdo modo a una cosa tanto importante. Finita la conversazione con F rimasi a fissare il telefono, indecisa se chiamare subito Danila o continuare a tenere segreta quella storia insolita, che non potevo ancora definire relazione o in nessun altro modo e che fino a quel momento avevo semplicemente vissuto come una cosa proibita.
Danila Pastore era una ragazza normale, con una famiglia normale e un futuro che pareva già disegnato a immagine e somiglianza della vita dei suoi genitori; io al contrario ero un’anima agitata, eternamente alla ricerca di qualcosa che non trovavo mai, e non avevo idea di cosa avrei fatto della mia vita. Eravamo completamente diverse, ma inseparabili fin dal primo anno di liceo, legate a doppio filo da quell’amicizia totalizzante che esiste solo a quell’età: stesso banco, stesso sport, un fantasioso linguaggio in codice per comunicare cose che non volevamo altri capissero, stesso diario, stessi gusti musicali, stessa estrazione sociale. Danila con la sua bellezza elegante ma ordinaria, così tremendamente per bene, io vittima inconsapevole di una sensualità traboccante, che mi rendeva seducente agli occhi di chiunque mi guardasse, senza che me ne rendessi conto.
Parlavamo di ogni cosa e sapevamo tutto una dell’altra. Invece di quella strana storia, che già sentivo segnata da qualcosa di oscuro, non ebbi il coraggio di parlarle né quella sera né in seguito.

Come è nata l’idea di questo libro?
Questo libro è nato un po’ per gioco e un po’ per scommessa, durante il lockdown chiacchierando con un amico. Mancavano a tutti noi le cose “normali”, in quel periodo, quelle che di solito non apprezzi perchè le hai davanti ogni giorno e talvolta addirittura ti annoiano o finisci con il darle per scontate. Così, nella mia mente, è nato il personaggio di Giordana, una ragazza qualunque che per una fatalità si troverà ad essere per sempre diversa da tutti. Strana. Ingabbiata dal suo lato oscuro. E che per tutta la sua giovinezza non farà che sognare una vita normale, inseguirla e irrimediabilmente perderla, senza mai riuscire ad afferrarla davvero.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non è stato difficile. Mi piace raccontare e così, quando lo faccio, mi lascio prendere completamente. La storia va avanti da sola e passa dalla mente alla tastiera del mio Mac. Certo, va poi perfezionata, rifinita, migliorata. Questa è la parte più complessa, ma anche quella più soddisfacente quando finalmente scrivi la parola FINE.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Ho sempre letto tantissimo, narrativa di tutti i generi, dai grandi classici agli esordienti. Tra i miei autori preferiti ci sono Borges, Hemingway e Carofiglio. Ho trovato divino anche Faletti in Io Uccido. Quel libro mi ha conquistata.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo attualmente tra Napoli e Roma. Ho vissuto anche in America che ho amato profondamente e che ha ispirato il capitolo “Oltreoceano”.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Voglio continuare a scrivere e portare a termine due romanzi incompiuti, iniziati molto tempo fa. Tentare la carta dell’editoria… e scrivere il sequel di Guardami, perchè Giordana merita di trovare quello che sta cercando. Come tutti noi.
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