Hadriaticum
Edito da Augh! nel 2017 • Pagine: 282 •
Un romanzo storico, un intreccio di storie che parte dai sottoportici della Venezia del XIII secolo e si apre alle vie dell’Adriatico, tra le sponde di Almissa e di Portonovo.
Lunardo e Marin, gemelli nati dall’unione clandestina tra il nobile Jacopo Polani e una meretrice, crescono ignari delle loro blasonate origini. Divenuti ragazzi, la loro somiglianza col padre non passa inosservata. Rimasti orfani e caduti in disgrazia a causa delle trame ordite contro di loro, si imbarcano come rematori su una galea diretta verso la Grecia. A bordo ci sono due fanciulle in procinto di conoscere i loro sposi, ma durante il viaggio l’equipaggio diviene preda della sagitta capitanata da Siniša, fiero pirata di Almissa. Le vite dei protagonisti vengono stravolte; eventi tragici accomunano aguzzini e vittime, conducendo infine alla necessità di ricostruire le rispettive esistenze alle porte delle terre riminesi. Che si rivelano una polveriera pronta a esplodere…
Menego, data l’età e il suo aspetto fragile, era l’unico dei prigionieri a non essere stato costretto in catene. Siniša lo aveva fatto sedere a fianco del timoniere, sul rialzo in legno del minuscolo boccaporto di poppa. L’anziano cerusico, travolto dagli eventi, se ne stava, meditabondo e mogio, con gli occhi bassi e fissi sul ponte. Aveva trascorso la maggior parte della sua esistenza andando per mare sulle galee della Serenissima, ed era stato sotto il comando di molti sopracòmiti. Aveva curato i malati, alleviato le pene dei feriti, e sapeva fare di conto e annotare i registri delle navi. Ora, su quella minuscola barchetta, in mezzo a una masnada di pirati slavi e senza Dio, quale sarebbe stato il suo avvenire? Ormai era solo un povero vecchietto prossimo alla morte, e le ultime traversie sembravano avere compromesso ancor di più il suo corpo e il suo morale.
Tuttavia, Siniša pareva averlo preso a benvolere. Gli aveva evitato l’ignominia dei ferri e lasciato la dignità e la sembianza della libertà.
Jaroslav, forse per rincuorarlo, gli rivolse gentilmente la parola:
«Vecchio, sei stato molto fortunato. Se sei davvero un bravo cerusico, il kněz ti tratterà con ogni riguardo, e sarai rispettato anche da tutto l’equipaggio».
Menego distolse lo sguardo dal ruvido tavolato e, dopo un’occhiata fugace al suo interlocutore, tornò a riabbassarlo. Eh sì, il giovane nocchiero biondo e lentigginoso non aveva proprio nulla a che spartire con il feroce aguzzino dalla barba rossiccia: dava l’impressione di essere un gran bravo ragazzo, capitato per sbaglio in mezzo a quella accozzaglia di barbari e selvaggi. Si fece coraggio e, con un filo di voce, provò a rivolgergli qualche domanda:
«Sai dove stiamo andando? Ci sarà da combattere?».
«Con il nostro kněz la battaglia e, per nostra fortuna, anche un ricco bottino sono sempre assicurati!».
Quell’omino spelacchiato e triste sembrò rinfrancarsi.
«Sei con lui da molto tempo?».
«Ero un bambino quando mio padre fu trafitto a morte da un dardo scoccato da una galea da guerra dei Veneziani. Il kněz riuscì a fuggire e a riportare in patria la sagitta con quasi tutto l’equipaggio sano e salvo. Fu quasi un miracolo, anche se tutti sanno che la sorte e il buon Dio sono sempre dalla parte di Siniša… Da quella volta, non c’è più stata una missione alla quale io non abbia partecipato. È stato il kněz a insegnarmi tutto quello che so e, se sono diventato un bravo nocchiero, lo devo solo a lui».
Menego sorrise soddisfatto al sentire che almeno quel giovane sembrava essere religioso.
Avrebbe voluto approfittare della sua affabilità per saperne ancor di più, ma Siniša, avvicinandosi, interruppe il loro discorso. Il suo tono di voce era ruvido, maschio e caratteristico di chi non avrebbe ammesso replica alcuna. Tuttavia il cerusico ebbe l’impressione che, per quanto temibile, il capo dei pirati non fosse poi così cattivo.
«Jaroslav, fra qualche ora traverseremo il golfo. Presto cambierà il tempo, e potremmo incontrare mare grosso e vento favorevole ma molto forte».
Il nocchiero annuì in silenzio.
Menego, invece, guardò il cielo terso e la superficie dell’acqua immobile, liscia e turbata soltanto dal moto dei remi e dallo sciabordio della sagitta.
Siniša se ne avvide e, senza rivolgersi direttamente al vecchio, continuò:
«Presto finirà la bonaccia e, da nord, arriverà a inseguirci la tempesta».
Quindi si volse per ritornare a poppa da suo figlio.

Come è nata l’idea di questo libro?
Da un’approfondita e lunga ricerca storica, iniziata con l’esame di alcune pergamene del tredicesimo secolo.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La parte più difficoltosa è stata l’interpretazione delle fonti. Una volta terminato il lavoro di ricerca e collegati tra di loro i documenti dell’epoca, scrivere e portare a termine il romanzo è stato relativamente semplice e… veloce.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Umberto Eco e Valerio Massimo Manfredi.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho vissuto e studiato in Veneto, ma sono romagnolo e originario di Scacciano, la piccola frazione di Misano Adriatico dove attualmente vivo.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto scrivendo il mio quarto romanzo che, tanto per cambiare, sarà un giallo/thriller storico.